domenica 6 dicembre 2009

Il bagno di sangue di Melbourne





"Sono in molti a non capire
che cosa è questa inondazione,
perché si è mosso l'ordine del mondo?
Un popolo ha urlato. Poi fu il silenzio.
Ma ora tanti stanno a chiedere:
di carne ed ossa chi ha fatto legge?
E lo chiedono molti, sempre di più,
perché non lo afferrano proprio
loro che l'hanno avuto in eredità,
ma allora tanto vale la Libertà?"

(Sándor Márai)


Una partita di pallanuoto valevole per il girone finale, quello che mette in palio le medaglie. Una nazionale che mai come questa volta avverte l'obbligo di vincere per i propri compatrioti. L'acqua clorosa della piscina che, improvvisamente, si tinge di un rosso violento. Il pubblico che sostiene a gran voce una sola rappresentativa, quella di un popolo a cui è stata appena inferta una ferita profonda, dolorosa. Melbourne, 3 dicembre 1956. Ungheria-Urss, semifinale del torneo di pallanuoto maschile dei Giochi olimpici, si gioca all'interno di questo scenario, con i magiari che ancora schiumano di rabbia per la maniera brutale con cui i sovietici hanno spento, poche settimane prima, il focolaio della rivoluzione a Budapest.

Fu un anno piuttosto contraddittorio, il 1956, per il mondo comunista. Nell'Unione Sovietica si tentava di voltare bruscamente pagina dopo la lunga esperienza dello stalinismo: il leader georgiano si era spento tre anni prima. Nel Pcus erano sorte alcune lotte intestine per la successione al potere tra i seguaci di Stalin ed i fautori del nuovo corso: la scelta era caduta su Nikita Chruščёv, esponente del partito in Ucraina.

Esattamente nel febbraio di quell'anno, in occasione del XX° congresso, Chruščёv prese nettamente le distanze dal suo predecessore: in un rapporto segreto per i quadri del partito, il cui contenuto fu poi reso pubblico dagli Stati Uniti, il segretario fece più di un affondo contro Stalin ed il suo culto della personalità, denunciandone i crimini e aprendo così la strada alla destalinizzazione nei paesi del blocco comunista. Da inserire in questa cornice è il viaggio che lo stesso Chruščёv, accompagnato dal primo ministro Bulganin e dal suo vice Mikojan, fece nella Jugoslavia di Tito per ricucire lo strappo del 1948.

Tuttavia, la destalinizzazione dell'Est Europa portò in dote una serie di conseguenze devastanti ed incontrollabili, i cui effetti più vistosi si verificarono in Polonia e, soprattutto, Ungheria. Se in un caso la situazione tornò relativamente tranquilla dopo che la polizia aveva domato - pur con il sacrificio di qualche decina di vittime - lo sciopero degli operai di Poznań, sostenuto dalla Chiesa cattolica, nell'altro la rivolta antisovietica si macchiò del sangue della popolazione civile. 23 ottobre 1956: a Budapest, sulla scia di quanto accaduto nella vicina Polonia, gli studenti del circolo culturale Petőfi si riversano per le strade per chiedere in maniera pacifica la reintegrazione di Imre Nagy, ex primo ministro epurato l'anno prima dal partito comunista per aver tentato di introdurre riforme liberali.

Al corteo si uniscono anche numerosi operai e persino soldati in servizio, che strappano con ferma convinzione le stelle sovietiche dai loro cappelli. La dimostrazione assume, così, i connotati di una vera e propria rivolta contro l'Unione Sovietica e la sua presenza in Ungheria (il segretario generale del partito comunista ungherese era Ernő Gerő, scelto dal suo predecessore in persona, lo stalinista Mátyás Rákosi): la distruzione della statua del defunto leader georgiano ne è l'immagine emblematica.

In serata, la direzione centrale del partito nomina Nagy nuovo primo ministro ma, al tempo stesso, chiede che intervengano le truppe dell'Armata rossa, già presenti in territorio ungherese, nel tentativo di mantenere l'ordine: la situazione precipita, la folla - priva di un leader riconosciuto - è abbandonata al suo destino e diviene bersaglio dei proiettili dell'ÁVH, la polizia segreta. Nagy frattanto forma il nuovo esecutivo, orfano di stalinisti: nella squadra di governo compare pure il comandante Pál Maléter, schieratosi al fianco degli insorti sebbene fosse stato mandato a reprimere la ribellione, al quale verrà affidato il ministero della difesa.

L'Ungheria ritorna a respirare aria di libertà, il popolo sogna una nuova era all'insegna della democrazia. La tensione resta tuttavia alta: l'ÁVH prosegue la sparatoria e uccide circa cento manifestanti in piazza Kossuth, in prossimità del Parlamento, nel frattempo in varie parti del paese vedono la luce Consigli operai che reclamano il ritiro delle truppe sovietiche e libere elezioni.

