tag:blogger.com,1999:blog-10065190753577717602024-03-08T12:34:05.833+01:00Storie (stra)ordinarie di sport«Non amo lavorare troppo, né correre per i corridoi di uno stadio, né forse capisco di sport quanto l’incarico richiederebbe. Ma so inventare storie bellissime.»
(Osvaldo Soriano)Simone Pierottihttp://www.blogger.com/profile/01305919647376531873noreply@blogger.comBlogger224125tag:blogger.com,1999:blog-1006519075357771760.post-71121295768549426102021-09-01T08:00:00.017+02:002021-09-01T08:00:00.172+02:00C'era una volta in America: la partita più lunga<p><br /></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgcctjTnWR-YMcfijin45ZnIlZ_xvQRVLZQEqFqeY4FLxISWpfU-PHMnfwUoSkFvS_sIJzWLksnoveHfCILzYchEyTFwRqgcpuAtHBLgqOBJiLJoQK6y2fyQOV8cx7tmElUjv29gWYjwb5L/s1346/Lancers+71+Home+Team.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="845" data-original-width="1346" height="251" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgcctjTnWR-YMcfijin45ZnIlZ_xvQRVLZQEqFqeY4FLxISWpfU-PHMnfwUoSkFvS_sIJzWLksnoveHfCILzYchEyTFwRqgcpuAtHBLgqOBJiLJoQK6y2fyQOV8cx7tmElUjv29gWYjwb5L/w400-h251/Lancers+71+Home+Team.jpg" width="400" /></a></div><br /><p>È passata agli annali come la partita più lunga di sempre nel calcio americano. E probabilmente quei 176 minuti tra Dallas Tornado e Rochester Lancers sono un primato in generale - c'è un precedente di quasi tre ore e mezzo di una sfida di terza divisione inglese, a dirla tutta, ma era il 1946 e si giocava a pallone con regole ancora rudimentali. Qui no: siamo, o meglio eravamo, negli anni Settanta e in quel pezzo di storia - tanto per non farsi mancare nulla - c'è pure un viareggino purosangue. </p><p><span></span></p><a name='more'></a>Ma andiamo con ordine. Corre l'anno 1971 e la Nasl, la lega professionistica di calcio degli Stati Uniti, s'è allargata da sei ad appena otto squadre con una misera media spettatori che s'attesta un pelino sopra le quattromila unità. Il 1° settembre a Rochester, città dello stato di New York diventata tristemente famosa in questi giorni per la morte dell'afroamericano Daniel Prude durante un fermo della polizia, si giocano le semifinali del campionato. È qui che pochi mesi prima, a marzo, è atterrato il viareggino Adolfo Gori: nato mediano e finito terzino di spinta, ha deciso di chiudere col calcio professionistico dopo una carriera di tutto rispetto che gli ha fatto vincere scudetto e Coppa Italia con la Juventus. <p></p><p>Il giocatore che negli annuari del calcio americano risulta "born in Via Reggio" (sic!) ha firmato per i Lancers campioni in carica: la squadra è ancora competitiva, tant'è che domina la Northern Division e il difensore viareggino - curiosamente storpiato in 'Adolpho' dalla stampa locale - è indiscusso protagonista della cavalcata verso i playoff. I Lancers se la vedono contro i Dallas Tornado che, per la semifinale d'andata, si presentano all'Aquinas Stadium di Rochester. </p><p>Proprio quell'anno la Nasl, su pressione del co-proprietario dei Lancers Charlie Schiano, introduce i supplementari con golden gol al posto dei rigori come metodo per decretare il vincitore nelle partite dei playoff. Sembra una modifica da nulla. E invece il karma inferisce su Schiano anche se alle otto di sera di quel 1° settembre, quando l'arbitro John DiSalvatore mette il fischietto in bocca, gli 8.309 spettatori ancora non lo sanno. </p><p>I Lancers passano in vantaggio poco con Manfred Seissler e tutto lascia presagire a una vittoria facile. I miracoli del portiere Kenny Cooper tengono però in vita i Tornado che nel finale pareggiano con Tony McLaughlin, bravissimo a scavalcare di testa la difesa guidata da Gori.Si va ai supplementari, che iniziano intorno alle dieci: due mini-tempi da quindici minuti l'uno, se non segna nessuno si va avanti a oltranza. Come ai rigori, che qui avrebbero fatto comodissimo. Due supplementari: niente. Altri due: niente. </p><p>Le squadre sono ormai vicine a giocare due partite una di fila all'altra, il pubblico mormora dalla disperazione e sono trascorsi appena 176 minuti quando lo scricciolo brasiliano Carlos Metidieri, scartato in gioventù da Napoli e Como per la bassa statura, la butta finalmente dentro. Phil Woosnan, il commissioner del campionato, se lo perde perché si è appropinquato verso gli ufficiali di gara per ordinare loro di sospendere l'incontro dopo il sesto over time. </p><p>Quasi tutti i giocatori crollano a terra esausti alla vista del pallone in fondo al sacco. L'orologio segna le 23.59: sembra una variante calcistica di Cenerentola. E invece era tutto clamorosamente vero.</p>Simone Pierottihttp://www.blogger.com/profile/01305919647376531873noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1006519075357771760.post-18998417361185076622020-10-08T08:00:00.018+02:002021-04-07T16:01:05.896+02:00Quando Viareggio piegò le V nere di Bologna<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgE7ytpUuMjYcARYG0ynGu8ACLNZtdFmuY4q8wcswTExd9qLhD4jgXTtAKzAJJgEKHSn_vClAEpns5Ru75bMdf9PdyuMcK9fXJzCgGx7NYytoQKzlg8nX3iLWJfBd_D4wdbkBFn6-RO-mMd/s2048/basket001.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1335" data-original-width="2048" height="261" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgE7ytpUuMjYcARYG0ynGu8ACLNZtdFmuY4q8wcswTExd9qLhD4jgXTtAKzAJJgEKHSn_vClAEpns5Ru75bMdf9PdyuMcK9fXJzCgGx7NYytoQKzlg8nX3iLWJfBd_D4wdbkBFn6-RO-mMd/w400-h261/basket001.jpg" width="400" /></a></div><div><br /></div><div>«Da Viareggio uno squillo di tromba». Se lo ricorda ancora quel titolo di giornale, Sandro Luporini, a distanza di settant'anni. Uno squillo di tromba che, oltre mezzo secolo dopo, s'è leggermene affievolito ma non s'è zittito proprio del tutto. Uno squillo di tromba che si levò, più o meno all'ora di pranzo di domenica 8 ottobre 1950, da un campo sportivo oggi sparito e che annunciò l'imponderabile: la matricola Assi Viareggio, al debutto assoluto nella Serie A di pallacanestro maschile, sconfigge nientemeno che la nobilissima Virtus Bologna. Follia pura. Da non crederci. </div><p><span></span></p><a name='more'></a>Vale la pena ricordare che erano quelli i giorni di gloria del basket viareggino, con la nidiata dei fratelli Francesco "Cecco" e Alessandro "Sandro" Luporini - il secondo è proprio lui, l'inseparabile paroliere di Giorgio Gaber -, Egidio "Gigi" Pieraccini, Franco Fiorani, Gianni, capitan Parodi, Nesti, Gatto, Pellegrini, Paiotti. Un gruppo di giovani baldanzosi e anche un po' sfrontati che, all'improvviso, si ritrova opposto all'Olimpia Milano di Gamba, Pagani e Rubini, alle stesse 'V nere' che proprio a Viareggio, sui campi del circolo del tennis nella pineta di Ponente, avevano conquistato il loro primo scudetto, alla Reyer Venezia, a Pesaro, Varese. Come Cenerentola invitata al gran ballo. <p></p><p>Ai ragazzi di Parodi il sorteggio non poteva riservare avversario peggiore - la Virtus Bologna che dal 1946 al 1949 ha dominato la scena. Almeno si gioca in casa, sulla pista del Bertabello in via IV Novembre, dove oggi si trova il cortile del liceo scientifico. La partita, preceduta da un incontro fra le formazioni femminili della Virtus Lucca e della stessa Assi Viareggio, sembra decisa già in partenza: «Duro collaudo per la giovane formazione viareggina che si presenta con una inadeguata preparazione e non sufficientemente amalgamata», evidenzia la <i>Gazzetta dello Sport</i>. Palla al centro alle 11 di mattina davanti a una "folla imponente" che comprende pure le autorità cittadine. </p><p>Si parte. Dopo cinque minuti la Virtus è già avanti di sei punti, messi a segno dagli azzurri Gianfranco Bersani e Gigi Rapini: poi si sblocca l'Assi - è di Cecco Luporini il primo, storico canestro nel massimo campionato - che recupera sul 10-10 e riesce perfino a passare in vantaggio sul 17-16, concedendo il sorpasso alle 'V nere' proprio allo scadere del primo tempo. </p><p>Il pronostico? Ancora in bilico. Nella ripresa, "sorretti dall'incitamento del pubblico", i viareggini si portano subito in vantaggio. E vantaggio fa rima con coraggio. Quello che trascina la squadra di Parodi verso una clamorosa vittoria che merita le prime pagine dei quotidiani sportivi: finisce 37-33, quella Viareggio che rievocava dolci ricordi alla Virtus Bologna diventa ora per i giocatori una macchia che non sbiadirà neppure dopo il 68-23 della gara di ritorno. </p><p>Per l'Assi rimarrà un'impresa sì indelebile, ma anche isolata: in fondo alla stagione saranno solo sette i successi - due comunque di prestigio, sempre al Bertabello, contro Pesaro e Varese - e il quintetto ritornerà immediatamente nel campionato cadetto. Con una storia da raccontare, almeno. Che in America, che vive di epica dello sport, avrebbe ispirato articoli, libri e film dalla patina disneyana. E che qui purtroppo non rammenta, o non conosce, quasi più nessuno. Che peccato.</p>Simone Pierottihttp://www.blogger.com/profile/01305919647376531873noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1006519075357771760.post-10871642980236652020-04-01T08:00:00.000+02:002020-04-02T18:51:50.654+02:00Quando Viareggio arrivò in Serie A di basket<br />
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La squadra di pallacanestro di maschile di Viareggio promossa in Serie A. Pronta a sfidare le grandi firme del basket - l’Olimpia Milano, Varese, la Reyer Venezia, la Virtus Bologna. No, non è un pesce d’Aprile, anche se la data odierna può legittimamente indurre a pensarlo: accadeva settant’anni fa precisi precisi, più o meno di questi tempi, nella primavera del 1950. Un’avventura esaltante, che consegnò l’Assi – questo il nome del quintetto – alla storia cittadina: nessuna squadra era mai arrivata così in alto se si eccettua la partecipazione del Viareggio alle eliminatorie del Torneo centro-meridionale, uno dei due raggruppamenti che nella stagione 1920-21 formavano la Prima Divisione, il massimo campionato dell’epoca.<br />
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<a name='more'></a>Il basket era sbarcato in riva al Tirreno quando sulla Seconda guerra mondiale stavano per scorrere i titoli di coda: furono i soldati afroamericani della 92a divisione Buffalo a far conoscere ai viareggini la palla a spicchi, montando un paio di rudimentali canestri nella pineta di Ponente. Nell’estate del 1946 qui, nel campo 1 del circolo del tennis, viene assegnato addirittura lo scudetto: in città arrivano Virtus Bologna, Reyer Venezia e Libertas Roma per disputare un gironcino a tre. Un giorno un gruppo di ragazzini, ammaliati da gesti atletici mai visti prima, decidono di prendere in prestito – mettiamola così – cesti e palloni dagli americani. Si chiamano Alessandro e Francesco Luporini e Gigi Pieraccini: il primo scriverà testi e musiche per il teatro-canzone con un certo Giorgio Gaber, gli altri due diventeranno apprezzati cestisti. E, soprattutto, protagonisti di una stagione memorabile sul finire degli anni Quaranta.<br />
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Siamo nell’autunno del 1949 e l’Assi Viareggio partecipa, da ripescata, al campionato cadetto di pallacanestro: l’anno prima si è fermata al concentramento interregionale delle semifinali della Serie C, ma alcune squadre non si iscrivono alla seconda serie. E così tocca ai viareggini rimpiazzare una delle rinunciatarie. Un segno premonitore del destino? Il tempo, da buon galantuomo, avrebbe dato la sua risposta. Già il 23 ottobre, quando il quintetto ospita il Circolo Ricreativo Dipendenti Marina, fortemente legato alla Marina Militare e tuttora presente con il nome di La Spezia Centro tra le borgate del Palio marinario: l’Assi debutta in Serie B con una vittoria per 36-32. Sono gli anni dei sopraccitati fratelli Cecco e Sandro Luporini e di Egidio “Gigi” Pieraccini, ma anche dei vari Celeste Soppelsa detto "il Pasugia", di Franco Fiorani, di Lazzaro Lucarini "il fachiro", di Gatti, Gianni, Parodi e Pellegrini.<br />
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Che potrebbe essere un’annata storica lo si intuisce sette giorni dopo, quando l’Assi fa visita all’Unione Sportiva Livorno, sulla carta nettamente favorito grazie (anche) alla presenza di due futuri grandi allenatori come Otello Formigli e Silvio Gatto. Finisce, invece, con i viareggini che trionfano con un perentorio 48-26 che spiazza il cronista de Il Telegrafo: chiama gli ospiti “assini”, lodandone “estro individuale, preparazione tecnica, volontà”, e sembra scherzare col correttore di bozze intimandogli di lasciare la doppia ‘s’…<br />
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I biancorossi incappano nella prima sconfitta alla terza giornata contro la rediviva sezione cestistica della Lazio che annovera Franco e Silvio Fischer, che in guerra avevano perso il fratello Vincenzo. Ma è una caduta isolata: l’Assi chiude in testa il girone d’andata dopo la vittoria sull’Ardita Juventus Genova e il pareggio, un esito che nel basket di oggi sarebbe impensabile, con l’Onda Necchi Pavia.<br />
A dicembre il campionato riparte con il girone di ritorno. E inizia male per la squadra capitanata da Parodi: la sconfitta di La Spezia fa scivolare al secondo posto i viareggini. Che nel giro di una settimana rimettono tutto a posto superando 28-22 il Livorno e scavalcando l’Onda Necchi battuta dall’Ardita. Da quel momento in poi l’Assi non cederà più il primato: vince le ultime tre partite e il 22 gennaio festeggia una storica, inaspettata promozione nella massima serie. Lì, accanto agli squadroni delle grandi città.<br />
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Ed è da neopromossi che i viareggini partecipano a febbraio alla terza edizione della <a href="https://simonepierotti.blogspot.com/2018/01/i-trofei-scomparsi-la-coppa-carnevale.html">Coppa Carnevale</a>, il torneo inventato nel dopoguerra dall’avvocato Oberdan Bertuccelli e dal cognato Giacomo “Mino” Parodi che gestisce i cinema Eden ed Eolo. In quell’occasione si rivedono Mario Alesini, cestista di Varese, e il viareggino Giorgio Fazzini, attuale presidente della Fondazione Tiamo: erano stati compagni di scuola durante la guerra, con la famiglia Fazzini rifugiatasi al Nord durante la guerra.<br />
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L’Assi è promosso, sì. Rimane solo da assegnare il titolo di campione della Serie B fra le vincitrici dei tre gironcini: si parte il 19 febbraio, si finisce il 26 marzo. I viareggini vinceranno una sola partita, quella contro la Stamura Ancona che inaugura questa sorta di playoff. Poco male: è solo una questione di forma, si fa baldoria anche dopo la sconfitta di misura (31-30) contro la Robur Ravenna. Poi arriverà la Serie A, con l’esordio assoluto celebrato battendo nientemeno che la Virtus Bologna. Ma questa – per citare Michael Ende – è un’altra storia e si racconterà un’altra volta.<br />
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<b>Fonti:</b><br />
<i><a href="http://www.laziowiki.org/wiki/Pallacanestro_-_1949/50_Gare">WikiLazio</a><br />Corriere dello Sport<br />Gazzetta dello Sport<br />Il Telegrafo</i><br />
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<b>Ringraziamenti:</b><br />
<i>Pierfrancesco Giunti</i></div>
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Simone Pierottihttp://www.blogger.com/profile/01305919647376531873noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-1006519075357771760.post-48368835038232029082020-01-20T22:18:00.000+01:002020-03-16T10:02:52.243+01:00Intervista a Elena Linari<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjVIJfk1tl__dCN3tV1fUEKUTxELm7VqHVhG25_bEq2_FeBUKj1u5Aa1F8B4Mi6ZkECFACe2E5K5Ln4g6WEnpx49uo7ozuY_9dqSNZ4u7_A6HLPpJz88D4yJ_kh7nV8nSodhfKv5QcLeic6/s1600/79545325_10221790094847435_3780339409740627968_o.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="960" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjVIJfk1tl__dCN3tV1fUEKUTxELm7VqHVhG25_bEq2_FeBUKj1u5Aa1F8B4Mi6ZkECFACe2E5K5Ln4g6WEnpx49uo7ozuY_9dqSNZ4u7_A6HLPpJz88D4yJ_kh7nV8nSodhfKv5QcLeic6/s400/79545325_10221790094847435_3780339409740627968_o.jpg" width="400" /></a></div>
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<i>Manca una settimana a Natale. A Madrid è già scesa la sera ma non fa eccessivamente freddo. Sono alle pendici dell’immenso stadio Wanda Metropolitano: è qui che ho appuntamento per intervistare Elena Linari, difensore della Nazionale italiana e dell’Atlético femminile, per conto della rivista </i>Undici<i>. Mentre aspetto che lei abbia terminato il giro di visite negli ospedali in compagnia di Ángela Sosa, Adán e Vitolo, mi viene in mente un passaggio di “Maledetti toscani” di Curzio Malaparte: </i><br />
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<blockquote class="tr_bq">
“I toscani han l’abitudine di non salutare mai per primi nessuno, nemmeno in Paradiso. E questo anche Dio lo sa. Vedrai che ti saluterà lui, per primo”. </blockquote>
<i><br />Già, lei di Fiesole, io di Viareggio: come la mettiamo? La vedo finalmente sbucare e le vado incontro, più per cavalleria che timore che non mi veda: il piazzale è deserto. Ci rifugiamo nel ristorante di fianco allo store, anche se la cucina è ancora chiusa – e sono le otto. </i><br />
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<a name='more'></a><a href="https://www.rivistaundici.com/2020/01/20/elena-linari-intervista/">Leggi qui l'intervista a Elena Linari</a><br />
<br />Simone Pierottihttp://www.blogger.com/profile/01305919647376531873noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-1006519075357771760.post-38480885782576531412019-02-24T19:52:00.000+01:002019-04-01T20:01:42.134+02:00C'era una volta in America: Juli Veee<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi9dvvBk7tzUJEvK8QDilBSWECHietF4IHu1ZlR7cYNTQNDrWx808wXzZR45uP9QHUjBmUAcv5dns9MkDCMSWgl-vVhT5SiCiKRiu9vMc4ZX937PPXKdNgmj1MwazKjIDQXxbJtf-ir_yXw/s1600/Viareggio006+%25281%2529.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1081" data-original-width="1600" height="270" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi9dvvBk7tzUJEvK8QDilBSWECHietF4IHu1ZlR7cYNTQNDrWx808wXzZR45uP9QHUjBmUAcv5dns9MkDCMSWgl-vVhT5SiCiKRiu9vMc4ZX937PPXKdNgmj1MwazKjIDQXxbJtf-ir_yXw/s400/Viareggio006+%25281%2529.jpg" width="400" /></a></div>
