mercoledì 28 ottobre 2009

Lo sport secondo Noam Chomsky


È davvero con grande piacere che pubblico oggi su questo blog un contributo sui rapporti tra sport e potere firmato da Noam Chomsky. Difficile descrivere in poche righe la sua figura: viene innanzitutto ricordato come uno dei maggiori linguisti del XX° secolo, essendo il padre della teoria della grammatica generativa ed insegnante di linguistica al prestigioso MIT (Massachussets Institute of Technology) di Boston. Ma è anche un grande filosofo e teorico della comunicazione: spesso i suoi studi si sono concentrati sul ruolo giocato dai mass media nelle democrazie occidentali, nella costruzione e nel mantenimento del consenso da parte di chi detiene il potere. Al tempo stesso, è uno degli intellettuali che gode - specie negli ambienti della sinistra radicale - di maggior credito negli Stati Uniti e nel mondo, paladino della libertà di pensiero e fiero oppositore delle politiche imperialiste condotte, per lungo tempo, non solo dal suo paese. Nel libro "Capire il potere", edito in Italia da ilSaggiatore, spiega come i media abbiano tentato di contrastare un certo attivismo politico e, soprattutto, come abbiano determinato il nostro modo di pensare: un paragrafo ("Sport spettacolo") è dedicato proprio allo sport e all'uso strumentale che ne ha fatto - e ne fa - il potere politico. Qui trovate il testo originale in lingua inglese.
Il contributo di Chomsky, per certi versi, non è dissimile da quello che scrisse George Orwell oltre mezzo secolo fa nel suo saggio "The Sporting Spirit". Si può naturalmente dissentire da entrambi, ma credo che non si possa fare a meno di leggere il loro pensiero sul fenomeno sport.


D. Può dirci qualcosa di più sul ruolo sociale svolto dallo sport nello spoliticizzare la gente? Mi sembra più importante di quanto non si creda comunemente.

NC. In effetti è un argomento interessante. Personalmente non ne so molto, ma anche solo osservando il fenomeno dall'esterno è ovvio che gli sport professionistici, e in generale gli sport che non comportano partecipazione, svolgano un ruolo enorme. Per esempio è fuori di dubbio che attirino una quantità spaventosa di attenzione.

Quando guido, ho l'abitudine di accendere la radio e di sintonizzarmi sui programmi con interventi del pubblico: quelli dedicati allo sport sono impressionanti. Ci sono gruppi di giornalisti sportivi o di esperti, che formano una sorta di commissione, e la gente chiama per discutere con loro. Innanzitutto il pubblico dedica ovviamente un'enorme quantità di tempo a tutto questo. Ma la cosa più impressionante è che chi chiama è molto competente, conosce tutto nei minimi dettagli e sostiene discussioni assai complicate. E non ha alcun timore reverenziale verso gli esperti, cosa che trovo un po' insolita. Per lo più nella nostra società siamo incoraggiati a rimetterci agli esperti: tutti lo facciamo più di quanto dovremmo. In questo campo, però, sembra che la gente non lo faccia: sono felicissimi di avere una disputa con l'allenatore dei Boston Celtics, di dirgli quello che avrebbe dovuto fare, di addentrarsi con lui in grandi discussioni e così via. Il fatto è che in questo campo la gente si sente in un modo o nell'altra sicura di sé ed è molto competente; in tutto questo entra ovviamente in ballo una grande quantità d'intelligenza.

In effetti questo mi ricorda in qualche modo quanto si può scoprire nelle culture prive di istruzione o non tecnologiche - quelle che definiamo "primitive" - dove, per esempio, si trovano elaboratissimi sistemi di parentela. Alcuni antropologi credono che tali sistemi siano in relazione con i tabù dell'incesto e cose del genere, ma è improbabile, perché sono complicati molto oltre qualsiasi utilità funzionale. E quando osserviamo le loro strutture, esse sembrano avere caratteristiche matematiche. È come se volessero elaborare problemi matematici e, non disponendo di analisi matematica ed aritmetica, facessero ricorso ad altre strutture. Una delle strutture comuni a tutti questi gruppi è quella dei rapporti di parentela: perciò elaborano le loro complesse strutture intorno ad essa e creano esperti, teorie e quant'altro.

Un'altra cosa riscontrabile qualche volta nelle culture prive di istruzione è lo sviluppo di sistemi linguistici straordinari: spesso hanno un linguaggio molto sofisticato e la gente lo utilizza per ogni tipo di giochi. Così ci sono riti della pubertà in cui le persone che attraversano lo stesso periodo di iniziazione sviluppano il proprio linguaggio, che è di solito una modificazione della lingua normale, differenziata attraverso operazioni mentali alquanto complesse: rimane allora il loro linguaggio per sempre, diverso da quello degli altri. Sembra che alla base di tutto questo ci sia il fatto che la gente vuole utilizzare in qualche modo la propria intelligenza e, quando non possiede tecnologie o cose simili, lo fa in altri modi.

