lunedì 5 settembre 2011

Alé Calais, la Bargilli si dà al calcio


Parigi val bene una messa. In scena.Questione di pochi giorni e il Théâtre Mouffetard, dal 7 al 17 settembre, ospiterà otto rappresentazioni di «Alé Calais», pièce scritta dal giornalista Osvaldo Guerrieri e diretta da Emanuela Giordano. È un monologo che racconta la grande impresa del Calais, squadra della quarta divisione del calcio transalpino: undici anni fa scrisse una pagina memorabile della storia dello sport, arrivando ad un passo dalla conquista della Coppa di Francia.

La squadra allenata da Ladislas Lozano, spagnolo rifugiatosi oltre i Pirenei per sfuggire al franchismo, era composta da giocatori dilettanti: chi faceva il giardiniere, chi il magazziniere, chi l'imbianchino. Umili mestieranti che arrivarono alla finale di Coppa di Francia, a Parigi contro il Nantes, dopo aver eliminato squadre di vertice come Strasburgo e Bordeaux. Eroi all'improvviso che si videro sfilare di mano il trofeo all’ultimo minuto per un rigore dubbio.

 Il compito di narrare le gesta dell'undici di Calais è affidato all’attrice cecinese Marianella Bargilli: è il suo primo spettacolo tutto incentrato sullo sport («Non sono appassionata di calcio, anche se guardo sempre i Mondiali»). Soprattutto, è il primo monologo in carriera. Un grande passo in avanti, per chi fa teatro. Ad alzare il coefficiente di difficoltà contribuisce la recitazione in francese: «È vero, l'ho studiato al liceo linguistico - racconta Marianella - ma è diverso dall'italiano. È difficile, come avviene in questa narrazione, passare da una lingua all'altra. Perché usiamo entrambe? È una storia francese raccontata, però, da un'italiana».

Foto marianellabargilli.it
Ecco: come nasce l’idea di parlare proprio di calcio, su un palcoscenico?
«È stato Osvaldo Guerrieri a scrivere un primo testo sull’impresa del Calais, su suggerimento di un amico che fa teatro. Lo ha letto Emanuela Giordano, la regista dello spettacolo: ne è stata fatta una riduzione teatrale che poi è arrivata sulla mia scrivania. Mi sono documentata sulla storia, avvincente e soprattutto popolare tra quanti seguono il calcio. Ne è nato uno spettacolo teatrale già rappresentato in Italia che, il prossimo anno, diventerà un libro, tradotto anche in inglese ed in spagnolo».

Come ci si sente a recitare un monologo?
«Rispetto ad altri spettacoli l’attore deve avere la capacità di tenere alta l’attenzione del pubblico, tutto concentrato su chi recita. Ricordo il debutto: la reazione della platea era palpabile, non ci ero abituata. Il monologo, poi, è un’occasione di crescita professionale: consiglio a chi si avvicina al teatro di provarlo appena possibile».

Uno spettacolo che esalta il gesto dell’atleta, in un momento in cui in Italia il giornalismo sportivo vive di gossip e polemiche...
«Sì, direi che è una giusta analisi. La mia non è un’intepretazione, qui faccio la cantastorie: lo spettacolo è infatti un ibrido tra la ballata popolare ed il teatro epico. E la storia del Calais è un’impresa eroica meravigliosa sul piano umano: le loro non erano semplici vittorie, era il percorso di uomini forti e consapevoli che la conquista della Coppa avrebbe cambiato le loro vite».

È la prima recita in terra straniera?
«No, abbiamo già rappresentato lo spettacolo proprio a Calais, solo per una sera, un anno fa. Erano presenti anche i giocatori della squadra: il portiere Cédric Schille ha raccontato che a dieci anni di distanza non ha ancora realizzato l’impresa che hanno compiuto. Il capitano Réginal Becque, ed anche gli altri, ci ha fatto i complimenti: è stato apprezzato il modo in cui abbiamo raccontato la loro storia. “L'Équipe”, quotidiano sportivo francese, ci ha persino dedicato mezza pagina».

A quando uno spettacolo in Toscana?
«Chissà. Finora abbiamo battuto soprattutto grandi piazze come Milano, Torino e Roma perché avevamo bisogno di visibilità, delle recensioni dei critici. Lo spettacolo non ha scenografie ingombranti, siamo solo i musicisti del Trio Bubbez ed io: vorrei portarlo nei teatri di provincia. Anche nella mia Toscana, certo».

(Articolo pubblicato su "Il Tirreno" - Riproduzione riservata) 

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