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“America?”. È una calda e soleggiata domenica di Carnevale a Viareggio, il solito assaggio di primavera in pieno inverno. In un bar della Passeggiata si siedono quattro ragazzi. Un paio sono studenti americani di Berkeley che, per un anno accademico lontano da casa, hanno scelto l’ateneo di Padova. Gli altri sono due promesse del Vasas di Budapest, invitata alla Coppa Carnevale, il torneo di calcio giovanile vanto della città. 9 febbraio 1969. È una data che a Gyula Visnyei, diciottenne ungherese, cambiò la vita. Per sempre.<br />
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<a name='more'></a>Nel primo turno della competizione, che prevede andata e ritorno, il Vasas becca il Milan: a Pontedera esultano i rossoneri, ma lo striminzito 1-0 lascia speranze ai magiari. È sabato, il giorno dopo le squadre riposano per godersi i carri. Visnyei se la spassa con i compagni di squadra, che sfoggiano tute d’un bel rosso fiammante. Poi, tra la folla dei viali a mare, riconosce un volto familiare dietro una macchina fotografica. “Era Carl Berkenwald, uno studente americano venuto a trovarmi pochi mesi prima – racconta oggi Visnyei, prossimo ai 69 anni – mio zio Antal era scappato dall’Ungheria nel 1956 riparando in California: lì aveva sposato un’americana, cugina di Carl”.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgva9_6CK3SXpqo0JyM7fhKqLxGXzMoy_t9MxoS3A7TneG60Jcw39p-2ykHte7AR0mVyFSyMMjJKpkVqkqSVY8S4gttSsLFdnHVL9S-mSt6IgmvpsYnk3uHaUjtok8OX2HpVOCmqU5XKqvd/s1600/Earthquakes+76+Road+Julie+Veee+2.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="410" data-original-width="308" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgva9_6CK3SXpqo0JyM7fhKqLxGXzMoy_t9MxoS3A7TneG60Jcw39p-2ykHte7AR0mVyFSyMMjJKpkVqkqSVY8S4gttSsLFdnHVL9S-mSt6IgmvpsYnk3uHaUjtok8OX2HpVOCmqU5XKqvd/s200/Earthquakes+76+Road+Julie+Veee+2.jpg" width="150" /></a></div>
Cugina acquisita, a dirla tutta. Tanto basta per avvicinare i due rami della famiglia Visnyei. “In quel periodo studiavo a Padova ed ero andato a Budapest per conoscere i parenti di Antal – ricorda Berkenwald – un giorno ero a casa di un amico italiano, stavamo chiacchierando e la tv era accesa. Trasmettevano una partita del Torneo di Viareggio”. Proprio Milan-Vasas. “Tra i giocatori riconobbi Gyula. Che coincidenza! La prima cosa che pensai era che dovevo scendere a Viareggio e trovarlo”. Ma i telefonini non esistevano ancora e il Vasas era scortato da ufficiali dell’Ávh, la polizia segreta ungherese. Impossibile, o quasi, incontrarsi.<br />
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E invece sì. Carl e Gyula s’incrociano. S’appartano in un bar, lontano dal chiasso, da sguardi indiscreti. Li accompagnano Al, l’altro studente, e Gyuri Schneider, che fa da tramite con Carl parlando in tedesco. Salta fuori l’idea di disertare: basta Ungheria, ora Gyula sogna l’America. Il gruppetto si sposta alla Pensione Giotto, oggi scomparsa, dove discute nei dettagli la fuga. Che viene messa in atto il giorno dopo, lunedì 10 febbraio, a Pistoia: Carl, che nel frattempo ha allertato il Consolato americano a Firenze, e Al si presentano allo stadio tre ore prima del calcio d’inizio. E trovano il custode: “Gli chiesi il suo orientamento politico, mi disse che votava per la Dc. ‘Devo aiutare un ungherese a scappare’, gli spiegai. Mi promise che avrebbe lasciato accostato un cancello proprio dietro agli spogliatoi”.<br />
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La partita finisce 1-1: il Vasas è fuori. Carl entra negli spogliatoi, presidiati dai carabinieri e dagli agenti ungheresi, e chiede il permesso per una foto col cugino calciatore: “I miei compagni sapevano cosa avessi in mente – dice Visnyei – ma nessuno mi salutò o parlò quando uscii”. Con una banale scusa, Carl e Gyula si avvicinano e trovano il cancello socchiuso. Con il cuore in gola corrono alla stazione degli autobus: “Indossavo la tuta del Vasas, ero riconoscibilissimo – continua Visnyei – per sicurezza mi rinchiusi in bagno. Furono i quaranta minuti più lunghi della mia vita”.<br />
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Finalmente, arriva un pullman per Firenze: “Me lo ricordo come fosse ieri, l’autista aveva appena messo in moto e fecero irruzione i poliziotti ungheresi – dice Berkenwald – per fortuna non ci videro. Che pazzo sono stato!”. Ricevuti personalmente dal console Wheeler, i due vengono poi mandati al Comitato internazionale per rifugiati a Roma. Della fuga di Visnyei non si sa nulla: a Viareggio le prime pagine dei giornali sono monopolizzate dal caso Lavorini, le autorità ungheresi ne vengono a conoscenza soltanto tre giorni dopo. Visnyei vivacchia nella capitale per quasi quattro mesi, quando raggiunge lo zio in America.<br />
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Qui, dopo mille peripezie e i lavori più disparati – ha fatto da guardiano allo Spahn Ranch, ignorando che vi dimorasse la comune di Charles Manson -, riuscirà a coronare il sogno di diventare calciatore professionista nel 1975: sono gli anni della Nasl, dove finiscono a svernare Pelé, Chinaglia, Beckenbauer, Best, Cruijff, Deyna, Moore. Tutti compagni di squadra o avversari di Visnyei, nel frattempo ribattezzato Juli Veee (con tre ‘e’ per non confonderlo con il cantante Bobby Vee).<br />
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Ma è negli anni Ottanta che diventa una leggenda vincendo campionati a ripetizione nell’<i>indoor soccer</i>, un bizzarro ibrido fra calcio e hockey su ghiaccio. Oggi fa il pittore e vive a San Marcos, città residenziale dell’area urbana di San Diego. Con una consapevolezza: “Se non avessi visto Carl quel giorno non sarei qui. Non smetterò mai di dire grazie”. A lui, certo. Ma anche a Viareggio e al suo Carnevale. <br />
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Simone Pierottihttp://www.blogger.com/profile/01305919647376531873noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1006519075357771760.post-85143445114657129822018-08-18T08:00:00.000+02:002018-08-18T10:06:13.390+02:001968: quando Năstase trionfò a Viareggio<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1sH8e9nUSC32HsBHvyxCbEW7l4tyng-SHLcn_9Ig1yzToAnizP9ncDvq8D78lD-3uBufmgKE_cI_Ywb3ZTU2SFVAAWRCeeR0zpC05QsQblNkrUTK8NpEs4fjk-SsLDOulxv2rmZaoKgWe/s1600/IMG_20180809_010739.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1200" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1sH8e9nUSC32HsBHvyxCbEW7l4tyng-SHLcn_9Ig1yzToAnizP9ncDvq8D78lD-3uBufmgKE_cI_Ywb3ZTU2SFVAAWRCeeR0zpC05QsQblNkrUTK8NpEs4fjk-SsLDOulxv2rmZaoKgWe/s320/IMG_20180809_010739.jpg" width="240" /></a></div>
Circolo del tennis di Viareggio, uno dei più antichi d'Italia. Mezzo secolo fa preciso preciso. È una domenica di metà agosto - il 18, per la precisione - e al fresco della Pineta di Ponente, il grande polmone verde immerso nel centro città, tutti attendono la finalissima del torneo.<br />
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In una metà del campo s'accomoda uno dei nomi illustri di quell’epoca, apprezzato specialmente come doppista: è lo jugoslavo Boro Jovanović.<br />
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Dall’altra, invece, scalpita un giovanotto talentuoso e sbruffone che famoso (eufemismo) lo diverrà invece di lì a poco: è rumeno, si chiama Ilie Năstase.<br />
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Le aspettative del pubblico non andranno deluse.<br />
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<a name='more'></a>È un anno storico, quel 1968. Nella fattispecie, però, c’entrano ben poco i movimenti studenteschi, le proteste di piazza, il "vietato vietare" e "l'immaginazione al potere": nel tennis la rivoluzione fa rima con introduzione. Del professionismo, s'intende: nasce la cosiddetta 'era open', uno spartiacque che stravolgerà i destini della racchetta.<br />
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E segnerà pure la fine degli Internazionali di Viareggio, in voga ormai dagli anni Venti, mandati avanti con due spiccioli ma tanta buona volontà. La stessa che riesce ad attrarre (quasi) tutti i più forti tennisti. Facciamoli pure, i nomi: Gianni Cucelli, Jaroslav Drobný, Roy Emerson, Giuseppe Merlo, Enrique Morea, il primo "oriundo" del tennis Martin Mulligan, Orlando Sirola, e la lista potrebbe andare avanti.<br />
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Si parte il 12 agosto con le consuete cinque categorie - singolare femminile e maschile, doppio femminile, maschile e misto - e le grandi stelle iniziano a brillare già dal giorno seguente: detto dei sopraccitati Jovanović e Năstase, il pubblico esige giocate spettacolari anche dall'altro big rumeno Ion Țiriac, dallo slavo Željko Franulović e dall'azzurro Pietrangeli, che il <i>Corriere dello Sport</i> nei suoi resoconti giornalieri dalla Perla del Tirreno chiama semplicemente 'Nicola', quasi fosse il beniamino per cui parteggiare apertamente.<br />
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Il torneo entra nel vivo all’indomani di Ferragosto con i quarti di finale: a sorpresa Eugenio Castigliano elimina senza alcuna esitazione Țiriac (6-2 6-3) e altrettanto fa Pietrangeli con il greco Kalogeropoulos, rimandato con un inappellabile 6-4 6-3. Soprattutto, c’è Năstase contro Franulović, derby d'oltrecortina, un faccia-a-faccia fra due caratterini mica male.<br />
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Come era già accaduto negli incontri che l'hanno opposto a Maggi e Di Domenico, il rumeno cede il primo set per poi vincere il secondo. È un duello che si gioca sui nervi: Năstase lascia il campo per un punto controverso assegnato al rivale, salvo tornare sui propri passi. Ha un'evidente predisposizione a colpire bene la pallina così come a mettere a dura prova la pazienza altrui, si tratti di avversari, arbitri o spettatori: quella sul campo centrale di Viareggio è solo la prima di tante sceneggiate in seguito replicate perfino a Wimbledon o al Roland Garros. Ma non è solo una questione di <i>vis polemica</i>: Năstase è anche un tennista geniale e, probabilmente, uno dei più completi che abbiano mai calcato un campo in erba, cemento o terra battuta.<br />
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Poi, sull'8-7 - il tie-break, invenzione e intuizione dell'americano Jimmy Van Halen, ha da essere ancora adottato in via definitiva - altro colpo di scena: stavolta è Franulović a ritirarsi per proteste, ma a differenza dell'altro senza ripensamenti. E negli spogliatoi, all'epoca ubicati nei locali che oggi ospitano la segreteria del circolo e la sala interna dell'adiacente bar-ristorante, quasi vengono alle mani.<br />
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In semifinale, invece, Năstase parte subito fortissimo e regola Castigliano in due set. La vera sorpresa - e delusione -, semmai, è l’eliminazione patita da Pietrangeli contro Jovanović: "sconfitto nettamente nel primo set" (6-2, per la cronaca), l'azzurro "nel secondo prova a rimettersi in gara ma è fermo sulle gambe e alterna buoni colpi a errori banali" come ci raccontano gli articoli di giornale.<br />
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Sulla finale soffia così il vento dell’Est e lo jugoslavo vuol bissare il trionfo di un anno prima. All’inizio sembra riuscirci, perché si aggiudica il primo set 7-5: l'irriverente e irritante Năstase appare incerto, si ritrova sempre sotto nel punteggio e non riesce mai a rimontare l'esperto avversario.<br />
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A lungo andare, però, si fanno sentire i sette anni in meno all’anagrafe del rumeno, che indovina un colpo dietro l’altro e strappa il secondo set per 8-6: da lì si divora Jovanović con degli eloquenti 6-0 e 6-3. Năstase non ha ancora saziato la sua fame di vittorie: vince pure il doppio maschile in coppia con Țiriac - sarà mica un caso che i due facciano sognare un Paese intero con tre finali di Coppa Davis, tutte perse contro gli Stati Uniti, fra il 1969 e il 1972 - ma perde quello misto per mano del suo stesso connazionale e della britannica McLennon, sconfitta nel singolare femminile dall’italiana Maria Teresa Riedl. Il torneo andrà avanti ancora un anno, poi finirà. Anche nel dimenticatoio.<br />
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<b>Fonti:</b><br />
<i>Corriere della Sera</i><br />
<i>Corriere dello Sport<br />Il Telegrafo</i><br />
"Circolo Tennis Viareggio 100: 1896-1996"<br />
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<b>Ringraziamenti:</b><br />
Giorgio Fazzini<br />
Alessandro Mastroluca<br />
<br />Simone Pierottihttp://www.blogger.com/profile/01305919647376531873noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1006519075357771760.post-39229145863325608882018-07-12T08:30:00.000+02:002018-08-23T23:38:50.202+02:00Cosa ci ha lasciato Francia 98<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhbEWGROh2fSC71csH5dtIIMdurFJ7FrW1ua5cynkTJkcaDVXr7Vus1oMiEcnyoxrwWVq-WA4jKXEGJkfXMUmXVvnL_T_i2kJaK0CbG2kwDfQ1LPa6mbcRkIa8Ee4WqV6X8UhgarE4WxIJX/s1600/zinedine-zidane-france-brazil-world-cup-1998-final_zyem9apgjdcl18z8aevwncnnj.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="529" data-original-width="940" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhbEWGROh2fSC71csH5dtIIMdurFJ7FrW1ua5cynkTJkcaDVXr7Vus1oMiEcnyoxrwWVq-WA4jKXEGJkfXMUmXVvnL_T_i2kJaK0CbG2kwDfQ1LPa6mbcRkIa8Ee4WqV6X8UhgarE4WxIJX/s400/zinedine-zidane-france-brazil-world-cup-1998-final_zyem9apgjdcl18z8aevwncnnj.jpg" width="400" /></a></div>
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Le coppiette che si sbaciucchiavano e si giuravano amore eterno sulle struggenti note di “My heart will go on”, meglio se accompagnate da un ballo lento. I pomeriggi interminabili a consumare i videogiochi di calcio con “Song 2” dei Blur e “Tubthumping” dei Chumbawamba in sottofondo - tanto avete già capito dove voglio andare a parare. Le ragazzine che si strappavano i capelli per Nick Carter dei Backstreet Boys. Il brit pop ormai sdoganato a tutti gli effetti, le All Saints e le B*Witched che provano a scalzare le Spice Girls. Le calde, per non dire afose, sere d’estate con l’immancabile gelato in mano ma non il cellulare, ché all’epoca non era ancora un bene di consumo di massa.<br />
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Eh no, caro Platini: la storia del “piccolo imbroglio” nei sorteggi del Mondiale del 1998 non può cancellare i ricordi di noi trenta-e-qualcosa-enni che all’epoca eravamo degli ingenui adolescenti sognatori. E soprattutto, così a posteriori, non può rientrare nel lascito di un torneo che è stato la perfetta transizione dal calcio degli anni Novanta a quello “moderno” dai più vituperato - ma che, cari seguaci della nostalgia, è germogliato proprio nel periodo storico che tanto rimpiangete.<br />
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<a name='more'></a><span style="font-size: large;"><b>Più siamo, meglio è</b></span><br />
Partiamo dai numeri: come hanno scritto Nicola Sbetti e Riccardo Brizzi nel loro recentissimo (e consigliatissimo) “Storia della Coppa del Mondo di calcio”, l’edizione che si svolse in Francia “fu televisivamente la più vista nella storia del calcio, trasmessa in 196 Paesi per un tempo complessivo di 29.145 ore di programmazione con 13mila giornalisti accreditati, 3mila in più rispetto al 1994”.<br />
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E ancora: “I biglietti fruttarono al comitato organizzatore la cifra record di 423 miliardi”. Te credo: furono i primi Mondiali a 32 squadre, il massimo raggiunto dalla Fifa prima dell’ulteriore ampliamento a 48 messo ai voti un paio d’anni fa.<br />
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Una mossa tipica dell’allora presidente della FIFA, l’ex pallanotista brasiliano João Havelange, che mirava allo sfruttamento del potenziale economico e commerciale dei Mondiali ed estendere la partecipazione soprattutto ai Paesi non europei (fece il suo debutto il Giappone, per dirne una).<br />
<br />
Non a caso, osservano ancora Sbetti e Brizzi, nel 1998 le nazioni (e le nazionali) del Vecchio Continente erano meno della metà del totale delle partecipanti. Più squadre, più partite, più gol. Più spettacolo. Sicuri? Qualità e quantità fanno rima, ma raramente vanno a braccetto. Anzi, spesso sono legate da una relazione di proporzionalità inversa. Ma alla Fifa, a quanto pare, poco importa.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgm8cs6izXtYBQP3VS7xRWoXXGMI1vaPNzYnxlyPHp-7DrMpjCaUvwAGBcFR7tCi5_SZakOdBR7hNGDcFSX54T_JLsE-ZVM0ML3ySbi11j2_70NPD_52zb6pZKTKYiVp2dpNHyNvGBUQQmy/s1600/havelange-blatter.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="390" data-original-width="585" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgm8cs6izXtYBQP3VS7xRWoXXGMI1vaPNzYnxlyPHp-7DrMpjCaUvwAGBcFR7tCi5_SZakOdBR7hNGDcFSX54T_JLsE-ZVM0ML3ySbi11j2_70NPD_52zb6pZKTKYiVp2dpNHyNvGBUQQmy/s320/havelange-blatter.jpg" width="320" /></a></div>
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<b><span style="font-size: large;">Globalizzazione + commercializzazione</span></b><br />
Ben appunto: il massimo organo calcistico mondiale aveva intuito che aria tirava e l’avvicendamento, nei mesi successivi, tra Havelange e lo svizzero Sepp Blatter al comando dell’impero fu una logica conseguenza. Sempre meno eurocentrico, sempre più globale. Del resto, a partire da Francia ’98 tutte le edizioni dei Mondiali hanno fatto registrare audience cumulative superiori ai 25 miliardi di telespettatori. E quella di venti anni fa ebbe un straordinario successo in termini di marketing: 728 miliardi di lire, cento in più rispetto a Usa ‘94, come ci dicono Sbetti e Brizzi.<br />
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“Tutti volevano la finale tra Francia e Brasile”, ha aggiunto Platini nella sua recente dichiarazione. Tra questi c’erano sicuramente due colossi dell’abbigliamento sportivo come Adidas e Nike che per la prima volta si ritrovarono a duellare nell’atto conclusivo dell’evento calcistico per antonomasia.<br />
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Oltretutto, le stelle più attese erano Zinedine Zidane con le sue Predator Accelerator, caratterizzate da un’allacciatura asimmetrica, e Ronaldo che invece sfoggiava le sgargianti Mercurial argentate e azzurre. Secondo la vulgata, sarebbe stata proprio l’azienda americana a imporre la presenza in campo dal primo minuto di un Ronaldo colpito da convulsioni nelle ore precedenti la finalissima.<br />