Bene, nella nostra società abbiamo cose sulle quali potremmo usare la nostra intelligenza, come la politica, ma in realtà la gente non vi si può impegnare molto seriamente, perciò si dedica a cose come lo sport. Sei addestrato ad essere ubbidiente, hai un lavoro che non ti interessa, in giro non c'è un lavoro creativo per te, in campo culturale sei uno spettatore passivo di roba solitamente di cattivo gusto, la vita politica e sociale è al di là della tua portata ed è nelle mani dei ricchi. Cosa rimane? Beh, resta lo sport, per esempio: così metti un sacco d'intelligenza, di pensiero e di fiducia in te stesso nello sport. Credo anche che questa sia una delle sue funzioni fondamentali nella società in generale: tiene la popolazione occupata e la scoraggia dal provare a impegnarsi nelle cose davvero importanti. Suppongo infatti che in parte sia questa la ragione per cui le istituzioni dominanti sostengono così tanto lo sport spettacolo.

Lo sport spettacolo ha anche altre utili funzioni. Tanto per cominciare, costituisce un metodo eccellente per far crescere lo sciovinismo: si comincia molto presto nella vita a sviluppare questo tipo di lealtà totalmente irrazionale, che poi si trasferisce molto facilmente in altri campi. Ricordo benissimo che al liceo ebbi una sorta di Erlebnis, un'intuizione improvvisa, sapete, e mi chiesi: "Perchè dovrebbe importarmi della vittoria della squadra di football del mio liceo? Non conosco nessuno della squadra e loro non conoscono me. Se li incontrassi non saprei cosa dire. Perché dovrebbe importarmi? Perché quando la squadra vince sono tutto eccitato e mi deprimo quando perde?". È proprio così: dove stavo io vi insegnavano fin da bambini che dovevate interessarvi ai Philadelphia Phillies. In realtà sembra che ci sia un fenomeno psicologico di mancanza di fiducia in se stessi o qualcos'altro del genere che colpisce i ragazzi della mia età cresciuti a Philadelphia, perché ogni squadra era sempre ultima in classifica e questo è un duro colpo per il tuo ego, e la gente te lo fa sempre pesare.
Il fatto è che un tale sentimento di lealtà irrazionale verso qualche tipo di comunità priva di senso rappresenta una preparazione alla subordinazione al potere e allo sciovinismo. Naturalmente stiamo guardando dei gladiatori, gente che fa cose probabilmente impossibili per noi: non possiamo saltare oltre cinque metri con l'asta o compiere le imprese folli degli atleti. Però è un modello al quale siamo tenuti a ispirarci. Sono gladiatori e combattono per la nostra causa, così dobbiamo tifare per loro e dobbiamo essere felici quando l'attaccante avversario è trasportato via dal campo fuori combattimento. Tutta questa roba incoraggia aspetti tra i più antisociali della psicologia umana, aspetti che indubbiamente sono già presenti, ma che vengono accentuati, esagerati e portati allo scoperto dallo sport spettacolo: la competitività irrazionale, la lealtà irrazionale ai sistemi di potere, l'acquiescenza passiva a valori piuttosto spaventosi, ecco di che cosa si tratta. Effettivamente è difficile immaginare qualcosa di più adatto a favorire atteggiamenti autoritari, oltre al fatto che impegna un sacco di intelligenza e distoglie la gente da altre cose.

Considerando il fenomeno nel suo insieme, mi sembra che svolga un ruolo sociale sostanziale. Non credo che sia l'unico ad avere questo tipo di effetti: le soap opera, per esempio, lo fanno in un altro campo, insegnando un altro genere di passività e di assurdità. Di fatto, se si vuole realmente condurre una seria critica generale dei media, questo è il tipo di cose che ne occupano la maggior parte, dopo tutto: l'occupazione prevalente dei media non è fornire notizie sul Salvador a persone politicamente preparate, ma distogliere la popolazione dalle cose davvero importanti. Questo è un aspetto sul quale il lavoro sui media che ho realizzato con Ed Herman è realmente carente: non ne abbiamo parlato molto. Ma questa roba costituisce una parte importante dell'intero sistema di indottrinamento e propaganda, e vale la pena di analizzarla più attentamente. Ci sono persone che ne hanno scritto - Neil Postman e altri - e io non mi sento abbastanza esperto da aggiungere qualcosa".



Fonti:
N.Chomsky "Capire il potere" (a cura di Peter R. Mitchell, John Schoeffel), ilSaggiatore Tascabili, p. 144-148.

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