<span style="font-size: large;"><b><br /></b></span>
<span style="font-size: large;"><b>Europa vs. Resto del Mondo</b></span><br />
Oddio, questo forse non è uno dei ricordi più illustri di venti (ventuno, per la precisione) anni fa. Però è rimasto a modo suo unico e irripetibile e probabilmente non verrà più replicato. Il 4 dicembre del 1997 il sorteggio dei gironi eliminatori — quello truccato, a detta di Platini — si svolse eccezionalmente all’aperto, allo stadio Vélodrome di Marsiglia, con un gustoso antipasto: una sfida tra Europa (in maglia bianca) e Resto del Mondo (in maglia azzurra).<br />
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Così, a memoria, ricordo benissimo che… i non europei segnarono qualcosa come cinque o sei gol; là davanti Batistuta e Ronaldo s’intendevano che era una delizia per gli esteti del calcio; l’Italia fu rappresentata da Costacurta; l’Europa andò in vantaggio con il rumeno Lăcătuș del quale venne però messa in dubbio la convocazione al Mondiale (ci andrà regolarmente: i soliti giornalisti…).<br />
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Segnò il colombiano Antony de Ávila detto Pitufo (“Puffo”) per via del suo misero un metro e 60 di altezza; la stampa - non solo quella italiana, da sempre incline a soprannomi roboanti e dall’involontario effetto comico - ebbe l’ardire di ribattezzare l’attaccante giamaicano Deon Burton il “Ronaldo dei Caraibi”.<br />
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<b><span style="font-size: large;">Scommettiamo che…</span></b><br />
A quei tempi le schedine del Totocalcio — e, in misura minore, del Totogol — rimanevano uno dei passatempi preferiti dagli avventori di tabacchini e ricevitorie. Ma a fine anni Novanta chi tentava la fortuna con i pronostici sulle partite di calcio trovò un nuovo e forse più redditizio strumento: le scommesse “a quota fissa”.<br />
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Il 2 giugno, poco più di una settimana prima del calcio d’inizio tra Brasile e Scozia allo stadio di Saint Denis, fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto Ministeriale 174 che sarebbe entrato in vigore diciotto giorni dopo. Fu una svolta storica: prima di allora, in Italia, le scommesse sportive erano ammesse esclusivamente sulle corse dei cavalli.<br />
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Il Mondiale di Francia ’98, seppur dai quarti di finale in poi, divenne così il primo evento calcistico nel nostro Paese su cui poter effettuare legalmente delle puntate in denaro e solo all’interno di agenzie specializzate.<br />
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Piccola curiosità: pochi mesi prima la Snai aveva lanciato un esperimento in occasione del torneo internazionale di calcio giovanile di Viareggio, anche quello allargato a 32 squadre. Con la non sottile differenza che sulle partite delle squadre Primavera si potevano scommettere e vincere crediti virtuali. Tipo i fantamilioni, insomma.<br />
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<span style="font-size: large;"><b>Maledizioni azzurre</b></span><br />
Il 1998 fu, con gran sollievo di noialtri italiani, l‘ultima stagione della trilogia del malocchio dei rigori per l’Italia, almeno ai Mondiali (bofonchierete: grazie assai, nel 2010 e nel 2014 siamo stati eliminati ai gironi e quest’anno manco ci siamo…).<br />
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Ma la sfortuna non finiva qui: Peruzzi rimediò uno stiramento durante il ritiro e venne sostituito da Toldo - che indossò il numero 1 sulla schiena - con Pagliuca promosso a titolare e all’ultimo minuto rinunciò pure Ravanelli, rimpiazzato da Chiesa che nelle foto ufficiali e nei poster distribuiti dalla Ip figurava con la maglia numero 23 (all’epoca non consentito dalla Fifa), ereditando poi il 20 dall’attaccante del Marsiglia.<br />
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Analogamente, due anni dopo, Buffon si fece male in un’amichevole tra Italia e Norvegia e concluse l’Europeo in Belgio e Olanda ancor prima che iniziasse. Scongiurati, invece, i forfait di Zambrotta in Germania nel 2006 (c’era Bonera in lista d’attesa), di Pirlo in Sudafrica quattro anni dopo (lo avrebbe sostituito Cossu) e infine di Sirigu (Mirante era già volato in Brasile), Barzagli e Paletta (uno dei due avrebbe eventualmente ceduto il posto a Ranocchia).<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjl35WEmv7IkFxKqPEYfstRmD9p7WsACwbnqczOOYKSMQI2H-oE2nc_Qk4p-eGGSJc9Uc6arn9ddV1IylwDrxQ__R4jeN57g2efvc3St7NA-o8fcHPW6Eq1mP0wI0LR75apGWY2W1yrVImS/s1600/2297035-47839490-2560-1440.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="393" data-original-width="700" height="223" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjl35WEmv7IkFxKqPEYfstRmD9p7WsACwbnqczOOYKSMQI2H-oE2nc_Qk4p-eGGSJc9Uc6arn9ddV1IylwDrxQ__R4jeN57g2efvc3St7NA-o8fcHPW6Eq1mP0wI0LR75apGWY2W1yrVImS/s400/2297035-47839490-2560-1440.jpg" width="400" /></a></div>
<b style="font-size: x-large;"><span style="font-size: large;"><br /></span></b>
<b style="font-size: x-large;"><span style="font-size: large;">Maglie e magliette</span></b><br />
Sempre in tema di azzurri: il Mondiale francese è stato l’ultimo nel quale sulle divise da gioco indossate dai calciatori italiani non compariva il logo dello sponsor tecnico.<br />
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E il 12 luglio, in corrispondenza della sopraccitata finale tra Francia e Brasile, abbiamo visto per l’ultima volta i mitici numeri “tridimensionali” serigrafati sulla parte posteriore delle casacche: introdotti nel 1982 sulle maglie dell’Italia che poi alzò nel cielo di Madrid la sua terza Coppa del Mondo, Adidas li ripropose sedici anni dopo per le proprie nazionali (beh, quasi tutte: la Spagna, destinata ancora per poco a recitare il ruolo di eterna incompiuta, presentò un font diverso).<br />
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Tra le divise più meritevoli di quell’edizione, invece, non si può certo dimenticare quella ideata da Asics per il Giappone con l’immagine stilizzata di una fiamma sulle spalle. O la maglia da portiere della Giamaica, che sulla parte superiore aveva in bell’evidenza nientemeno che due foglie di marijuana. E soprattutto quella, stupenda, del Messico con i minuziosi disegni del calendario azteco.<br />
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<b><span style="font-size: large;">Balcaniadi</span></b><br />
Stoichkov e Stojkovic, Suker e Mijatovic, Hagi e Popescu, Boban e Savicevic, Prosinecki e Stankovic, e potremmo andare avanti per giorni, settimane, mesi. Con il crollo del Muro di Berlino e del comunismo, al di là della cortina di ferro si chiuse un’epoca anche calcisticamente parlando: i giovani calciatori slavi, rumeni e bulgari potevano lasciare il loro paese senza aspettare il compimento dei 28 anni e accasarsi dove meglio credevano.<br />
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Se il primo Mondiale degli anni Novanta coincise con il canto del cigno di una Jugoslavia che scricchiolava sempre di più e di un’Unione Sovietica ormai defunta, l’ultimo si è invece caratterizzato per la massiccia presenza di nazionali provenienti dai Balcani (ben quattro: Bulgaria, Croazia, Serbia-Montenegro e Romania).<br />
<br />
Anzi: non fu forse un caso che l’apice - mica vi sarete dimenticati che i croati arrivarono terzi, mettendo addirittura paura alla Francia in semifinale… - sia stato toccato con l’ultima nidiata di calciatori tirata su negli anni del “protezionismo” imposto dai comunisti. Difficilmente rivedremo una così alta concentrazione di talento, e soprattutto di genio e sregolatezza, sul proscenio prestigioso di una Coppa del Mondo.<br />
<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgxh8yiOQ413ZhL75bNuiI1ipFaXesQXGcC7HzZIbK8Qxb1vJ2dNqJfo1WYicOZ8wR8jQfIbiT6yZQTlyb2jfUNmZvy1tkp5JHuKpt1Zb6_GOQw7PbU28k4a_psd0gtB9BqtSkKStPH0jcs/s1600/zidane+1998.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="564" data-original-width="1003" height="223" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgxh8yiOQ413ZhL75bNuiI1ipFaXesQXGcC7HzZIbK8Qxb1vJ2dNqJfo1WYicOZ8wR8jQfIbiT6yZQTlyb2jfUNmZvy1tkp5JHuKpt1Zb6_GOQw7PbU28k4a_psd0gtB9BqtSkKStPH0jcs/s400/zidane+1998.jpg" width="400" /></a></div>
<br />
<b style="font-size: x-large;">Liberté, egalité, diversité (macché)</b><br />
Una nazionale multietnica che porta per la prima volta la Francia sul tetto del mondo all’antivigilia delle celebrazioni per l’anniversario della presa della Bastiglia. Un sincronismo perfetto. La rosa dei ventidue <i>bleus</i> entrati nella storia - laddove Platini, Giresse e Tigana non erano riusciti a spingersi - fu uno spaccato dell’intera storia coloniale francese tra Algeria, Guadalupa, Guyana, Martinica e Senegal.<br />
<br />
Non che fosse una novità in senso assoluto: già in passato erano stati convocati in nazionale figli di emigrati o calciatori nati fuori del territorio francese, includendo anche i possedimenti d’oltremare. Solo che nessuno era stato capace di mettere le mani sul trofeo che ogni bambino sogna di alzare quando comincia a dare calci a un pallone.<br />
<br />
Dopo la doppietta di testa di Zidane (toh, un originario del Maghreb) e il sigillo finale di Petit, un intero Paese scese per strada - i soliti Sbetti e Brizzi osservano che fu quello anche il primo Mondiale delle piazze, con mega-schermi allestiti nelle grandi città transalpine - e scoprì che la diversità poteva essere una ricchezza.<br />
<br />
“È stato necessario il Mondiale per ritrovare l’atmosfera della Liberazione”, fu il commento de Le Figaro. Fu una mera illusione, come di lì a pochi anni avrebbe testimoniato la sommossa nelle banlieue di Parigi, Marsiglia, Nizza e altre città, anche se la nazionale continua a essere multicolore.<br />
<br />
<b><span style="font-size: large;">La partita della distensione</span></b><br />
Il 21 giugno non fu solo il solstizio d’estate: allo stadio Gerland di Lione si giocò un match magari poco attraente sul piano squisitamente tecnico, ma ricco di fascino per le sue implicazioni storiche e politiche.<br />
<br />
Chissà se “il piccolo imbroglio” a cui ha fatto riferimento Platini valeva pure per il Girone F: dall’urna di Marsiglia uscirono i nomi di Stati Uniti e Iran. Che proprio nei mesi precedenti il Mondiale stavano faticosamente ricominciando a tessere le loro relazioni diplomatiche dopo venti anni di schermaglie (eufemismo: nell’immaginario collettivo iraniano gli Usa erano il “Grande Satana”).<br />
<br />
Prima del fischio d’inizio dello svizzero Urs Meier (e chi meglio di un arbitro proveniente da un Paese da sempre neutrale?) i calciatori di entrambe le squadre posano per una fotografia questa sì davvero segnante, abbracciandosi tutti assieme. A pochi minuti dall’intervallo l’iraniano Estili raccoglie uno spiovente dalla destra e gira di testa la sfera sul secondo palo, inarrivabile per il portiere avversario Keller. Nel finale del secondo tempo Mahdavikia capitalizza al meglio un contropiede da manuale e tre minuti dopo McBride rimette in corsa gli Usa, sfruttando un’amnesia difensiva sugli sviluppi di una palla inattiva.<br />
<br />
Per le strade di Teheran, pochi mesi dopo la vittoria nello spareggio contro l’Australia per la qualificazione ai Mondiali, è festa. E poco importa se l’Iran verrà eliminato dalla fase a gironi: l’impresa rimarrà.<br />
<br />
<div style="text-align: center;">
<i>(articolo originariamente pubblicato su <a href="https://crampisportivi.it/cosa-ci-ha-lasciato-francia-98-abe77574e9a">Crampi Sportivi</a>)</i></div>
<br />Simone Pierottihttp://www.blogger.com/profile/01305919647376531873noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1006519075357771760.post-44591369840493300772018-06-22T08:00:00.000+02:002018-06-22T17:00:10.659+02:00Storie mondiali: la maglia della Mano de Dios<br />
<div class="MsoNormal">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiSsWnt0xdWPJ_fjmF_xe2iKBqCWwo2MfCslHGr7SUZLc1f6hpG7KqxzcYLROArBSQW11DrOPYAkmjCenRYfZB9nwzzf7dfsCRMPPd_ta6U7IKFFs9c_uLMmuLky2fQlGtYhk32hnS51oFE/s1600/Camiseta-Argentina-World-Cup-Mexico-1986-Remake-Away-_1.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="400" data-original-width="354" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiSsWnt0xdWPJ_fjmF_xe2iKBqCWwo2MfCslHGr7SUZLc1f6hpG7KqxzcYLROArBSQW11DrOPYAkmjCenRYfZB9nwzzf7dfsCRMPPd_ta6U7IKFFs9c_uLMmuLky2fQlGtYhk32hnS51oFE/s200/Camiseta-Argentina-World-Cup-Mexico-1986-Remake-Away-_1.jpg" width="176" /></a>La rivincita sul campo di calcio tra argentini e inglesi dopo
la guerra delle isole Falkland – o, se preferite, Malvinas. La mano de Dios
propiziata da un colpo di genio (secondo gli ammiratori di Diego Armando
Maradona) o da una furbata tipica del personaggio (a detta, invece, dei
detrattori). Il gol più bello mai ammirato in uno stadio – e qui siamo tutti d’accordo. </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Argentina-Inghilterra, quarto di finale dei Mondiali messicani del 1986, è
passata ai posteri per i motivi sopra elencati. </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Eppure c’è una bizzarra storia
ai più sconosciuta legata alla partita che consacrò Maradona in tutte le sue
sfaccettature – quella della maglia azzurra indossata proprio dallo scugnizzo
argentino e dai suoi compagni di squadra.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
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</div>
<a name='more'></a>Prologo doveroso: i Mondiali del 1986 vengono assegnati al
Messico dopo il passo indietro fatto dalla Colombia per motivi finanziari e
dopo la candidatura a vuoto avanzata da Stati Uniti e Canada. L’Argentina gioca
le partite del girone tra Città del Messico e Puebla, a oltre duemila metri dal
livello del mare, dove l’aria diventa rarefatta e il respiro sempre più affannoso.<br />
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Le Coq Sportif, la marca d’abbigliamento francese che sponsorizza la nazionale latinoamericana,
confeziona così uno stock di magliette con tessuto in microfibra che facilita
la traspirazione anche ad altissima quota: peccato che l’abbia fatto solo per le
divise da casa, quelle con le tradizionali strisce bianche e celesti… <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Il dilemma, comunque, non si pone fino all’ottavo di finale
contro l’Uruguay, giocato sotto il solleone delle quattro del pomeriggio: per
evitare confusione con le tonalità, ben appunto, celesti o bianche degli
avversari l’Argentina è costretta a vestire l’azzurro. Il cotone s’impregna di
sudore in men che non si dica, Maradona e compagni boccheggiano ma riescono
comunque a superare l’ostacolo – segna Pasculli, fromboliere del Lecce. </div>
<div class="MsoNormal">
<br />
“Mai
più e mai poi”, tuona il ct Bilardo. Però contro l’Inghilterra e la sua
inconfondibile maglia bianca con lo stemma dei tre leoni si ripresenta il
problema dell’indesiderata divisa da trasferta. E allora, che si fa?</div>
<div class="MsoNormal">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br />
Succede che l’Argentina aggira l’ostacolo e, soprattutto, il
regolamento della Fifa che non consente cambi di maglia a torneo iniziato. E lo
fa in modo picaresco. A tre giorni dalla sfida con gli inglesi, Il magazziniere
Rubén Moschella sale a bordo di un taxi e tra le bancarelle della capitale
messicana va alla disperata ricerca di una casacca con il galletto della Coq
Sportif – contraffatto, of course: l’etichetta riporta “Hecho en México”, ‘fabbricato
in Messico’. Trovati un paio di esemplari, torna trafelato al ritiro della
Albiceleste e Bilardo chiede a Maradona quale delle due preferisca. “Con questa
camiseta battiamo gli inglesi”, dice lui. E Moschella procede con l’acquisto di
38 maglie per i 19 giocatori di movimento. Tutto sistemato? Macché: bisogna
ancora ricamare altrettanti stemmi dell’Afa, la Federcalcio argentina, e stampare
i numeri sul retro.</div>
<div class="MsoNormal">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
L’aiuto salvifico arriva dal Club América di Città del
Messico, una delle squadre più titolate e tifate del calcio azteco, grazie ai
contatti di alcuni ex calciatori argentini che vi hanno militato e che hanno
fatto da intermediari: un disegnatore realizza alla bell’e meglio con il suo
personal computer un simbolo che si avvicini il più possibile a quello dell’Afa
– il tempo stringe, però, e allora mancano rispetto all’originale i due rami d’alloro
-, mentre uno stuolo di anonime sarte si mette a cucirlo su ogni maglia. E poi
ci sono i numeri, più grandi rispetto a quelli della Coq Sportif e perfino con
una lieve patina argentata, perché erano pensati per delle divise da football
americano.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg2gw5jWJLoQ2LVzGTsxww6S9GoRhS3d-sc6-QTH5yXMbc06d9qPOkYXgINiK-hjRq4XG27f7xczHafn3kvyar2kqt7RaCEXReseis5Sl_C0yHs5unVRCjyWRc9hzHwBZfb27HzrsAwX_Q3/s1600/Maradona_scoring_england_1986.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1099" data-original-width="1600" height="273" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg2gw5jWJLoQ2LVzGTsxww6S9GoRhS3d-sc6-QTH5yXMbc06d9qPOkYXgINiK-hjRq4XG27f7xczHafn3kvyar2kqt7RaCEXReseis5Sl_C0yHs5unVRCjyWRc9hzHwBZfb27HzrsAwX_Q3/s400/Maradona_scoring_england_1986.jpg" width="400" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Il resto è storia. Prima Diego beffa uno Shilton in uscita,
ma anche compagni di squadra e avversari, spettatori e telespettatori, colpendo
il pallone di mano. E poi, come raccontò in diretta il telecronista Victor Hugo
Morales nel suo ormai celebre ‘relato’ in cui definì il Pibe un “aquilone
cosmico”... </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<blockquote class="tr_bq">
“…...la va a tocar para Diego, ahí la tiene Maradona, lo marcan dos,
pisa la pelota Maradona, arranca por la derecha el genio del fútbol mundial, y deja
el tercero y va a tocar para Burruchaga.. Siempre Maradona! <span lang="ES">Genio! Genio! Genio! ta-ta-ta-ta-ta-ta-ta... y
Goooooool... Gooooool... Quiero llorar! Dios santo! Viva el futbol! Golazo!
Diego! Maradona!”.</span></blockquote>
<b>Fonti:</b><br />
Jorge Valdano, "Il sogno di Futbolandia" (Mondadori)<br />
<a href="http://pangeanews.net/sport/storie-mondiali-finale-in-blu-per-largentina-come-in-quell86-delle-maglie-fatte-in-casa-89774/">Paolo Galassi, "Finale in blu per l’Argentina, come in quell‘86 delle maglie fatte in casa"</a><br />
<br />Simone Pierottihttp://www.blogger.com/profile/01305919647376531873noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-1006519075357771760.post-53318237453211451482018-05-29T08:00:00.000+02:002018-05-30T00:53:57.815+02:00Calcio e poesia: Osip Mandel'štam / 1<br />
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgIIONMHmQ_90uElNIzMzK8Vzzlh4aKztDbz2hyphenhyphenAzJuBniIRP8TlPh-5NPAjGSifOpUfTVHdbB6Dci1y6ln5ximzsCRItoAL75g_SVB4joB8dT4YraPSUf9_lt-QTVvUkbRuiqLPHorV0BZ/s1600/interior_mandelstam_frontis.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="966" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgIIONMHmQ_90uElNIzMzK8Vzzlh4aKztDbz2hyphenhyphenAzJuBniIRP8TlPh-5NPAjGSifOpUfTVHdbB6Dci1y6ln5ximzsCRItoAL75g_SVB4joB8dT4YraPSUf9_lt-QTVvUkbRuiqLPHorV0BZ/s200/interior_mandelstam_frontis.jpg" width="120" /></a><i>Forse a noi italiani il Mondiale in Russia significherà ben poco, data la mancata qualificazione degli azzurri. E invece trovo stimolante che si giochino delle partite a Mosca, a San Pietroburgo o nell'exclave di Kaliningrad perché sono città che hanno segnato la storia del Novecento. E poi perché reputo la Russia una potenza mondiale in ambito culturale, artistico e musicale.</i><br />
<i><br /></i>
<i>Per il secondo appuntamento con la "rubrica" sul rapporto tra calcio e poesia vi porto proprio nel Paese che ospiterà a breve i Mondiali. E lo faccio attraverso un letterato poco noto in Italia, o quantomeno dalla fama non paragonabile a quella di un Bulgakov, di un Dostoevskij, di un Tolstoj: si tratta di Osip Mandel'štam, "il più grande poeta russo del novecento". E se l'ha sentenziato un premio Nobel per la letteratura come Iosif Brodskij bisognerà pur crederci. </i><br />
<i><br /></i>
<i></i>
<a name='more'></a><i>Nato a Varsavia ma cresciuto a San Pietroburgo, Mandel'štam è forse l'esponente più noto dell'acmeismo, un movimento letterario antitetico al simbolismo sorto nel primo decennio del secolo scorso. Nel 1913 compone </i>"Футбол"<i> ("Calcio") e la data non è forse casuale: basti pensare che il </i>football <i>era sbarcato </i><i>proprio a San Pietroburgo solamente a fine Ottocento e che il primo campionato nazionale nella storia dell'impero russo si era svolto nell'anno immediatamente precedente a quello delle quattro quartine che Mandel'štam dedica al pallone.</i><br />
<i><br /></i>
<i>Per quanto l'acmeismo intendesse essere un superamento del simbolismo, in questa poesia non mancano alcune caratteristiche di quest'ultima corrente, su tutte il ricorso ad allegorie e immagini cariche di significati e rimandi: come viene spiegato al giovane protagonista del libro "Un fuoriclasse vero" di Sergej Samsonov, "il pallone rappresenta la testa mozzata del nemico sconfitto, quindi ogni calcio che subisce è come un oltraggio". </i><br />
<i><br /></i>
<i>Centrale è poi il ruolo di una figura femminile ispirata dalla letteratura o dalla mitologia e in questo caso Mandel'štam trae ispirazione dall'episodio della decapitazione di Oloferne da parte di Giuditta, contenuto nella Bibbia cristiana cattolica ma non in quella ebraica.</i><br />
<br />
Il guardaspalle fu avvelenato,<br />
In una lotta impari s'estenuò,<br />
Rimase deturpato, disonorato<br />
Del calcio il dio di spesso cuoio.<br />
<br />
E con la facilità dei pesi massimi<br />
I battiti battono il pugile:<br />
Oh, velo indifeso,<br />
Tenda non protetta!<br />
<div>
<br /></div>
Forse la folla s'era così accalcata,<br />
Quando, ancora tormentosamente viva,<br />
Prima di finire di bere dalla coppa,<br />
Rotolò ai piedi la testa tonda.<br />
<br />
Con inspiegabile ipocrisia<br />
Forse nello stesso modo con la punta del piede<br />
Sul cadavere ancora caldo di Oloferne<br />
Infierì Giuditta...<br />
<br />
(Телохранитель был отравлен.<br />
В неравной битве изнемог,<br />
Обезображен, обесславлен,<br />
Футбола толстокожий бог.<br />
<br />
И с легкостью тяжеловеса<br />
Удары отбивал боксер:<br />
О, беззащитная завеса,<br />
Неохраняемый шатер!<br />
<br />
Должно быть, так толпа сгрудилась,<br />
Когда, мучительно жива,<br />
Не допив кубка, покатилась<br />
К ногам тупая голова.<br />
<br />
Неизъяснимо лицемерно<br />
Не так ли кончиком ноги<br />
Над теплым трупом Олоферна<br />
Юдифь глумилась...)<br />
<div>
<br /></div>
Simone Pierottihttp://www.blogger.com/profile/01305919647376531873noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1006519075357771760.post-4778127354452193762018-05-23T07:30:00.000+02:002018-09-05T19:48:02.743+02:00Calcio e poesia: Günter Grass<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjv-CyPY2Gh5nJZrUBl8xbOFoFBBt7XQKNOuY1MwDeXwKWhTLCQoyIeEkGDtRAszGYp_0YDGPG409KkscfL3uaFuKfVyJ4LfZX4opQfnVFaffQXNUXaFBfdU-rw0_eKU5u7SEN7STl6fwXF/s1600/6a00d83451c36069e2016303adfe15970d-800wi.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="392" data-original-width="300" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjv-CyPY2Gh5nJZrUBl8xbOFoFBBt7XQKNOuY1MwDeXwKWhTLCQoyIeEkGDtRAszGYp_0YDGPG409KkscfL3uaFuKfVyJ4LfZX4opQfnVFaffQXNUXaFBfdU-rw0_eKU5u7SEN7STl6fwXF/s200/6a00d83451c36069e2016303adfe15970d-800wi.jpg" width="152" /></a></div>
<i>Pochi mesi fa, volendo scrivere un pezzo sul <a href="http://simonepierotti.blogspot.it/2018/02/il-calcio-balletto-delle-masse-dmitri-sostakovic.html">rapporto tra il compositore sovietico Dmitrij Šostaković e il calcio</a>, mi sono imbattuto in un interessante articolo che cita varie opere che scrittori, pittori e poeti russi hanno dedicato in quegli anni al pallone. Dopo un po', rimuginandoci, mi si è accesa la lampadina: perché non scriverne qui, sul mio blog?</i><br />
<i><br /></i>
<i>E così ho deciso di riportare, in italiano e nella rispettiva lingua d'origine, alcune poesie che hanno per tema il calcio e che sono state composte da grandissimi nomi. E oggi voglio partire addirittura da un Nobel per la letteratura: Günter Grass. Dopo tutto, la Germania è o non è campione del mondo in carica?</i><br />
<i><br /></i>
<a name='more'></a><i>Il pallone, oltretutto, ha spesso affascinato il grande scrittore tedesco: nella sua raccolta di racconti "Il mio secolo", ad esempio, spiccano il capitolo sulla celebre finale dei Mondiali del 1954 vinta in rimonta dalla Germania Ovest sulla leggendaria Ungheria di Puskás, Hidegkuti, Kocsis e Czibor e quello sull'altrettanto famosa partita fra le due Germanie del 1974 <a href="http://simonepierotti.blogspot.it/2009/11/il-gol-che-fece-scricchiolare-il-muro.html">decisa da un gol di Sparwasser</a>.</i><br />
<i><br /></i>
<i>Tifosissimo del St. Pauli, la squadra di culto dell'omonimo quartiere di Amburgo che da sempre professa i suoi valori antifascisti, Grass ha contestato negli ultimi anni della sua vita la crescente commercializzazione del calcio: "La trovo terribile. Non c'è più sana competizione nella prima e nella seconda divisione della Germania". E per lo scrittore nativo di Danzica c'è un solo responsabile a cui rinfacciare questa deriva: la FIFA. "Il suo comportamento è stato da codardi - dichiara poco prima dei Mondiali giocati in patria nel 2006 - ha assicurato che il calcio non sia più uno sport per la gente, ma semplicemente un grande business".</i><br />
<br />
<i>La poesia che leggete di seguito s'intitola "Nächtliches Stadion", ovvero "Stadio di notte". </i><br />
<br />
Lentamente ascese il pallone al cielo<br />
Allora si poteva vedere che la tribuna era gremita<br />
Solitario stava il poeta nella porta,<br />
ma l'arbitro fischiò: fuorigioco.<br />
<br />
(Langsam ging der Fußball am Himmel auf.<br />
Nun sah man, daß die Tribüne besetzt war.<br />
Einsam stand der Dichter im Tor,<br />
doch der Schiedsrichter pfiff: Abseits.)<br />
<br />Simone Pierottihttp://www.blogger.com/profile/01305919647376531873noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1006519075357771760.post-53860248222205417712018-05-10T08:00:00.000+02:002018-05-10T19:47:43.311+02:00Duncan Edwards, il più grande <br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh6hrSQlAtdWA4NBDvNEud_Ras9zrpaP5GSJVfltu5JGvm3-lehiy_2Avu3C-ZU2W2XeNgHkoik_EUFj3niC8SnnHukn8cTn2rhnaMTJ9jyCjKtVRZzw4xRdCtEhkfcaR_gZUcvDW16qUTK/s1600/9788832970319_0_0_0_75.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1480" data-original-width="1000" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh6hrSQlAtdWA4NBDvNEud_Ras9zrpaP5GSJVfltu5JGvm3-lehiy_2Avu3C-ZU2W2XeNgHkoik_EUFj3niC8SnnHukn8cTn2rhnaMTJ9jyCjKtVRZzw4xRdCtEhkfcaR_gZUcvDW16qUTK/s320/9788832970319_0_0_0_75.jpg" width="216" /></a></div>
<i>"I migliori biografi sono gli inglesi e gli americani". Ne parlavo giustappunto qualche giorno fa col mio amico Barge, con cui scambio sempre volentieri quattro chiacchiere, specie se si tratta del Carnevaldarsena o di libri di sport. In particolare, lui va matto per quelli editi dalla 66thand2nd. E oggi voglio parlarvi proprio di una biografia scritta da un inglese - meglio, da un gallese - e pubblicata proprio dalla casa editrice romana. Il libro, che ho divorato in pochi giorni, s'intitola "Duncan Edwards, il più grande" ed è uscito lo scorso 26 aprile. Quella che leggete di seguito è la mia recensione - la prima, oltretutto, ad apparire sul mio blog...</i><br />
<br />
Pelé. Maradona. Cruijff. Di Stéfano. Se ci venisse sottoposta l'annosa domanda su chi sia stato il più forte calciatore di ogni epoca, i nomi da snocciolare risulterebbero sempre gli stessi - magari i ragazzi nati nel nuovo millennio, per ovvie ragioni anagrafiche, ribatterebbero 'Messi' o 'Ronaldo' (quello portoghese). A nessuno verrebbe di sicuro in mente di uscirsene con un "Duncan Edwards", figura pressoché sconosciuta in Italia se non ai <i>nerd</i> del pallone ma entrata nel mito al di là della Manica.<br />
<br />
<a name='more'></a>Quando lo scrittore gallese James Leighton lo sentì dire dal proprio padrino stentava a crederci. Però se lo definisce "l'unico giocatore che mi abbia fatto sentire inferiore" un certo Bobby Charlton, che in carriera ne ha affrontati di campioni, non può essere uno scherzo o una provocazione. E giunti all'ultima pagina del bel libro "Duncan Edwards, il più grande" finiamo effettivamente per rifletterci su. O, quantomeno, non ci sentiamo di scartare a priori il suo nome dall'ormai arcinota lista.<br />
<br />
Edwards, per quanti ancora non lo sapessero, è stato effettivamente un calciatore fuori dal comune: nato come mediano, fu impiegato svariate volte come centravanti con notevole profitto - una volta finì pure in porta - e diventò il più giovane calciatore a indossare la maglia della nazionale inglese nel dopoguerra. Una carriera stroncata a poco più di 21 anni dal disastro aereo di Monaco di Baviera - che sta all'Inghilterra come la tragedia di Superga sta all'Italia - in cui perirono svariati giocatori del Manchester United, inclusa una bella nidiata dei favolosi <i>Busby Babes</i>. Edwards morirà un paio di settimane dopo l'incidente, perdendo una partita durissima.<br />
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La biografia confezionata da Leighton piace perché è lineare, scorrevole e (parlo a titolo personale) per niente romanzata. Certo, è ambientata negli anni Quaranta e Cinquanta e l'autore avrà anche dovuto lavorare d'immaginazione. Ma ci racconta la vita di Edwards - e ci restituisce uno spaccato dei forti cambiamenti sociali di quel periodo storico - dopo aver fatto qualche chiacchiera con chi l'ha conosciuto e dopo aver sfogliato le cronache dei giornali dell'epoca. E libri, tanti libri - se è vero che un libro non si giudica dalla copertina mi riservo di farlo esaminandone scrupolosamente la bibliografia... Volendo citare la non meno godibile prefazione di Wu Ming 4, Leighton ha "interrogato le fonti scritte".<br />
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Sempre Wu Ming ci anticipa che Leighton vuole "scremare la leggenda di Edwards e dei Busby Babes dall'aura di santità dovuta alla loro tragica fine". E in effetti l'autore ci conduce nella narrazione cercando di mantenersi il più possibile equidistante, senza trasformare la biografia in agiografia come ahimè spesso accade con gli sportivi italiani. Non mancano delle stilettate - anche condivisibili - sulle brutture del vituperato 'calcio moderno', ma non per questo Leighton cade nel tranello della nostalgia che oggigiorno va tanto di moda.<br />
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La parte meno convincente è forse il prologo ucronico con l'immagine di Edwards che, capitano della nazionale inglese, festeggia con i compagni la conquista della Coppa del Mondo del 1966. Tesi indubbiamente affascinante e verosimile, ma un romanzo è altro par di maniche da una una biografia che ha l'ambizione - e Leighton riesce nell'intento - di essere il più possibile fedele e aderente alla realtà. Piacevole invece la minuziosa descrizione della quotidianità nella città industriale di Dudley, che ha dato i natali a Edwards: mi ha ricordato quella di Cronin in "Le stelle stanno a guardare".<br />
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E quindi aveva ragione il Barge: i migliori biografi sono gli inglesi (pardon, britannici) e gli americani. E menomale, aggiungo io, che c'è chi pensa a tradurli per quanti non possono godersi il testo originale...<br />
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<b>Titolo: </b>"Duncan Edwards, il più grande"<br />
<b>Autore:</b> James Leighton<br />
<b>Pagine:</b> 304<br />
<b>Editore:</b> 66thand2nd<br />
<b>Prezzo:</b> 20 euro<br />
<br />Simone Pierottihttp://www.blogger.com/profile/01305919647376531873noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1006519075357771760.post-58740600856400007132018-03-12T13:30:00.000+01:002018-03-17T19:02:13.388+01:00I 70 anni del Torneo di Viareggio su "Rivista Undici"<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi9yjFLAUO-5Qkce5lsivp7p9F5sOcL99KxVIiIx_WB_I1Gc77h1path35iLA0cO-LAIRHiVg0rym1HLX1NIEAm_CDKnHDvmzuUy9RE_CzUC6JfNfSMh415TprjhyGrHLRsqIJpbCkxpDTp/s1600/viareggio+cup+undici.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="651" data-original-width="1333" height="195" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi9yjFLAUO-5Qkce5lsivp7p9F5sOcL99KxVIiIx_WB_I1Gc77h1path35iLA0cO-LAIRHiVg0rym1HLX1NIEAm_CDKnHDvmzuUy9RE_CzUC6JfNfSMh415TprjhyGrHLRsqIJpbCkxpDTp/s400/viareggio+cup+undici.jpg" width="400" /></a></div>
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<i>Scrivere per Rivista Undici è sempre un piacere, figuriamoci quando si tratta della mia città e di un torneo al quale sono e sarò sempre legato. Oggi, giorno in cui viene fischiato il calcio d'inizio della Viareggio Cup, riepilogo i primi settanta anni di storia di questa competizione giovanile che è perfino più antica della Coppa dei Campioni-Champions League e degli Europei per nazionali.</i><br />
<i><br /></i>
<a name='more'></a><i>Un lungo viaggio attraverso i nomi di grido uscito da quel torneo, gli aneddoti più curiosi legati ai grandi stranieri e infine i cambiamenti epocali degli ultimi anni.</i><br />
<i><br /></i>
<i><a href="http://www.rivistaundici.com/2018/03/12/torneo-viareggio/">Qui</a> l'articolo completo.</i><br />
<i><br /></i>Simone Pierottihttp://www.blogger.com/profile/01305919647376531873noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-1006519075357771760.post-27210326302478922018-03-08T14:15:00.002+01:002018-03-14T22:58:40.882+01:00Viareggio e la nazionale femminile di calcio <br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiHpwAuaRS91JhXHmDgHDD1mejQdTmbaiEBR8ji2dxoUI6UkQcmQD7BQV7QNRUL7bDkC_gFC0DVk8lEOAuadD-aKeTLojOUmAgMKJxx_1Y2X_N310T9cnVPQHXwMDfjyv6hX_hdYN9d1jUw/s1600/La+Stampa+1968-02-24.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="606" data-original-width="607" height="397" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiHpwAuaRS91JhXHmDgHDD1mejQdTmbaiEBR8ji2dxoUI6UkQcmQD7BQV7QNRUL7bDkC_gFC0DVk8lEOAuadD-aKeTLojOUmAgMKJxx_1Y2X_N310T9cnVPQHXwMDfjyv6hX_hdYN9d1jUw/s400/La+Stampa+1968-02-24.jpg" width="400" /></a></div>
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<i>Dato che oggi è l'8 marzo, mi pare doveroso ricordare che mezzo secolo fa - per l'esattezza il 23 febbraio 1968 - la nazionale di calcio femminile dell'Italia giocava la sua prima partita in assoluto a Viareggio. Sì, avete letto bene: a Viareggio. </i><br />
<i><br /></i><i>Per la cronaca le azzurre superarono di misura la Cecoslovacchia (2-1) che pochi giorni dopo avrebbe poi festeggiato il trionfo del Dukla Praga alla Coppa Carnevale. </i><br />
<i><br /></i><i>E sempre per la cronaca fu a Viareggio che nacque l'11 marzo seguente la Federazione Italiana Calcio Femminile. Di lì a pochi mesi furono gettate le basi anche del primo campionato nazionale di calcio femminile, con dieci squadre suddivise in due gironi - Ambrosiana, Genova, Pro Loco Travo, Pro Viareggio e Real Torino da una parte, Cagliari, Giovani Viola, Lazio 2000, Napoli e Roma dall'altra. </i><br />
<i><br /></i><i>Un pezzo di storia cittadina, ma anche nazionale, che non dovremmo dimenticare.</i><br />
<i><br /></i>
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"Mamma, mi compri la Barbie che gioca a calcio?". La richiesta di questa bambina immaginaria potrebbe presto diventare realtà: la Mattel, colosso mondiale dei giocattoli, ha realizzato una bambola a immagine e somiglianza di Sara Gama, capitano della Juventus femminile e difensore della nazionale. Creata in concomitanza con l’8 marzo, non è (ancora) in vendita eppure è un tentativo di dare ulteriore dignità al calcio in rosa. Un passo epocale. Come quello compiuto mezzo secolo fa da undici atlete uscendo dalla pancia dello stadio dei Pini: qui, il 23 febbraio 1968, la nazionale italiana femminile giocò una partita storica. La sua prima in assoluto.</div>
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A dirla tutta, dodici mesi prima aveva inaugurato il nuovo impianto d’illuminazione dello stadio viareggino un’altra sfida fra donne, quella tra le squadre di Milano e Piacenza. Ma, complice anche l’ondata di contestazione e il femminismo portati dal Sessantotto, fu l’anno successivo che si scrisse davvero la storia: l’amichevole tra Italia e Cecoslovacchia offrì la più insolita delle pause tra i quarti di finale e le semifinali della Coppa Carnevale di calcio giovanile. Era di venerdì e allo stadio dei Pini si presentarono in duemila, “non si sa se attirati più dalla grazia delle giocatrici o dalla precisione delle azioni” come osservò il corrispondente da Viareggio del quotidiano torinese <i>La Stampa</i>.</div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgTufjnEpk_uw4vs4GoifyWM3K4iM916PpUEog-PyN5Kzr18-AzIqtgujVq4fBi7d_eacCUWE2iiu6VEpgK_KfyTCSHPmS_khwScx15bWyBB4wmkiFHWtUM0mq1Y5lZ9kEpqGEx219UARlJ/s1600/femminile001.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1017" data-original-width="1257" height="258" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgTufjnEpk_uw4vs4GoifyWM3K4iM916PpUEog-PyN5Kzr18-AzIqtgujVq4fBi7d_eacCUWE2iiu6VEpgK_KfyTCSHPmS_khwScx15bWyBB4wmkiFHWtUM0mq1Y5lZ9kEpqGEx219UARlJ/s320/femminile001.jpg" width="320" /></a></div>
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Le azzurre andarono quasi subito sotto ma altrettanto immediatamente pareggiarono con la Tanini passando infine a condurre grazie a Maria Grazia Gerwien: tutto in venti minuti. “Le atlete italiane sono apparse preparate in maniera superiore alle previsioni – prosegue il resoconto de La Stampa – dopo avere ottenuto il secondo gol l’Italia s’è fatta molto più prudente e nella seconda parte della gara si è limitata a controllare le avversarie”. Vale la pena citare la formazione scesa in campo: Caolelli; Tessadori (Fabbri), Chelloni; Meles, Tanini, Bonalini; Feroldi (Castagnini), Gerwien, Ciceri, Gridelli, Lombardi.</div>
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Ma la città del Carnevale non si accontentò di ospitare quell’amichevole destinata ad abbattere pregiudizi: qui l’11 marzo - ma alcune fonti riportano l’11 aprile come data alternativa - nacque pure la Federazione Italiana Calcio Femminile. E siccome tra i suoi più entusiasti promotori c’era il viareggino Giovanni Mazzoni, attivo in politica nel Psi ma anche nel Carnevale, la Ficf fu presto ribattezzata “Federazione di Viareggio”. La stessa che gettò le basi per il primo campionato di calcio femminile su scala nazionale che partì il 23 giugno successivo con la formazione della Pro Viareggio ai nastri di partenza.</div>
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Il rapporto tra calcio femminile e Carnevale proseguì anche nel 1969, quando nel programma ufficiale venne inserita la sfida tra la Fiorentina e il Genova campione d’Italia. E nel 1973, centenario dei corsi mascherati, tornò la nazionale contro la Svizzera. Trent’anni dopo le azzurre furono nuovamente di scena allo stadio dei Pini nell'ambito del torneo mondiale di calcio giovanile: l’Italia allenata da Carolina Morace sconfisse di misura l’Inghilterra nella prima edizione del Trofeo Nedo Bresciani, bissando il successo nel 2004 contro l’Olanda. </div>
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L’ultimo appuntamento degno di nota a Viareggio - che tanto per non farsi mancare nulla ha tenuto a battesimo pure il beach soccer femminile una decina d’anni fa - risale proprio all’ultima edizione del torneo mondiale di calcio giovanile, con la sfida tra le formazioni Giovanissime di Sassuolo ed Empoli prima della finalissima tra neroverdi e azzurri. E visto che il Torneo inizia fra pochi giorni, chissà che non ci sia modo di trovare il tempo per ricordare quella storica partita di mezzo secolo fa. </div>
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Simone Pierottihttp://www.blogger.com/profile/01305919647376531873noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1006519075357771760.post-24992960909620570982018-03-01T18:00:00.000+01:002018-03-01T21:44:14.679+01:00Il derby di Atene su "Rivista Undici"<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjIRQmbHaOsrIhXDme4LfMi3RrxiXFzdcs6Mj5ueTimfIFUQYJTFIZHEvBT8Tt5On3w8WW6aclNQhf1JBRnp4w1WU0ubQuLaeUN1wgYy3DJmvZxNkntgZzqB1mR2N40vx82Pa9Nf0DF2M_o/s1600/derby+atene+undici.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="628" data-original-width="1268" height="197" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjIRQmbHaOsrIhXDme4LfMi3RrxiXFzdcs6Mj5ueTimfIFUQYJTFIZHEvBT8Tt5On3w8WW6aclNQhf1JBRnp4w1WU0ubQuLaeUN1wgYy3DJmvZxNkntgZzqB1mR2N40vx82Pa9Nf0DF2M_o/s400/derby+atene+undici.jpg" width="400" /></a></div>
<i><br /></i>
<i>È sempre un motivo di orgoglio vedere il mio nome sul sito di Rivista Undici. Tanto più dopo aver toccato gli argomenti che più mi piacciono. E, che si tratti di sport o di qualcos'altro, cosa c'è di meglio che scrivere di Grecia, anzi, di Atene, meglio ancora, di calcio ad Atene? Ecco, oggi ho scritto qualcosa sul derby tra Olympiakos e Panathinaikos, a mio modesto parere una delle rivalità più accese e meravigliose da raccontare, tra passato e presente.</i><br />
<i><br /></i>
<a name='more'></a><i>La mente non può non correre a quella domenica 21 marzo di otto anni fa, ai bar e i </i>kafenìo<i> di Fokionos Negri nel quartiere di Kipseli che trasmettevano la partita, alle birre che scorrevano a fiumi sui tavolini. Naturalmente fra gli avventori c'ero pure io, che ad Atene ci abitavo, e mi trovavo lì con una compagnia piuttosto eterogenea: tra questi ricordo un ragazzo greco che mi spiegò che, alla fin fine, i presidenti delle due rivali avevano buoni rapporti nel campo degli affari. E poi c'era Diana, una ragazza spagnola che ricordo sempre con piacere perché mi ha insegnato una lingua bellissima e mi ha arricchito molto come persona. </i><br />
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<i>Finì 1-0 per l'Olympiakos, che bissò il successo dell'andata ma non riuscì ad evitare che gli acerrimi nemici vincessero lo scudetto, grazie al guizzo dell'attaccante inglese Derbyshire che entrò dalla panchina. Quel giorno mi feci una bella abbuffata di partite di pallone, con Milan-Napoli e Manchester United-Liverpool nel primo pomeriggio in un bar vicino a casa mia - che, come tutti i pubblici esercizi di Atene, vendeva a carissimo prezzo una tazza di caffè - e Saragozza-Barcellona in tarda serata seguita a sedere su una pila di casse fuori da un supermercato, oltretutto di fianco a una fermata dell'autobus, in linea d'aria con lo schermo di un locale che stava dall'altro lato della strada.</i><br />
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<i>Otto anni dopo <a href="http://www.rivistaundici.com/2018/03/01/olimpiakos-panathinaikos/">ecco cosa ho scritto</a> di questa partita, che non sarà mai una qualunque. </i><br />
<i> </i>Simone Pierottihttp://www.blogger.com/profile/01305919647376531873noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1006519075357771760.post-13297848825893829612018-02-25T12:30:00.000+01:002019-01-20T23:30:31.403+01:00Sport e Carnevale di Viareggio: il tennis<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRHggJJAnBr1YTUSkI2DLCVImIeydlsW1vAnfNZy5sYIoMcUBHf8ZeBASs0HZTXPC348LrIO6luKj_FEByZcB02CHAKea2EfVnZqFmr1B0SCfMqzZR6irnyM8xdDBL7nfnMYhm41V4GiwZ/s1600/tennis+carnevale+1938+1.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="384" data-original-width="293" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRHggJJAnBr1YTUSkI2DLCVImIeydlsW1vAnfNZy5sYIoMcUBHf8ZeBASs0HZTXPC348LrIO6luKj_FEByZcB02CHAKea2EfVnZqFmr1B0SCfMqzZR6irnyM8xdDBL7nfnMYhm41V4GiwZ/s320/tennis+carnevale+1938+1.jpg" width="244" /></a></div>
Quando menava colpi su colpi con la racchetta a soli diciotto anni, nessuno osava fantasticare che quel valido giovanotto sarebbe un giorno diventato un regista talmente apprezzato da vincere un Leone d’Oro a Venezia e due David di Donatello ed esser nominato per ben quattro volte agli Oscar. Epperò a Viareggio è successo pure questo: ottant’anni fa un giovane Gilberto – per tutti, semplicemente, Gillo – Pontecorvo partecipò a un torneo in pieno Carnevale, sui campi del circolo nella pineta di Ponente. <br />
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Era il 1938 e di lì a qualche mese sarebbero partiti i lavori di realizzazione delle tribune in cemento armato tuttora esistenti: le progettò Giorgio Frette, viareggino laureatosi al Politecnico di Milano e fondatore del Gruppo 7 così come del Miar, il Movimento italiano per l’architettura razionale.<br />
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<a name='more'></a>A quei tempi il circolo metteva in piedi ogni estate un torneo internazionale che richiamava all’ombra dei pini Vanni Canepele, Giovanni Palmieri, il francese André Merlin e altri ancora. Per una volta, però, il presidente Paolo Fazzini volle attirare gli amanti della racchetta anche in inverno, sfruttando la concomitanza con i corsi mascherati. E così dal 23 al 25 febbraio, accolti da un clima quasi primaverile, si diedero appuntamento a Viareggio i migliori toscani in circolazione.<br />
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Pontecorvo, portacolori del Circolo Tennis Pisa, si destreggiò con grande abilità tanto che la rivista “Tennis e sport invernali” gli riservò alcune righe di elogio, suggerendogli di “curare maggiormente le possibilità che sono indubbiamente ottime” e che gli avrebbero permesso di “salire ancora la scala dei valori tennistici nazionali”. Nei quarti di finale eliminò il favoritissimo Eugenio Migone, in seguito capitano azzurro in Coppa Davis e presidente della commissione tecnica federale, per poi uscire nel turno successivo contro Dilaghi del Guf Firenze.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjvETbcA8I_jtL6AjUnDoihU3U8uMGdVWWkmBcNfCDXp33laSWYsyd17dUIZxnhGhUSHvEN2WbqOqdvi3fynXbCs_Tcq_aiimnxsPkk3wcMjnTb0GQP9ibFs5BNO-Sr64eORY6E_OZ8f3na/s1600/pontecorvo+1938+tennis+carnevale.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1453" data-original-width="1053" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjvETbcA8I_jtL6AjUnDoihU3U8uMGdVWWkmBcNfCDXp33laSWYsyd17dUIZxnhGhUSHvEN2WbqOqdvi3fynXbCs_Tcq_aiimnxsPkk3wcMjnTb0GQP9ibFs5BNO-Sr64eORY6E_OZ8f3na/s320/pontecorvo+1938+tennis+carnevale.jpg" width="231" /></a></div>
Il raggiungimento della semifinale, però, fu l’unico motivo di sorriso per il futuro regista di “Queimada” e “La battaglia di Algeri” in quel nefasto 1938: con l’entrata in vigore delle Leggi Razziali la famiglia del tennista, di fede ebraica, dovette fuggire dall’Italia e Gillo raggiunse il fratello maggiore Bruno a Parigi. <br />
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Il torneo di tennis fu il fiore all’occhiello del nutritissimo programma di manifestazioni sportive legate al Carnevale di quell’anno: ebbero luogo la popolare corsa campestre, una gimkana automobilistica per bambini, il tiro al piattello, una gara di remiere a Torre del Lago, un incontro di pugilato al Teatro Eden e una curiosa sfida fra camerieri che dovevano percorrere duecento metri con in mano un vassoio di bicchieri e bottiglie.<br />
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Quarant’anni dopo si tornò a impugnare la racchetta nel periodo dei corsi mascherati con il trofeo Coppa Carnevale e nel 1979 nacque addirittura un torneo in maschera promosso dal Tennis Club Italia che andò avanti fino a metà degli anni Ottanta.<br />
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Una tradizione ripresa pochi anni fa dal Carnevaldarsena non più sulla terra battuta ma sulla sabbia, con il trofeo di beach tennis. Il Carnevale, dopo tutto, pur mantenendo certe sue prerogative si è sempre adattato ai tempi e alle mode, non è vero?<br />
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Simone Pierottihttp://www.blogger.com/profile/01305919647376531873noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1006519075357771760.post-9483650466651517982018-02-23T08:00:00.000+01:002018-02-23T19:04:13.364+01:00I trofei scomparsi: la Coppa Carnevale di nuoto<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjynLB3bpNobSjmh6LTlxCmqOAoP6oRn0LQYf-pj8it0cONQQNWHSOAryi7Bkf859POm2aHHRjuD9It0DhjdTCuLX2ySNcLlqjhpmgNuPaG22ECLGCxkX2UdeBoGkVg3W8g2IJ5aK5hMqvw/s1600/11675.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1063" data-original-width="1600" height="265" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjynLB3bpNobSjmh6LTlxCmqOAoP6oRn0LQYf-pj8it0cONQQNWHSOAryi7Bkf859POm2aHHRjuD9It0DhjdTCuLX2ySNcLlqjhpmgNuPaG22ECLGCxkX2UdeBoGkVg3W8g2IJ5aK5hMqvw/s400/11675.JPG" width="400" /></a></div>
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C’è la Coppa Carnevale di calcio che da oltre mezzo secolo fa esibire sul prato dello stadio dei Pini gli “assi del domani”, come recita l’inno composto da Aldo Valleroni e Stefano Sciarra. E poco più in là, nella piscina comunale vergognosamente chiusa da mesi, c’è stata un’altra Coppa Carnevale – quella di nuoto - che ha portato a Viareggio una sfilza di giovani promesse che avrebbero poi messo al collo medaglie europee, mondiali e olimpiche. Una storia avvincente, iniziata quarant’anni fa e finita tuttavia in malo modo nell’indifferenza generale.<br />
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<a name='more'></a><b><span style="font-size: large;">Nel segno di Burlamacco </span></b><br />
Il meeting di nuoto è stata una creatura dell’Artiglio, società nata a metà degli anni Settanta e subito attivissima: nel 1975 organizzò il cimento di nuoto pinnato nel canale Burlamacca e la singolare cerimonia d’apertura delle sfilate con un Re Carnevale in versione sommozzatore. Tre anni dopo s’inventò pure una vetrina invernale per giovani nuotatori.<br />
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“Volevamo fare un meeting con le nostre forze e, per quanto fossimo sorti da poco, ci sentivamo pronti per imbarcarci in quest’esperienza – è il ricordo di Bruno De Plano, vecchia gloria del basket viareggino e all’epoca allenatore di nuoto – partimmo in sordina, ma già dagli anni Ottanta i risultati furono entusiasmanti: una volta venne perfino una rappresentativa dagli Stati Uniti e riuscimmo a portare anche la Rai in piscina. In poco tempo la Coppa Carnevale diventò il primo meeting internazionale d’Europa in ambito giovanile”.<br />
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<span style="font-size: large;"><b>Fatto in casa </b></span><br />
A Viareggio, nel periodo dei boicottaggi olimpici, arrivarono nuotatori dalla Jugoslavia, dalla Romania, dalla Germania Est: due di loro, Uwe Dassler e Lars Hinneburg, fecero registrare delle straordinarie prestazioni prima di affermarsi ai Mondiali di Madrid e ai Giochi di Seul. E poi lo spagnolo José Luis Ballester, il futuro pallanotista Francesco Postiglione, Stefano Battistelli, la tedesca Jana Dörries e lo slavo Srđan Cicarelli che diverrà però famoso come velista del Team +39 alla Coppa America.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6cPYp2i2QMSZsOn-VbTH2opl2FnWcj0SOoJiBBs9uuZtA4F3_qZiDmQGRytb53m-cARaSA4tchdtfOF9oDOAGw2L6fZ55PgjTMg6WAvr28vnEGWf0tn8wTQe5ESrlzqfMB89HbsIMCddH/s1600/viareggiosport006.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1163" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6cPYp2i2QMSZsOn-VbTH2opl2FnWcj0SOoJiBBs9uuZtA4F3_qZiDmQGRytb53m-cARaSA4tchdtfOF9oDOAGw2L6fZ55PgjTMg6WAvr28vnEGWf0tn8wTQe5ESrlzqfMB89HbsIMCddH/s320/viareggiosport006.jpg" width="232" /></a></div>
Eppure alle spalle del meeting non c’erano professionisti: a metterla in piedi erano tecnici, dirigenti, perfino i genitori degli atleti dell’Artiglio: “Per le nostre famiglie era l’evento più atteso – racconta la viareggina Serena Fappani, che ha partecipato al meeting – alcuni genitori battevano a macchina il programma delle gare, altri si occupavano delle coppe da mettere in palio o della rivista ufficiale: era una catena di montaggio basata sul volontariato. E poi c'era un rito che si ripeteva ogni anno, quello della foto di gruppo delle varie squadre dell'Artiglio con gli sponsor in bella vista su borse e tute”.<br />
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De Plano sfruttò i contatti con le federazioni straniere grazie anche ai suoi trascorsi come tecnico federale per le Universiadi di Sheffield del 1991: "Grazie ad alcuni agganci nella Fin ci fu possibile utilizzare alcuni computer con dei programmi appositi per gestire il programma delle gare: per noi veniva da Roma una specialista a darmi una mano. Quanto al resto, facevamo tutto da noi: ricordo che in casa avevo un fax che mi regalò il presidente Renzo Lorenzini, venuto purtroppo a mancare".<br />
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<span style="font-size: large;"><b>Non solo sport </b></span><br />
La Coppa Carnevale rappresentava uno spartiacque della stagione a cui le società italiane e le federazioni straniere (“Per loro era il periodo migliore”, osserva De Plano) difficilmente rinunciavano. Centinaia e centinaia di atleti, accompagnati dagli allenatori e in molti casi anche dalle famiglie, avevano così modo di conoscere Viareggio e i suoi carri: il meeting, storicamente, si è sempre svolto in concomitanza con il primo corso mascherato ed ha contribuito all'indotto cittadino generato dal Carnevale - 15 milioni di euro secondo un <a href="http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2011-03-03/arriva-carnevale-vuol-esser-150106_PRN.shtml">articolo-studio de <i>Il Sole 24 Ore</i></a> di alcuni anni fa.<br />
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“Ovviamente il Comitato Carnevale, il Comune di Viareggio e la Regione Toscana concedevano il patrocinio – aggiunge Fappani – però chi faceva davvero il meeting era l’Artiglio. I nostri dirigenti accompagnavano perfino quelli delle società ospitate alla scoperta del Carnevale e dei rioni, le feste di quartiere in notturna. Per noi fu una palestra di vita: nacquero tantissime amicizie con ragazzi della nostra età in un'epoca in cui non esistevano ancora internet, le e-mail o le chat. Restavamo in contatto e a distanza di un anno ci rivedevamo”.<br />
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<b><span style="font-size: large;">Quanti campioni </span></b><br />
Il prestigio della Coppa Carnevale si può riassumere in un’immagine, quella del podio dei 200 stile libero dei Giochi di Atene: Camelia Potec, Federica Pellegrini – proprio lei, assoluta protagonista nell'edizione 2002 a soli quattordici anni con la Serenissima Nuoto - e Solenne Figuès sono passate, seppur in anni diversi, da Viareggio. E al meeting del 2010 si presentarono ai blocchi di partenza Gabriele Detti e Gregorio Paltrinieri, appena sedicenni.<br />
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Ma la lista si potrebbe allungare ulteriormente con le rumene Diana Mocanu e Tamara Costache, con Cinzia Ragusa e Daniela Lavorini avversarie nei 50 farfalla nel 1992 prima di ritrovarsi compagne di squadra nella nazionale femminile di pallanuoto, con il croato Duje Draganja e i vari Massimiliano Rosolino, Alessio Boggiatto e Davide Rummolo. E dall'Ungheria è arrivata a Viareggio gente come László Cseh e, soprattutto, come la "donna bionica" Katinka Hosszú e il bimbo prodigio Dániel Gyurta che a tredici anni nuotò i 100 farfalla in 1'05"66', un primato a oggi imbattuto nella storia della manifestazione.<br />
<br />
E venne pure Eitan Urbach, passato alla storia come il primo nuotatore israeliano ad andare a medaglie in una competizione internazionale con l'argento europeo nei 100 dorso a Siviglia nel 1997.<br />
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<b><span style="font-size: large;">Alla corte dello zar</span></b><br />
Ma c’è un nome in particolare entrato nella storia: Aleksandr Popov, “lo zar”, protagonista nel 1992. “In quegli anni c’era un meeting in Nord Italia organizzato da Guido Cuteri, che aveva contatti con la federazione dell’ormai ex Urss – rammenta De Plano - lo chiamai e quando gli dissi che li avremmo ospitati a nostre spese mi fece notare che non sarebbe bastato: volevano essere pagati. Alla fine sborsammo qualcosa come 4-5 milioni di lire e devo dire che ne valse la pena: vennero otto fuoriclasse che pochi mesi dopo a Barcellona avrebbero fatto incetta di medaglie”. Anche Serena Fappani non ha dubbi: “Popov aveva classe, eleganza, leggerezza: vederlo dal vivo è stata un’emozione incredibile”.<br />
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Quell'anno, come ricorda De Plano, Popov e gli altri campioni sovietici - che a Barcellona avrebbero però gareggiato sotto il nome di Squadra Unificata, con il vessillo olimpico come bandiera - parteciparono alle gare per gli assoluti. "Era una gara combinata: facevano i 50 delfino, poi i 50 stile e si sommavano i tempi. Chi vinceva si portava a casa un bel premio. E non era l'unico: per partecipare al meeting era richiesta ai nuotatori italiani una tassa d'iscrizione che sarebbe stata restituita se fossero riusciti a rimanere sotto un tempo limite fissato dagli organizzatori per le varie gare. In caso contrario, la tassa rimaneva a noi organizzatori. C'era da impazzirci: gli atleti che partecipavano erano centinaia, per ognuno bisognava fare i conti...".<br />
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<span style="font-size: large;"><b>Tutto o nulla </b></span><br />
La Coppa Carnevale è andata avanti, tra difficoltà sempre più stringenti, fino al 2014 quando l’Artiglio ha organizzato la trentasettesima e ultima edizione: da lì a qualche mese la situazione è precipitata con la chiusura della piscina comunale. Risorse ed energie per organizzare il meeting altrove non ce n’erano, nonostante la buona volontà dei dirigenti che sembravano sul punto di non farla morire. E invece Viareggio, da un giorno all’altro, ha perso la sua Coppa Carnevale di nuoto senza che le istituzioni e la politica se ne siano accorti o abbiano proferito parola. E, almeno per ora, ha perso pure la piscina e tutti gli eventi e le società che ospitava. Quando troppo, quando nulla.<br />
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<b>Fonti:</b><br />
riviste ufficiali del meeting Coppa Carnevale (1978-2014)<br />
<i>Il Tirreno</i><br />
<i>La Gazzetta dello Sport</i><br />
<i>Corriere della Sera</i><br />
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<b>Ringraziamenti:</b><br />
Enrico Albertini<br />
Adolfo Buonaccorsi<br />
Bruno De Plano<br />
Serena Fappani<br />
<div>
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Simone Pierottihttp://www.blogger.com/profile/01305919647376531873noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1006519075357771760.post-6358411333185333992018-02-15T13:00:00.000+01:002018-02-15T14:35:59.901+01:00"Il calcio balletto delle masse": Dmitrij Šostakovič<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiqlyar2XXuI066mLSIpqGKefFkKdIO_XD8KDMgdoNLvtgoVKXqhALy8jGSSQ2r0GXZk1w_NNlVyKlHwc5rrwNlV_KXGeA8ijfaDgPzRIYJAtYzw3rTO-a0q6BwcInaViQjzGeoRU-VNn6n/s1600/191479.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em; text-align: right;"><img border="0" data-original-height="933" data-original-width="612" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiqlyar2XXuI066mLSIpqGKefFkKdIO_XD8KDMgdoNLvtgoVKXqhALy8jGSSQ2r0GXZk1w_NNlVyKlHwc5rrwNlV_KXGeA8ijfaDgPzRIYJAtYzw3rTO-a0q6BwcInaViQjzGeoRU-VNn6n/s320/191479.jpg" width="210" /></a></div>
<i>A volte è incredibile come basti un impulso, anche il più banale e insignificante, a stimolare delle idee per un testo da scrivere. È andata più o meno così: due domeniche fa ero, assieme alla mia bimba Alice, ad assistere alla sfilata dei carri del Carnevale di Viareggio - e di quale altro, sennò? </i><br />
<i><br /></i>
<i>Ecco, a un certo punto ne passa uno di quelli che più mi piacciono: s'intitola "Papaveri rossi" ed è un'allegoria sugli orrori della guerra. I figuranti sono tutti travestiti da soldati ed eseguono varie coreografie, preparate nel corso di alcuni mesi, sulle note di una colonna sonora appositamente scelta. </i><br />
<i><br /></i>
<i>Sto fissando quest'insolita scenografia fatta da un campo di papaveri giganti in cartapesta quando dalle casse esce una musica a me nota: è il Valzer 2 di Dmitrij Šostakovič, utilizzato nei titoli di coda del film "Eyes wide shut". La sinfonia, tornata alle mie orecchie dopo tempo immemore, mi rimbomba nella testa nei giorni successivi fino a che mi riaffiora un ricordo che avevo rimosso: ma </i><i>Šostakovič non andava matto per il calcio?</i><i> Inizio a fare un po' di ricerche e, beh, eccomi qui...</i><br />
<br />
"Ascoltare il calcio alla radio è come bere Stolichnaya importata"<br />
(Dmitrij Šostakovič)<br />
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'Era un tifoso rabbioso. Si comportava come un bambino. Sussultava. Urlava. Gesticolava'. Una descrizione esemplare per mettere in parole l'irrazionalità tipica dello sportivo che, da sempre al fianco della squadra che gli fa palpitare il cuore, passa dall'euforia per la vittoria alla disperazione in caso di sconfitta. Eppure a mostrare quelle attitudini era un uomo all'apparenza insospettabile, un timido e introverso compositore, addirittura uno dei più apprezzati dell'intero Novecento: Dmitrij Šostakovič. Che ha amato il pallone quanto e forse più degli spartiti. Anzi: a detta della sua biografa Laurel Fay, "il calcio offrì a Šostakovič una via di fuga sia dalla musica che dalle preoccupazioni della vita quotidiana".<br />
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<a name='more'></a>La vita del compositore è come una lente d'ingrandimento attraverso cui osservare i cambiamenti epocali nella Russia del Novecento. Šostakovič venne alla luce nel 1906 a Pietrogrado, l'odierna San Pietroburgo, in una famiglia borghese di origini polacche - il cognome originario era Szostakovicz - ostile all'autocrazia zarista: era ancora fresco il ricordo della "domenica rossa", la manifestazione popolare di fronte al Palazzo d'Inverno di un anno prima repressa nel sangue dalle guardie imperiali. Il giovane Mitja, come venne chiamato Dmitrij in tenera età, era figlio della Grande Guerra e della Rivoluzione d'Ottobre: le due vicende epocali avrebbero segnato per sempre il suo percorso artistico ma anche umano.<br />
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Eseguendo la 'Sinfonia numero 1' si diplomò con il massimo dei voti al conservatorio della sua città natale, nel frattempo rinominata Leningrado ed elevatasi a capitale della nuova arte russa e dei movimenti d'avanguardia. Come il futurismo, che - così lo teorizzò Vladimir Majakovskij nella rivista "Lef" da lui fondata - doveva avvicinare la letteratura alla massa del proletariato, farla aderire alla realtà portandola nelle strade, nelle piazze, in mezzo agli operai e al popolo. La rivoluzione artistica sarebbe stata un prodromo di quella sociale.<br />
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"Liberatomi da tutti i pregiudizi inculcati, iniziai a studiare con giovanile entusiasmo gli innovatori della musica", scrisse Šostakovič ricordando quel periodo di grande fermento. Anche lui, adeguandosi alla sensibilità artistica della Russia - poi Urss - postrivoluzionaria e aderendo con convinzione agli ideali socialisti, mostrò una naturale propensione per le masse oppresse e povere. E, come ha osservato il biografo italiano Franco Pulcini, questa si tradusse nella passione per il calcio, a cui il governo centrale guardava con estrema diffidenza - era uno sport inventato dalla borghese Inghilterra, turbava la quiete pubblica con risse e incidenti, era considerato diseducativo - intuendone però le enormi potenzialità come strumento di propaganda.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgWUBMOFE6jzZjGS0yQE2TDgpDVMtcMDGtXKSLaO1sbXn-Da7J8TItZoGeoGJumDw3UvcvTJDvCrlq1k9Q5LgYvvG6R8J5TWry40p5LsQg7QnjuccQ5crTkOqq1uiicu-xJnGYJJXRPcug3/s1600/postcard-web.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="931" data-original-width="655" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgWUBMOFE6jzZjGS0yQE2TDgpDVMtcMDGtXKSLaO1sbXn-Da7J8TItZoGeoGJumDw3UvcvTJDvCrlq1k9Q5LgYvvG6R8J5TWry40p5LsQg7QnjuccQ5crTkOqq1uiicu-xJnGYJJXRPcug3/s200/postcard-web.jpg" width="140" /></a>Šostakovič era un ragazzino allampanato, dalla costituzione fragile, che si divertiva a giocare a pallone con compagni più piccoli di età nel cortile della sua abitazione nella centralissima Ulitsa Marata. Leningrado, oltretutto, è la culla del calcio russo: qui si disputò la prima partita di sempre nel territorio della futura Unione Sovietica. Quell'esile giovanotto che non disdegnava neppure l'hockey su ghiaccio e gli scacchi divenne uno dei più calorosi sostenitori della Dinamo, squadra dell'omonima polisportiva legata al Commissariato del popolo per gli affari interni (NKVD) e alla polizia segreta, che tra il 1926 e il 1935 vinse per sei volte il campionato cittadino di Leningrado: le più alte autorità sovietiche si sarebbero poi servite del tifo di Šostakovič a fini politici.<br />
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Sebbene il calcio in Russia abbia brancolato nella disorganizzazione fino al 1936, anno del primo campionato su scala nazionale inaugurato da una sfida proprio tra la Dinamo Leningrado e la Lokomotiv Mosca, il popolo se ne innamorò in modo talmente viscerale che l'apparato dovette rinunciare a qualunque intento "moralizzatore". Soprattutto, il pallone godette di notorietà nel mondo delle arti figurative e della letteratura ispirando le poesie di Osip Mandel'štam o di Nikolaj Zabolockij, il capolavoro "Invidia" di Jurij Oleša, i dipinti di Aleksandr Deineka e Aleksandr Samochvalov. Anche Majakovskij subì il fascino dello sport: nel suo testo teatrale "Il campionato della lotta mondiale di classe" diventava un'allegoria dello scontro fra l'Urss socialista e l'Occidente borghese. Un soggetto, questo, che si ripresentò nell'opera che più di altre combinò le grandi passioni di Šostakovič.<br />
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Era il 1929 quando al giovane pianista fu proposto di comporre le musiche per "L'età dell'oro" ("Zolotoij vek" in russo), un balletto in tre atti su libretto di Aleksandr Ivanovskij. "Secondo la sua consuetudine", scrive ancora Pulcini, Šostakovič preparò inizialmente una suite - la Op. 22a - e poi portò in scena lo spettacolo completo il 26 ottobre 1930 al Teatro dell'opera e del balletto di Leningrado - l'attuale Marinskij - con coreografie di Vasilij Vainonen, Leonid Iakobson e Vasilij Česnakov.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEimW2dRSn_msfls780mOM77B1hJ31NONDbGdJJRkuj_y3nN9FIbhylY6RyP2m0985grx-CgkdFh-OsJKoJJCEacS0xFvobF16JBvVMQDLf_r_gd0aYyiFjdqcj1BwwoJWlIu2Y13DUPlANS/s1600/1golden1930.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="900" height="265" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEimW2dRSn_msfls780mOM77B1hJ31NONDbGdJJRkuj_y3nN9FIbhylY6RyP2m0985grx-CgkdFh-OsJKoJJCEacS0xFvobF16JBvVMQDLf_r_gd0aYyiFjdqcj1BwwoJWlIu2Y13DUPlANS/s400/1golden1930.jpg" width="400" /></a></div>
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La trama, tratta dal componimento "Dinamiada" di Ivanovskij che s'ispirava a una tournèe europea della Dinamo Mosca, è quanto di più sciovinista si potesse concepire, eppure è anche uno spaccato del periodo interbellico: una squadra di calcio sovietica si avventura nell'Occidente capitalista e corrotto per partecipare a una competizione nell'immaginaria nazione di Faschland. Qui s'imbattono in personaggi di dubbia moralità come la ballerina Diva che tenta di sedurre il capitano russo con danze erotiche, il di lei fidanzato Fascista e altri ancora. La squadra subisce i maltrattamenti della polizia e finisce in gattabuia con un'accusa rivelatasi falsa - i fascisti avevano scambiato un pallone per una bomba - ma viene liberata da alcuni operai locali che si ribellano ai loro padroni. Dopo una danza di solidarietà fra i sovietici e i lavoratori, schiacciati dal capitalismo ma speranzosi di abbracciare un giorno la rivoluzione, cala il sipario.<br />
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Ne "L'età dell'oro" lo sport diventava un campo di battaglia ideologico: ai russi buoni e integerrimi con indosso sgargianti costumi rossi, blu e gialli si contrapponevano gli immorali occidentali in abiti neri. E poi il conflitto era tra due mondi sonori antitetici, come spiegò lo stesso Šostakovič:<br />
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<blockquote class="tr_bq">
"La base musicale include due elementi - la musica della cultura borghese dell'Europa occidentale moderna e la musica della cultura proletaria sovietica. Il confronto fra queste due culture è il mio obiettivo principale nel comporre 'L'età dell'oro'. Questo compito è realizzato come segue: le danze occidentali europee sono caratterizzate da un morbido erotismo che è così caratteristico della cultura borghese moderna, la danza sovietica l'ho riempita con gli elementi dell'attività fisica salutare e degli sport".</blockquote>
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Tuttavia, il compositore non era granché soddisfatto del libretto. E lo spettacolo incontrò inizialmente i favori del pubblico - ebbe 19 repliche in due anni e sconfinò a Kiev e Odessa -, ma non della critica che stroncò sia i coreografi per lo "stile borghese" sia Šostakovič ("Impossibile ballare con tale musica") a cui rinfacciarono di aver attinto a piene mani dal jazz, dal fox trot e altri generi moderni sgraditi nella Russia di Stalin dove ormai spirava un altro vento. Negli anni del terrore fu messa al bando la libertà creativa, con l'imposizione del realismo sovietico come unica forma d'arte legittima, e mutò la reputazione del compositore: non più lodato come <i>enfant prodige</i> delle avanguardie, iniziò ad esser guardato con sospetto e addirittura minacciato di finire in un GULag.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEipPzIeizZPGV1hCWXHRMzxoTIKOzDKd-btq4FnFLHKUKCsl6uTWTA0r_wXHlb0rDQVMSEs5G_Ofzhp9owizp43BA46JcfaGb8PAjVtjeWpxDk2_5lSvqnW_eAVcnJuYGYn3WuQkI5HdGAR/s1600/afb01da4aea2af73af9a72f477dfd54a--dmitri-shostakovich-music-composers.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="484" data-original-width="339" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEipPzIeizZPGV1hCWXHRMzxoTIKOzDKd-btq4FnFLHKUKCsl6uTWTA0r_wXHlb0rDQVMSEs5G_Ofzhp9owizp43BA46JcfaGb8PAjVtjeWpxDk2_5lSvqnW_eAVcnJuYGYn3WuQkI5HdGAR/s200/afb01da4aea2af73af9a72f477dfd54a--dmitri-shostakovich-music-composers.jpg" width="140" /></a></div>
Però a tirar su Šostakovič c'era il calcio, con le sue emozioni forti assenti nella vita privata. Era piuttosto frequente vederlo mescolato in mezzo alla folla, sorridente, allo stadio sull'isola Petrovskij e perfino in trasferta a Mosca: una volta lui stesso affermò di non essersi perso una singola partita in cinque anni - si concedeva il lusso di assistere a due incontri in un sol giorno, tifando sia per la Dinamo che per lo Zenit, l'altro undici pietroburghese che "tifo per inerzia, sebbene questo mi causi più angosce che gioie" come scrisse a un amico. Avevano ancora da venire i rubli della Gazprom...<br />
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Ai tempi in cui insegnava al conservatorio di Leningrado, nei mesi della primavera e dell'autunno capitava spesso che terminasse la lezione in anticipo: era una banalissima scusa per andare a incitare i suoi beniamini, tra cui quel Pëtr Dementijev a cui appiccicò il soprannome "ballerina" per i movimenti leggiadri, quasi coreografici, mostrati in campo. S'iscrisse addirittura alla scuola per arbitri di Leningrado prima della guerra, ottenendo una regolare licenza anche se non sono stati trovati documenti ufficiali al riguardo: è probabile che il certificato mostrato con orgoglio agli amici, citato anche dal figlio Maksim, gli venne rilasciato <i>ad honoris causa</i>. Durante una vacanza in Armenia si sarebbe finalmente ritrovato a dirigere una partitella improvvisata fra amici.<br />
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L'inverno era la stagione più drammatica per Šostakovič, non tanto per il gelo quanto per l'interruzione del campionato: in uno scambio epistolare con l'amico moscovita Valentin Naumovic - il calcio è menzionato in oltre un centinaio di lettere del celebre musicista - confessò che "una grande tristezza comincia a impossessarsi della mia persona" perché "ormai è l'autunno [...] fra poco finirà la stagione calcistica e ci aspetta un lungo inverno senza pallone". Per esorcizzare l'attesa, Šostakovič si rifugiava nella sua cerchia di amici ingegneri, giornalisti e artisti - ne faceva parte il pittore cubista nonché arbitro di pugilato Vladimir Lebedev, considerato colui che trascinò il compositore nella passione per il calcio - con cui discettava per corrispondenza di partite e tattiche.<br />
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Una volta approfittò dell'assenza della moglie durante un fine settimana e invitò a cena l'intera squadra della Dinamo - o dello Zenit, a seconda delle fonti -, terminando la serata a eseguire alcune sinfonie al pianoforte davanti all'incredula platea di calciatori. E in estate era solito lasciare momentaneamente la dacia in campagna, e la famiglia, per proseguire a piedi verso la più vicina stazione ferroviaria e tornare in città per recarsi allo stadio.<br />
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Nel suo caso, pallone faceva rima con ossessione: sono conservati ancora oggi i quaderni su cui catalogò i suoi componimenti per numero di opera e soprattutto annotava le partite in programma, i risultati e tutti i marcatori del campionato. Adorava alzare il gomito e scommettere, specie in compagnia dell'amico giornalista Arkadij Klijakin che gli rimediava i biglietti per le partite: se vinceva quest'ultimo i due andavano a festeggiare trangugiando una vodka dietro l'altra, se invece era il compositore ad azzeccare il pronostico - pare che, pessimista, puntasse sempre sulla sconfitta della sua squadra - s'intristiva per il risultato e non voleva che l'amico gli pagasse il pranzo.<br />
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Šostakovič era anche un acuto osservatore delle partite: una sera la redazione di un quotidiano, a cui l'inviato non aveva mandato nei tempi previsti il servizio su un incontro, telefonò nel cuore della notte al compositore supplicandolo di fornire i dettagli mancanti. E lui si limitò - si fa per dire - a dare un resoconto dettagliato, inclusi i nomi dei panchinari entrati in campo nelle battute finali.<br />
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Šostakovič era abbonato ad alcuni quotidiani sportivi, in particolare a <i>Krasnji Sport</i> ("Sport rosso", oggi chiamato <i>Sovetskij Sport</i>) per il quale scrisse di proprio pugno un articolo nel settembre 1942. In quel periodo, come si evince dalle lettere spedite all'amico Isaak Glikman, aveva sfollato con la famiglia a Kujbyšev - l'odierna Samara - a causa dell'assedio nazista alla città natale per poi spostarsi a Mosca, da dove continuava comunque a sostenere le sue squadre del cuore. Per il giornale più diffuso in tutta l'Urss confezionò un resoconto sulla sfida tra le due Dinamo, vinta per 4-2 da quella moscovita, in cui tessette lodi sperticate dei giocatori ospiti "difensori dell'onore dell'eroica città di Leningrado".<br />
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Secondo lo studioso Dmitrij Braginskij, non fu casuale che il musicista avesse dedicato qualche riga proprio a quella partita e proprio per quel foglio: entrambe le squadre dipendevano dalla polizia segreta e dal suo feroce capo Lavrentij Berija e il quotidiano era politicamente vicino al governo, il quale aveva tutto l'interesse a sfruttare a proprio vantaggio la fama - e la firma - di un'icona come Šostakovič specie dopo lo straordinario successo della Sinfonia numero 7.<br />
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Allo stesso modo, il musicista fu strumentalizzato in un'operazione simile due anni più tardi: era il maggio del 1944 quando su <i>Večernaija Moskva</i> ("Mosca sera") pubblicò un altro pezzo, più breve, in cui invocava un maggiore e sistematico utilizzo di giocatori giovani. L'articolo uscì mentre Šostakovič lavorava alle musiche di una scena coreografica dello spettacolo "Russkaja reka" ("Fiume russo"): la sinfonia, il cui secondo movimento si chiama 'Calcio', fu scritta apposta per la Compagnia del Club Dzeržinskij, altra organizzazione che faceva capo all'NKVD, e la scena venne scritta su preciso ordine di Berija, calciatore mancato ad alti livelli e ardente tifoso della Dinamo.<br />
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Una volta terminata vittoriosamente la guerra, e soprattutto dopo la morte di Stalin, la figura di Šostakovič venne riabilitata e la (tardiva) iscrizione al Partito comunista dell'Unione Sovietica mise a tacere le ultime malelingue. Il tempo passava, ma la passione per il calcio non si affievoliva: in un'intervista al quotidiano <i>Izvestija</i> nel gennaio 1966 manifestò il desiderio di andare in Inghilterra a seguire i Mondiali di calcio. Poche settimane prima del calcio d'inizio, tuttavia, ebbe un infarto dopo un concerto con le sue musiche a Leningrado: operato d'urgenza, dovette seguire l'intero torneo dal suo letto d'ospedale.<br />
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Il pallone l'ha ossessionato fino a poco prima di morire, facendogli scarabocchiare statistiche sul suo inseparabile quaderno e costringere la moglie giunta al suo capezzale ad ascoltare una partita alla radio. Un finale spiazzante, per lui che paragonò quell'esperienza a bere vodka importata. Un epilogo, se vogliamo, in linea con la sua esistenza di grandi contrasti, soprattutto nei rapporti con le gerarchie comuniste, ma con un'unica certezza - l'amore per il calcio, da lui etichettato come "il balletto delle masse".<br />
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<b>Fonti:</b><br /><a href="http://footballinthegulag.blogspot.it/2011/08/dmitrii-stalin-and-diva-cognitive.html">Football in the GULag</a><br />Franco Pulcini, <a href="https://books.google.it/books?id=2vim5XnmcDUC&dq=shostakovich+franco+pulcini&hl=it&source=gbs_navlinks_s">"Šostakovič"</a>, EDT (1988)<br />Lesley Chamberlain, <a href="https://lesleychamberlain.wordpress.com/2015/03/03/shostakovich-and-football-another-way-of-expressing-the-soviet-tragedy/">"Shostakovich and football"</a><br />Mario Alessandro Curletto, "I piedi del soviet", Il melangolo (2010)<br />Dmitrij Braginskij, <a href="https://books.google.it/books?isbn=1317650395">"Dmitry Shostakovich, sport and politics in the USSR"</a><br />
<br />Simone Pierottihttp://www.blogger.com/profile/01305919647376531873noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1006519075357771760.post-26035436147709210502018-02-11T08:00:00.000+01:002018-02-18T22:40:32.266+01:00Sport e Carnevale di Viareggio: il ciclismo<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEinU5QawP02UiLbaAO5wFG3AZMiTsmTndi5vINvpEQhza0Bgz4yAzB7_diLST7zGj4GDJNpa16arShurLF1I_lvEKP5IxiPuOQnE4sgfHQHz-UvJkSQLs3wLawnY-PqscPHoTsubdteNVd1/s1600/circuito+assi+ciclismo+1974+arrivo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="877" data-original-width="1600" height="218" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEinU5QawP02UiLbaAO5wFG3AZMiTsmTndi5vINvpEQhza0Bgz4yAzB7_diLST7zGj4GDJNpa16arShurLF1I_lvEKP5IxiPuOQnE4sgfHQHz-UvJkSQLs3wLawnY-PqscPHoTsubdteNVd1/s400/circuito+assi+ciclismo+1974+arrivo.jpg" width="400" /></a></div>
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È stata ribattezzata la “città delle occasioni perse”, Viareggio, e non c'è da stupirsi del poco invidiabile appellativo: specialmente nello sport s’è perso il conto degli eventi nati in riva al Tirreno che hanno via via alzato bandiera bianca. Eppure una competizione ormai defunta è ritornata in vita: in concomitanza con il secondo corso mascherato Burlamacco ha riabbracciato il Trofeo Ondina, gara per gli amanti della bicicletta che tra gli anni Ottanta e Novanta arrivò a totalizzare quasi venti edizioni. Merito dell’Acsi, che ha affiancato alle classiche categorie amatoriali le specialità paralimpiche e la nuova disciplina a scatto fisso.<br />
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<a name='more'></a><b><span style="font-size: large;">Pedale e Carnevale</span></b><br />
Quello tra le due C (Carnevale e ciclismo) è un binomio che risale a oltre un secolo fa: basti pensare che negli anni a cavallo della Grande Guerra una società attiva nel mondo delle due ruote, la Rapidus, collaborava all’allestimento dei corsi mascherati. E, come si evince dalla rivista ufficiale, nel calendario delle manifestazioni collaterali del 1924 venne inserita la Coppa degli Appennini che aveva a Viareggio il suo traguardo.<br />
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La bicicletta, soprattutto, fu il soggetto dei primissimi carri dedicati all’epica dell’attività agonistica: sia “La corsa al premio” del 1926, una buffa sfida tra un cavaliere e un ciclista, sia “Carnevale sport” del 1933, ispirato da una vittoria nel calcio degli azzurri di Vittorio Pozzo sull’Austria, sbaragliarono la rispettiva concorrenza. Dietro entrambi i successi c’era la mano creativa di Antonio “Tono” D’Arliano, uno dei costruttori più in voga nel periodo tra le due guerre.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgZh98_rp9JBZLGbNZeYVsiTuEpVDAE2277HMHEXOBnI36f5ubAM-dU6gKlTA43fcfUhfajBitO1bahL6niIiSpCvqzIaXjx0pp55IJbIYVRqnBjoB6XMA2_BxgAe2c8C_nBJabPlufITmV/s1600/circuito+assi+ciclismo+1940+tirreno+risultati.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="270" data-original-width="146" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgZh98_rp9JBZLGbNZeYVsiTuEpVDAE2277HMHEXOBnI36f5ubAM-dU6gKlTA43fcfUhfajBitO1bahL6niIiSpCvqzIaXjx0pp55IJbIYVRqnBjoB6XMA2_BxgAe2c8C_nBJabPlufITmV/s1600/circuito+assi+ciclismo+1940+tirreno+risultati.jpg" /></a></div>
<b><span style="font-size: large;">Quanti campioni</span></b><br />
Nulla è però minimamente paragonabile alla corsa che chiude ufficialmente il Carnevale del 1940, il primo circuito degli assi. “Non si tratta di abuso di…titolo, chè i campioni ci saranno veramente e tutti indistintamente”, assicura <i>Il Littoriale</i>, nome assunto dal <i>Corriere dello Sport</i> durante il fascismo.<br />
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E in effetti sui viali a mare, nello stesso circuito delle sfilate tra piazza Principe Amedeo (oggi piazza Mazzini) e via Roma, sfrecciano i più forti ciclisti su strada dell’epoca. La folla “che costituiva una ininterrotta siepe acclamante” segue con entusiasmo la gara a inseguimento individuale, vinta dal “morino” Olimpio Bizzi su Gino Bartali, e il vero e proprio circuito su un percorso di 72 chilometri: a tagliare per primo il traguardo è Aldo Bini. “Una magnifica giornata di sport, la più bella vissuta fino ad oggi a Viareggio – chiosa <i>Il</i> <i>Littoriale</i> – e che sarà ripetuta a ogni Carnevale”. Ma poi scoppia la guerra e non se ne farà più di nulla.<br />
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<b><span style="font-size: large;">La rinascita</span></b><br />
Terminata la lunga interruzione bellica, la città torna a farsi travolgere dalla magia dei carri e con gli anni Cinquanta spopolano le manifestazioni sportive, dal torneo internazionale di calcio giovanile alla <a href="http://simonepierotti.blogspot.it/2018/01/i-trofei-scomparsi-la-coppa-carnevale.html">Coppa Carnevale di pallacanestro</a>, dagli incontri di pugilato alle regate di barche a vela.<br />
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Il ciclismo fa sussultare gli sportivi, tanto che nel 1952 ritorna ad essere argomento di un carro di prima categoria: è “Arriva il giro” di Silvano Avanzini e Francesco Francesconi, con i grandi rivali Coppi e Bartali in sella a due tricicli insidiati da Fiorenzo Magni. Per tutto il decennio si alternano alcune corse ciclistiche per dilettanti come la Coppa Carnevale dilettanti (quattro edizioni fra il 1953 e il 1956) e la Coppa Burlamacco organizzata dalla società Aurora.<br />
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<b><span style="font-size: large;">Tris d’assi</span></b><br />
A distanza di quasi un quarto di secolo dalla prima, e unica, volta è comunque il circuito degli assi a richiamare i nomi di grido e a far finire nuovamente Viareggio sui giornali nazionali.<br />
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Si arriva al 1974, l’anno dell’austerity che mette inizialmente a repentaglio il Carnevale: il primo corso mascherato è preceduto da un’insolita vigilia nel segno della bicicletta, il Trofeo Burlamacco – o Buffalmacco, come storpiato da <i>La Stampa</i> - che inaugura di fatto la stagione ciclistica.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjShKkAPP2nNp83ocD1ypN_PhjTsFaRoxuUVoYR9AEFd-Iwy94UF5QEONBgMvBDXATonb9og8c9uhIBctUW8bnMjh5jzE4fN2YUBbdREZw5tYRTsJ7UBnU8ceO8ucU-cxbEcJVDquA0z9Yw/s1600/circuito+assi+ciclismo+1974+merckx.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1075" data-original-width="1600" height="267" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjShKkAPP2nNp83ocD1ypN_PhjTsFaRoxuUVoYR9AEFd-Iwy94UF5QEONBgMvBDXATonb9og8c9uhIBctUW8bnMjh5jzE4fN2YUBbdREZw5tYRTsJ7UBnU8ceO8ucU-cxbEcJVDquA0z9Yw/s400/circuito+assi+ciclismo+1974+merckx.jpg" width="400" /></a></div>
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Sotto una pioggia torrenziale il fiorentino Franco Bitossi, soprannominato “Cuore matto” per l’alta emotività ma anche per la tachicardia di cui soffriva, batte all’ultimo sprint Mingardi e il “cannibale” Eddy Merckx, lasciandosi alle spalle Gimondi, Ocaña e un giovane Francesco Moser. Si replica un anno dopo per volontà dei titolari della squadra Magniflex che desiderano fare di Viareggio la “Coverciano del ciclismo”: a trionfare è Luciano Borgognoni davanti a Marino Basso.<br />
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<b><span style="font-size: large;">Burlamacco in bicicletta</span></b><br />
Il criterium degli assi, però, si esaurisce lì e lascia un vuoto riempito per una ventina d'anni dal Trofeo Ondina.<br />
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In tema di ciclismo, poi, guai a dimenticare le maschere in bici alla cerimonia d'apertura del Carnevale 2000 capitanate dalla campionessa del mondo Edita Pučinskaitė, la partenza da Viareggio del Giro della Provincia di Lucca nel giorno di Martedì Grasso del 2004, Paolo Bettini che dà il via alla corsa podistica Puccini Marathon nel 2012 e, un anno dopo, il cavalierato del Carnevale consegnato allo storico ct azzurro Alfredo Martini.<br />
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E ora, grazie all'Acsi, il connubio tra Burlamacco e la bici compie un ulteriore passo in avanti.<br />
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<b>Fonti:</b><br />
<i>Corriere della Sera<br />Corriere dello Sport<br />Il Tirreno<br />La Stampa</i><br />
Renzo Pellegrini, "120 anni del Carnevale", Pezzini (1993)<br />
Andrea Mazzi, Renzo Pieraccini "Diario di Re Carnevale", Ed. del testimone (2002)<br />
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Simone Pierottihttp://www.blogger.com/profile/01305919647376531873noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1006519075357771760.post-22568825298758805702018-01-21T08:00:00.000+01:002018-05-01T01:01:03.686+02:00I trofei scomparsi: la Coppa Carnevale di basket<span id="goog_2112835013"></span><span id="goog_2112835014"></span><i><br /></i>
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<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgvdnZeUkcxRfRLt45VGSvAKSXo_bGPJ8BPWGj_XBrG3qj2iIHa3-hn5X6nGfzyorlMubF6fQ2qLzpTK_wb3snbfc4wkyLm75fnTKBIsu0-vJUU9Jbzl5hE3mGz7cCXQM-JKaVvGT44UEnv/s1600/Gamba+26.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1119" data-original-width="764" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgvdnZeUkcxRfRLt45VGSvAKSXo_bGPJ8BPWGj_XBrG3qj2iIHa3-hn5X6nGfzyorlMubF6fQ2qLzpTK_wb3snbfc4wkyLm75fnTKBIsu0-vJUU9Jbzl5hE3mGz7cCXQM-JKaVvGT44UEnv/s320/Gamba+26.jpg" width="218" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Per gentile concessione di Claudio Sodini</td></tr>
</tbody></table>
<i>Oggi pubblico uno dei pezzi di cui vado e sempre andrò più orgoglioso. Un pezzo che abbina il Carnevale della mia città, Viareggio, allo sport, le mie due grandi passioni. Si parla di Coppa Carnevale, ma non il celebre torneo mondiale di calcio giovanile: no, questo è un altro, di cui non si trova pressoché nulla in rete se non negli archivi di qualche giornale - ma bisogna spulciare ben benino - e che ha per protagonista la pallacanestro, il primo sport che ho praticato da bambino nella palestra del vecchio Gymnastic Club in via Paolo Savi in Darsena con alcuni compagni di classe.<br /><br />Pochi mesi fa è nata la (pazza) idea di sottrarre questa meravigliosa storia all'oblio e riportarla alla luce. Giornalisticamente parlando, è stata un'autentica sfida: quando ho contattato la società di basket di Viareggio per un aiuto, mi è stato risposto che potevo contattare uno storico, un ex allenatore e giocatore, di cui non avevano alcun recapito telefonico. </i><br />
<i><br /></i>
<i>Non mi sono però perso d'animo e grazie a un'intuizione di una persona - Gigi Becagli del mitico Hotel Bellariviera - ho trovato la mia fonte al Sor Emilio, un bar del centro città: "Va lì tutti i giorni a giocare a biliardo o a carte con gli amici", mi dice. Detto, fatto: quella con Ilo Mannocci è stata una lunga e meravigliosa chiacchierata, ricca di aneddoti e storie che mai avrei potuto trovare sui giornali.</i><br />
<i><br /></i>
<i>Da lì ho contattato altre persone che trovate menzionate fra gli intervistati o citate tra i ringraziamenti. Quello che leggete di seguito è il frutto delle ricerche di questi mesi e a dir la verità manca qualche piccolo pezzo da aggiungere: ci sarà tempo e modo anche per quello...</i><br />
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<a name='more'></a>Che anno indimenticabile, per Viareggio, il 1948. Il Carnevale si gode la definitiva rinascita dopo la pausa forzata imposta dalla guerra, dieci squadre onorano l’edizione pilota di uno dei più prestigiosi tornei di calcio giovanile e in estate la Capannina del Marco Polo tiene a battesimo il festival della canzone italiana, in seguito scippato a Viareggio da Sanremo. In quegli stessi dodici mesi, poi, prende vita una competizione sportiva, destinata ad assai minor vita rispetto a quella di pallone eppure altrettanto capace di far varcare le frontiere al nome della città: è - o meglio, era - la Coppa Carnevale di pallacanestro, un torneo che favorì il confronto tra formazioni italiane e straniere agli albori della Guerra Fredda, in un’epoca in cui non esistevano ancora le coppe europee.<br />
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<b><span style="font-size: large;">Le origini</span></b><br />
Ma perché proprio il basket? Furono le truppe alleate, e nella fattispecie i soldati afroamericani della 92a divisione Buffalo sbarcati in Toscana sul finire della Seconda Guerra Mondiale, a portare la palla a spicchi in una città che nel calcio annoverava la propria squadra addirittura in Serie B. Montarono alla bell’e meglio un paio di canestri nella pineta di Ponente alla Fontanella, sulla stessa superficie in cemento dove era nato nel 1903 il primo campo da tennis cittadino: era il loro passatempo preferito e destarono subito l’attenzione di alcuni giovanotti.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgkJ7GMDv56zhoz8WS4KoVAI9Ja2tNQBPZon06_RQeQrWwllsm3hyjIi4QHgqlPPO6PKeBo5Xh2T04hyKIAxzAFj8w64LKzxQpYNuq9Qvy5ltaUvsfzqal4ucIHeVt2Zg3Hu4wVdALIYqhi/s1600/basket001.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1043" data-original-width="1600" height="260" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgkJ7GMDv56zhoz8WS4KoVAI9Ja2tNQBPZon06_RQeQrWwllsm3hyjIi4QHgqlPPO6PKeBo5Xh2T04hyKIAxzAFj8w64LKzxQpYNuq9Qvy5ltaUvsfzqal4ucIHeVt2Zg3Hu4wVdALIYqhi/s400/basket001.jpg" width="400" /></a></div>
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Tra questi c’era anche Sandro Luporini - sì, proprio lui, l’inventore del teatro canzone assieme all'inseparabile Giorgio Gaber - che, seppur a distanza di oltre settant’anni, ha ancora stampati nella mente quei giorni: “Eravamo io, mio fratello Cecco e Gigi Pieraccini: andavamo a guardare questi soldati e restavamo incantati, per noi era una novità assoluta. Un giorno prendemmo ‘in prestito’, diciamo così, cesti e palloni”. È l’atto di nascita del basket nella Perla del Tirreno.<br />
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<b><span style="font-size: large;">Come al cinema</span></b><br />
Il pensiero che a Viareggio, nel periodo delle sfilate dei carri in cartapesta, si siano scontrati alcuni tra i più forti cestisti dell’immediato dopoguerra sa tanto di film. E il mito della Coppa Carnevale partì, se vogliamo, dal cinema: a concepirla furono l’avvocato Oberdan Bertucelli, proprietario dell’Eden e dell’Eolo con un passato da nuotatore, e il cognato Giacomo “Mino” Parodi, che delle due sale cittadine era invece il gestore. “In famiglia erano tutti appassionati di basket”, rammenta Anna Vittoria Bertuccelli, ex assessore alla cultura di Viareggio, rispettivamente figlia e nipote dei due organizzatori.<br />
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“Lo avevano praticato lo zio Mino, suo fratello Aldo e perfino mia madre Teresa in una squadra femminile a Genova. E poi ricordo mia nonna che ad alcune partite se la prendeva con l’arbitro, o le trasferte del Vela in una Giardinetta Fiat, con i giocatori piegati in due perché stavano strettissimi”. La prima Coppa Carnevale si svolge nel 1948: le partecipanti arrivano dal circondario, Livorno su tutte, e così è pure nell’edizione successiva. Il campo di gioco è il Bertabello in via IV Novembre, dove oggi sorge il cortile del liceo scientifico.<br />
<b><br /></b>
<b><span style="font-size: large;">Gira che ti Gira</span></b><br />
Arrivano gli anni Cinquanta e segnano una duplice svolta. La prima: il torneo si fregia della presenza della sezione cestistica della Lazio, di Varese e del Gira Bologna, terzo incomodo nell’eterno duello tra Fortitudo e Virtus, che alza la Coppa nel 1950. La seconda: l’Assi Viareggio dei fratelli Cecco e Sandro Luporini, di Egidio "Gigi" Pieraccini, di Celeste Soppelsa detto "il Pasugia", di Franco Fiorani, di Lazzaro Lucarini "il fachiro" e il resto della generazione d’oro viene promosso in Serie A ("Indimenticabile il debutto contro la Virtus Bologna campione d'Italia", aggiunge Luporini. "Vincemmo a sorpresa noi, 37-33. Forse loro furono messi in difficoltà dalla superficie in marmo del Bertabello, che veniva utilizzata anche come pista di pattinaggio. 'Da Viareggio uno squillo di tromba' titolò un giornale").<br />
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Il torneo assume così rilievo nazionale e, addirittura, internazionale. “A quei tempi non era difficile organizzare la competizione", racconta Ilo Mannocci, una vita al servizio del basket a Viareggio e in mezza Toscana. "Le squadre chiedevano solo vitto e alloggio e una convenzione con gli alberghi si trovava sempre. In giro per l’Italia, oltretutto, non c’erano altri tornei”.<br />
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Per la quarta edizione sbarcano in città gli svizzeri del Servette, i francesi del Grenoble e, soprattutto, la Stella Rossa di Belgrado nello stesso anno in cui l’altra celebre polisportiva della capitale serba, il Partizan, trionfa a Viareggio nel torneo di calcio. Non è una presenza casuale, quella dei cestisti dell’Est: come ha scritto Nicola Sbetti nel suo saggio "Like a bridge over troubled Adriatic water", da poco Italia e Jugoslavia hanno allacciato i contatti in campo sportivo in un’epoca di forti tensioni politiche per la disputa di Trieste, senza dimenticare lo strappo fra Tito e Stalin che divide i comunisti.<br />
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Con ben sette nazionali in rosa, la Stella Rossa è la favorita d’obbligo, eppure a vincere è ancora il Gira dei vari Bongiovanni, Ranuzzi, Rapini e James Strong che infligge quasi venti punti di distacco (49-31) ai giganti slavi. E i felsinei si ripetono pure nel 1952.<br />
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<b><span style="font-size: large;">Spettacolo assicurato</span></b><br />
“Era decisamente un altro basket”, osserva Mannocci. “Le partite duravano due tempi, il pallone era enorme e pesante, il gioco più farraginoso e meno dinamico”. Eppure il livello delle partecipanti era elevato: “C’era uno svizzero afroamericano, Yoghi Bough, che lanciò la palla facendola passare dietro la schiena: oggi ci riuscirebbe perfino un ragazzino, ma per quei tempi fu un prodigio mai visto.<br />
<br />
"E poi c’era un centro della Stella Rossa che schiacciò a canestro: fu soprannominato ‘il ragno’ perché sembrava che si arrampicasse sul tabellone. Venne giù tutta la tribuna!”. La partecipazione viene estesa anche alla squadra dei militari americani di stanza a Camp Darby e il torneo cresce ulteriormente, diventando un’occasione unica di confronto tra scuole cestistiche agli antipodi.<br />
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Proprio gli <i>yankee</i> si lasciano alle spalle Stella Rossa, Olimpia Milano, Viareggio e Gira nel 1953, quando il torneo viene inaugurato da una semplice ma riuscita cerimonia d’apertura con sfilata, esecuzione degli inni nazionali e simbolico volo di cento colombe. Il “Borolimpia”, come veniva chiamato il quintetto meneghino, vincerà a distanza di un anno schierando i suoi campioni.<br />
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C'è Cesare Rubini, oro olimpico con la nazionale di pallanuoto ai Giochi di Londra ("Aveva i capelli un po' lunghi sulla nuca e per questo i tifosi viareggini, a presa di giro, lo soprannominarono Tosone", è il ricordo di Giorgio Fazzini, altra memoria storica dello sport locale). Ci sono Sergio Stefanini e Romeo Romanutti, che sarebbero dovuti venire in prestito all'Assi per il torneo del 1952, ma rimase solo una suggestione. C'è Enrico “Ricky” Pagani, che avrebbe poi recitato nel film “I sogni nel cassetto” al fianco di Lea Massari. E poi i vari Sforza, Gamba e Reina. Un trionfo ampiamente celebrato anche dal <i>Corriere della Sera</i>, che dopo la vittoria sui Leghorn Lions titola pomposamente “I cestisti del Borletti battono gli americani”.<br />
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<b><span style="font-size: large;">Ultimi botti</span></b><br />
Nel 1955 il torneo si trasferisce nel nuovo campo all’aperto di via Garibaldi, oggi rimpiazzato dall'edificio delle poste, e si registra il boom di partecipanti (sei). Al quarto tentativo la Stella Rossa riesce ad aggiudicarsi la Coppa: in semifinale elimina i Darby Lions - la notizia rimbalza perfino sui quotidiani d’oltreoceano grazie a un lancio d’agenzia dell’<i>Associated Press</i> - e poi supera l’Aris Salonicco. Durante le cinque freddissime giornate di torneo (“Ho ancora negli occhi l’immagine di parecchi spettatori con la coperta sulle gambe”, dice Mannocci) si contano qualcosa come tremila temerari appassionati che si godono gente come Đorđe Andrijašević, Milan Bjegojević, Borislav Ćurčić, Ladislav Demšar e Borko Jovanović.<br />
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Tra gli ellenici spicca Faidon Matthaiou, un marcantonio che ha gareggiato alle Olimpiadi del 1948 nel canottaggio: considerato il patriarca del basket greco, quaggiù lo ricordano non solo per le eccellenti giocate. “Ebbe una <i>liaison</i> con la Rosina, la figlia di Iacopo Piselli, il proprietario del calzaturificio Vela che faceva da sponsor e ha dato il nome alla squadra di Viareggio”, rivela Mannocci. Lo stesso Vela sbaraglia a sorpresa tutti gli altri rivali nel 1956 ma, paradossalmente, lontano da casa: le gare conclusive si disputano alla palestra al coperto di Camp Darby causa avverse condizioni meteo a Viareggio, con tanto di trasferimento dei tifosi in torpedone.<br />
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<b><span style="font-size: large;">Triste epilogo</span></b><br />
Sarà, quella, l’ultima vera Coppa Carnevale: dopo un paio di anni di inattività, il torneo prova a ripartire nel 1959 con la decima edizione, vinta dalla Ignis Varese davanti a Virtus Bologna, Red Knights e Vela Viareggio, ma non ci sarà più alcun seguito. “Perché finì? I motivi sono tanti”, osserva ancora Mannocci. “L’interesse per la pallacanestro in città scemò, tanto che fu perfino sciolta la squadra dopo una cena al Nettuno passata alla storia: i giocatori più anziani volevano essere pagati e a quel punto la dirigenza gettò la spugna. Le varie società, poi, iniziarono ad avanzare pretese economiche esose e il torneo patì oltretutto la contemporanea nascita dell’Eurolega”.<br />
<br />
Di pallacanestro a Carnevale non se ne riparlò più, se non nel 1967 con un torneo femminile e nel 1983 con il Trofeo Burlamacco al palazzetto dello sport (quanto avrebbe fatto comodo un impianto al coperto negli anni d’oro…). Un altro capitolo da aggiungere al già voluminoso libro delle occasioni perse a Viareggio.<br />
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<b>Fonti:</b><br />
<i>Corriere della Sera</i><br />
<i>Gazzetta dello Sport</i><br />
<i>Corriere dello Sport<br />Il Tirreno</i><br />
Renzo Pellegrini, "120 anni del Carnevale" (vol. 7), Pezzini Editore (1993)<br />
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<b>Ringraziamenti:</b><br />
Pierluigi Becagli<br />
Anna Vittoria Bertuccelli<br />
Giorgio Fazzini<br />
Sandro Luporini<br />
Ilo Mannocci<br />
Claudio Sodini<br />
<a href="http://www.laziowiki.org/wiki/Pagina_principale">WikiLazio</a><br />
<a href="https://www.velabasket.com/">Vela Basket Viareggio</a><br />
<br />Simone Pierottihttp://www.blogger.com/profile/01305919647376531873noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1006519075357771760.post-85543785415224209352017-12-22T11:55:00.002+01:002017-12-22T11:59:44.893+01:00Real Madrid-Barcellona su "Rivista Undici"<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhN77g9MOGZtUKeEgd0xsoAUBvX1Osj5ZY_FMb4Sg1XVLihTvCehapVdtZnfdaMlQBuGx1JivrfyY7WSNCMJCX8L2SF9WSPAnfbIEyvlQyVLHYdoMkD_Eh_ASqHpx1P8OIC9dWWkdYuEQBz/s1600/clasico+undici.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="661" data-original-width="1341" height="313" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhN77g9MOGZtUKeEgd0xsoAUBvX1Osj5ZY_FMb4Sg1XVLihTvCehapVdtZnfdaMlQBuGx1JivrfyY7WSNCMJCX8L2SF9WSPAnfbIEyvlQyVLHYdoMkD_Eh_ASqHpx1P8OIC9dWWkdYuEQBz/s640/clasico+undici.jpg" width="640" /></a></div>
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Un anno fa mi è toccato l'onore di scrivere di Barcellona-Real Madrid <a href="https://www.foxsports.it/2016/12/04/los-sinteticos-clasico-barcellona-real-madrid-liga-quattordicesima-giornata/">per il sito di Fox Sports Italia</a>, l'emittente televisiva che trasmette le partite della Liga spagnola. A distanza di dodici mesi torno a parlare del Clásico e questa volta su Rivista Undici.<br />
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<a name='more'></a>Quello in calendario per l'antivigilia di Natale (sarà stato un caso?) sarà un duello molto particolare, sia per le sue implicazioni politiche - è il primo Real-Barcellona dopo il controverso referendum sull'indipendenza della Catalogna, e le tensioni che ne sono seguite - ma anche economiche - si gioca all'una del pomeriggio, probabilmente per massimizzare il numero di telespettatori nel succulento mercato asiatico.<br />
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<i><a href="http://www.rivistaundici.com/2017/12/22/barcellona-realmadrid-23-dicembre/">Qui l'articolo completo</a></i><br />
<br />Simone Pierottihttp://www.blogger.com/profile/01305919647376531873noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1006519075357771760.post-40486685955769958342017-12-07T14:19:00.003+01:002017-12-07T14:20:07.446+01:00La rinascita dell'Aek Atene su "Rivista Undici"<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgWR1_AZOO85HH5Et2GVU-84-95cIdd93kRW_cQ_Rjln0KHFAocuvb1g4vTQAx0xVjLiqoAVlX8Qq6x_h5Nu_OnqhOZgIEaS9xZlAuGwQiNiRXBOqs793HjMuXVXZ44EYPGPpAhqrHWqDTQ/s1600/aek+atene+undici.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="655" data-original-width="1345" height="311" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgWR1_AZOO85HH5Et2GVU-84-95cIdd93kRW_cQ_Rjln0KHFAocuvb1g4vTQAx0xVjLiqoAVlX8Qq6x_h5Nu_OnqhOZgIEaS9xZlAuGwQiNiRXBOqs793HjMuXVXZ44EYPGPpAhqrHWqDTQ/s640/aek+atene+undici.jpg" width="640" /></a></div>
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<i>Da Sheffield ad Atene, da una delle città straniere in cui ho trascorso delle magnifiche esperienze a un'altra. Quella, probabilmente, a cui sono più legato. Oggi, all'indomani di un giorno non proprio leggero e facile, ritorno su Rivista Undici con un approfondimento sull'AEK Atene, tornata ai vertici del calcio greco pochi anni dopo la doppia retrocessione.</i></div>
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<i></i></div>
<a name='more'></a><i><a href="http://www.rivistaundici.com/2017/12/07/aek-atene-ritorno/">Qui</a> potete leggere l'articolo completo.</i><br />
<br />Simone Pierottihttp://www.blogger.com/profile/01305919647376531873noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1006519075357771760.post-56885117765899673912017-10-09T13:00:00.000+02:002017-12-01T11:50:58.470+01:00Quando gli italiani cantavano "Du-Du-Kla-Kla"<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiJl3aWtcSXWzvyLfoFC7NlV-zkA-pS5mGc3-7fLIfsCtKYikF74MAE-wr2XrfUyx8YACXCcj6JdMZNsFYCTTIrkVP0nK4cnnZUxEgIU5XFTsU1c83FzYCk-gue3GQWB0s7uD93LSsgNo5U/s1600/22405567_10214692319567489_8581944904262230576_n.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="960" data-original-width="960" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiJl3aWtcSXWzvyLfoFC7NlV-zkA-pS5mGc3-7fLIfsCtKYikF74MAE-wr2XrfUyx8YACXCcj6JdMZNsFYCTTIrkVP0nK4cnnZUxEgIU5XFTsU1c83FzYCk-gue3GQWB0s7uD93LSsgNo5U/s320/22405567_10214692319567489_8581944904262230576_n.jpg" width="320" /></a></div>
<i><br /></i>
<i>Ho sempre sognato di parlare della mia città, e del torneo mondiale di calcio giovanile in particolare, in una lingua diversa dall'italiano. Però ecco, non pensavo che un giorno avrei letto il mio nome sopra un testo scritto in ceco. </i><br />
<i><br /></i>
<i> E invece è andata proprio così. Per il secondo numero di FootballClub.cz, una rivista di calcio e cultura edita a Praga, ho scritto - in inglese, beninteso - un lungo pezzo intitolato 'Když Italové křičí Du-Du-Kla-Kla' ("Quando gli italiani cantavano Du-Du-Kla-Kla").</i>
<br />
<i><br /></i>
<a name='more'></a><i>Ho raccontato l'epopea del Dukla Praga al Torneo di Viareggio, vinto per sei volte dalla squadra dell'allora esercito cecoslovacco che nella mia città godeva dell'appoggio dei militanti di sinistra (il titolo fa riferimento proprio ai cori intonati dai viareggini in favore dei giocatori del Dukla). </i><br />
<i><br /></i>
<i>Con questo post colgo l'occasione per ringraziare Massimiliano Tamagnini che mi ha dato modo di arricchire il racconto con i suoi preziosi e stupendi ricordi</i>.<br />
<br />Simone Pierottihttp://www.blogger.com/profile/01305919647376531873noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1006519075357771760.post-49986258087002549302017-08-22T20:22:00.000+02:002017-08-24T00:02:19.612+02:00Il derby di Sheffield su "Rivista Undici"<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfEYaMkQvKJlWghFn9SxdFP5_NZWwDNsu34Ik78Fryf2ieexxJC-0o0v9vJF4muE90WlDC080XXjhW6TRiGWPoodlOjTo8lTB_ZCWmt2H4VsRH9bJtSxQTqlo_5WINHw5Z3PwGTR_ub37T/s1600/sheffield+undici.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="663" data-original-width="1345" height="313" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfEYaMkQvKJlWghFn9SxdFP5_NZWwDNsu34Ik78Fryf2ieexxJC-0o0v9vJF4muE90WlDC080XXjhW6TRiGWPoodlOjTo8lTB_ZCWmt2H4VsRH9bJtSxQTqlo_5WINHw5Z3PwGTR_ub37T/s640/sheffield+undici.jpg" width="640" /></a></div>
<i><br /></i>
<i>Prima la gioia di vedere <a href="https://www.theblizzard.co.uk/article/offshore-development">il mio nome stampato su </a></i><a href="https://www.theblizzard.co.uk/article/offshore-development">The Blizzard</a><i>, la rivista trimestrale di calcio diretta da Jonathan Wilson. Poi un'altra collaborazione estera all'orizzonte per settembre. E poi il debutto su Rivista Undici, oltretutto con un tema a me carissimo. Questo 2017 mi sta regalando delle grandissime soddisfazioni in ambito giornalistico e oggi pubblicizzo l'ultima in ordine di tempo ma non certo per importanza.</i><br />
<i><br /></i>
<a name='more'></a><i>Su </i>Undici<i>, pure questa una prestigiosa rivista trimestrale dove scrivono grandi firme del giornalismo sportivo italiano - su tutte Paolo Condò, che ricordo come una persona disponibilissima al Premio Gherardo Gioè a Viareggio -, ho pubblicato proprio stamani <a href="http://www.rivistaundici.com/2017/08/22/sheffield-derby/">il mio primo articolo</a>: è dedicato al derby di Sheffield, che torna a distanza di cinque anni grazie alla promozione dello United in Championship e al mancato approdo del Wednesday in Premier League. </i><br />
<i><br /></i>
<i>Chi mi conosce sa quanto io sia legato al calcio a Sheffield, città dove ho trascorso un'esperienza indimenticabile laureandomi in Sports Journalism, facendo amicizia con ragazzi da ogni dove e gustandomi un po' di </i>football<i> anche dal vivo. E allora, forse, non poteva davvero esserci argomento migliore per scrivere questo mio primo articolo per </i>Undici<i>.</i><br />
<i><br /></i>
<i>Buona lettura, as always.</i><br />
<br />Simone Pierottihttp://www.blogger.com/profile/01305919647376531873noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1006519075357771760.post-27038106570366787912017-08-02T18:00:00.000+02:002017-11-20T14:26:01.683+01:00Neymar, i segreti di un uomo pagato 222 milioni<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjI4pn5112_jzViZ1Udc1ikmvb-6xj_IlvdO3qdv3zPTrptiOna91efQqEtzrwhrJOfpIjk9QSZY6uGetAP_2XlYOzwALclDFxXGvoqhQbTlBtZ2iQIengxVggGpyZ7Y2Lr87TnEZPfz6YI/s1600/20141118_AUTBRA_5088.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="300" data-original-width="200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjI4pn5112_jzViZ1Udc1ikmvb-6xj_IlvdO3qdv3zPTrptiOna91efQqEtzrwhrJOfpIjk9QSZY6uGetAP_2XlYOzwALclDFxXGvoqhQbTlBtZ2iQIengxVggGpyZ7Y2Lr87TnEZPfz6YI/s200/20141118_AUTBRA_5088.jpg" width="133" /></a></div>
I brasiliani lo adorano: il suo repertorio di assoli, quasi mai autoreferenziali, rimangono uno dei pochi barlumi di <i>futebol bailado</i> in una nazionale che ormai ha nel suo corredo i geni del calcio europeo. I tifosi avversari gli rinfacciano il look tra tamarro e cafonal con ciuffi sbarazzini e diamanti sui lobi, o le cadute accentuate nei contrasti.<br />
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Neymar è uno dei tanti fuoriclasse che divide la platea del grande show globale del calcio. Solo che s'appresta lui a divenire il più pagato di sempre: 222 milioni di euro. Follia, anche se da tempo il pallone s'è piegato alle logiche del turbocapitalismo. Ma - è il quesito con cui ci stiamo lambiccando il cervello da giorni - li vale davvero?<br />
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<a name='more'></a>Neymar è l'ultimo baluardo della fantasia e dell'allegria tipiche di un calcio estensione dei passi di samba e capoeira. Deve tutto al padre, ieri giocatore professionista e oggi suo procuratore: la vita, ma anche l'amore per il pallone e perfino il nome, come suggerisce il "Neymar Jr" che campeggia sulle sue maglie da gioco.<br />
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Si è subito dovuto scontrare con pressioni e aspettative: a undici anni è entrato nel Santos, la squadra di Pelé, e figurarsi se non si sono scomodati i paragoni quando ha indossato la maglia col dieci - i tifosi lo avevano pure ribattezzato O Ney per l'assonanza con O Rei, soprannome di chi sapete voi (Pelé). S'innesca un meccanismo senza soluzione di continuità: gioca le prime partite in nazionale, firma lucrosi contratti di sponsorizzazione, sale pure sul palco a fianco del cantante Michel Teló e improvvisa un balletto sulle note del suo tormentone "Ai se eu te pego".<br />
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Neymar, lo avrete già intuito, non è più un semplice calciatore di belle speranze: è un brand. Un marchio aumentato di valore quando il Barcellona nel 2013 l'ha calato nel calcio che conta.<br />
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A proposito di controversie: era stata aperta addirittura un'inchiesta sulla reale cifra sborsata dai blaugrana al Santos e alla famiglia del campioncino, sfociata nelle dimissioni del presidente Sandro Rosell. Al Camp Nou, intanto, Neymar ha messo piede nello spogliatoio degli idoli d'infanzia: «Guardai da una parte: c'era Messi. Dall'altra Xavi, Iniesta, Piqué, Dani Alves. Un giorno li sceglievo ai videogame, quello dopo ero accanto a loro», ha raccontato. «Il primo mese fu molto complicato: parlare con Messi m'imbarazzava».<br />
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La timidezza è stata pian piano sopraffatta dalla bravura; ha imparato a stare a fianco di Messi e Suárez ed è diventato sempre più determinante con le sue giocate, vedasi la clamorosa rimonta in Champions League proprio contro il Paris Saint Germain degli sceicchi qatarioti.<br />
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Ma allora, perché andar via e farsi tacciare di tradimento? Neymar, che a 25 anni ha già segnato oltre 300 gol - né Messi né Ronaldo avevano osato tanto -, sa che per consacrarsi non può più permettersi il ruolo di comprimario: dev'essere lui quello da coccolare, quello che fa vendere più magliette. E a Parigi ci sono sì altri campioni, ma dal nome meno ingombrante. Ora o mai più.<br />
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Ah, non abbiamo ancora risposto: Neymar vale una spesa che risanerebbe il Terzo Mondo? C'è chi parla di rientro sicuro del capitale investito e di elevata potenzialità attrattiva. È tutto diventato un mostruoso gioco al rialzo, chissà per quanto ancora sostenibile: se il City sperpera 138 milioni per tre difensori normali, per assurdo i 222 per il brasiliano sembrano proporzionati. Paradossi di un calcio sempre più industria dell'entertainment all'incessante ricerca di star da vendere sul mercato. Star come Neymar.<br />
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<i>(articolo pubblicato su Il Tirreno del <a href="http://ricerca.gelocal.it/iltirreno/archivio/iltirreno/2017/08/02/nazionale-i-segreti-di-un-uomo-pagato-222-milioni-43.html?ref=search">2 agosto 2017</a>)</i></div>
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<br />Simone Pierottihttp://www.blogger.com/profile/01305919647376531873noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1006519075357771760.post-57422809049495189682017-07-07T08:00:00.000+02:002017-07-07T16:02:35.477+02:00Il calcio sull'isola di Martinica<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjnuseKCke2PEIySIvGD19IkO85MTkbzN7_w7fv8IQ9WVYV0JxR6R55gD22AFOji301U-fZ-sjKFPUdnacin0q6-9yMtEtQIxAK4CDLZS-DkHoaijEy07a9MoDnYOZ-magPNv9HqiZZPsUa/s1600/dt.common.streams.StreamServer.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="629" data-original-width="1024" height="245" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjnuseKCke2PEIySIvGD19IkO85MTkbzN7_w7fv8IQ9WVYV0JxR6R55gD22AFOji301U-fZ-sjKFPUdnacin0q6-9yMtEtQIxAK4CDLZS-DkHoaijEy07a9MoDnYOZ-magPNv9HqiZZPsUa/s400/dt.common.streams.StreamServer.jpg" width="400" /></a></div>
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<i>Agosto 1999: io e la mia famiglia siamo all'aeroporto internazionale di Los Angeles, di ritorno da una stupenda vacanza sulla costa pacifica degli Stati Uniti. Siamo seduti al gate in attesa d'imbarcarci sul nostro volo per Londra quando, a un certo punto, passa un gruppo di hostess. Indossano sgargianti tailleur rossi con risvolti d'un bianco candido e sfoggiano un'abbronzatura dorata. Ma a colpirmi è il colore degli occhi, un celeste chiaro chiaro che sa tanto di mare dei Caraibi. Tutto torna: sono le hostess dell'Air Martinique.
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<a name='more'></a><i><i>Quasi venti anni dopo, scopro nuovamente la Martinica. È andata più o meno così: io e l'amico giornalista Alessandro Mastroluca avevamo in mente di scrivere qualcosa sul calcio (naturalmente) incentrato tuttavia su luoghi esotici e tropicali, possibilmente disconosciuti dalla Fifa e con tante storie da raccontare. Abbiamo buttato giù una lista e c'è finita anche Martinica, della quale sapevamo poco o nulla. E <a href="http://www.mondofutbol.com/martinica-alla-gold-cup-orgoglio-sogni-mondiali-indipendenza/">Mondo Futbol ha accettato la nostra proposta</a>, complice la partecipazione della nazionale martinicana alla prossima Gold Cup.</i><br />
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<i>A ben pensarci ci siamo sentiti un po' come Cristoforo Colombo, che avvistò e battezzò con questo nome l'isola: siamo andati alla scoperta di un territorio inesplorato, tant'è che le fonti che abbiamo trovato e usato per scrivere questo pezzo sono tutte in francese. </i><br />
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<i>È stato un viaggio appassionante, e spero che lo sia anche per voi che ci leggerete. </i><br />
<i><br /></i></i>Simone Pierottihttp://www.blogger.com/profile/01305919647376531873noreply@blogger.com0