Nagy fa da ago della bilancia e intavola trattative serrate con gli alti vertici del Cremlino nel tentativo di arrivare ad una soluzione pacifica: anche a Mosca auspicano una via d'uscita non virulenta, in modo non dissimile da quanto accaduto nella vicina Polonia. Nagy cerca e ottiene il cessate il fuoco e, con esso, l'allontanamento delle truppe e lo scioglimento dell'ÁVH. Il premier magiaro, tuttavia, si espone eccessivamente alle richieste del movimento di piazza ed annuncia l'uscita del paese dal Patto di Varsavia, proclamando così la neutralità dell'Ungheria.

Il Cremlino vive i proclami di Nagy come un affronto verso l'establishment sovietico: il Comitato centrale dell'Urss decide di impartire una dura lezione ai rivoltosi. Il 2 novembre Chruščëv va alla ricerca del consenso all'invasione da parte dei partiti comunisti jugoslavo e rumeno, mentre il giorno successivo Maléter viene arrestato dal Kgb.


Il 4 novembre l'Armata Rossa fa il suo ingresso a Budapest con un'azione combinata di incursioni aeree, bombardamenti di artiglieria, carri e fanteria: il dispiegamento di forze in campo è privo di equilibri, la rappresaglia è cruenta e non lascia scampo a nessuno. Nagy ed alcuni compagni trovano rifugio presso l'ambasciata jugoslava: nel volgere di tre settimane verranno consegnati ai sovietici, in base ad un accordo tra Tito e Chruščёv. Tre giorni dopo, con l'insediamento del governo filosovietico del segretario generale del partito János Kádár, viene portata ufficialmente a termine l'opera di "normalizzazione" del paese.

Intanto si avvicinano i Giochi olimpici di Melbourne, in programma a dicembre in quanto la città ospitante si trova nell'emisfero australe. L'Ungheria difenderà il titolo nella pallanuoto maschile, uno sport nel quale può vantare una lunga tradizione. La nazionale magiara si prepara all'evento proprio nei giorni della repressione sovietica: i giocatori sono in ritiro su un monte sopra Budapest e possono così udire il rumore degli spari e osservare il fumo librarsi nel cielo che sovrasta la capitale ungherese.

Ma nessuno racconta loro cosa sta accadendo. I giocatori e l'allenatore Béla Rajki attraversano il confine cecoslovacco e, da Praga, si imbarcano alla volta dell'Australia: a Darwin, nell'attesa di salire sul volo per Melbourne, la squadra entra in un ristorante. Qui, grazie alle immagini di un notiziario televisivo, viene a conoscenza della brutalità con cui i sovietici hanno represso l'insurrezione ungherese.


Ervin Zádor, giovane talento del settebello magiaro, si alza in piedi e annuncia: "Non farò ritorno a casa". In altre circostanze, la sua dichiarazione gli sarebbe costata la sospensione. Ma la questione ungherese è lungi dall'avere i connotati definiti e così non viene preso alcun provvedimento nei suoi confronti. Peraltro, nello stesso momento, era scoppiata la crisi di Suez. Appena arrivata al villaggio olimpico, tuttavia, la squadra ammaina la bandiera ungherese con lo stemma comunista - un gesto vietato dal regolamento dei Giochi - per rimpiazzarla con un vessillo con lo scudo di Kossuth, lo stesso che sventolava a Budapest in quella settimana durante la quale gli ungheresi si illusero di aver conosciuto la libertà.
Photo waterpololegends.com

Dalla rivoluzione per le strade, l'Ungheria passa a quella in acqua: i giocatori non si sono allenati per oltre un mese e temono di pagarne dazio in Australia. L'Ungheria, però, era la squadra tatticamente più intelligente: la conferma giunge dal ricorso ad una innovazione, la difesa a zona. Si lascia l'avversario nelle condizioni di tirare pur infondendogli la paura che, in caso di errore, potrebbe innescare una pericolosa ripartenza contro la propria squadra: una vera e propria strategia psicologica che porta subito i suoi frutti. Gran Bretagna, Stati Uniti, Italia e Germania - per la prima volta, Est ed Ovest gareggiano sotto un'unica bandiera - cadono nel tranello e si arrendono all'acume tattico dei giocatori di Rajki.

6 dicembre 1956. Ore 15.25. Ad un mese esatto dalla sanguinosa conclusione della rivoluzione a Budapest, i destini di Ungheria e Urss si incrociano nuovamente con le rispettive rappresentative nel girone finale del torneo di pallanuoto maschile. Ma questa non è e non può essere una partita come tante altre. Troppo fresca e bruciante la ferita per gli ungheresi.

Alla sagace difesa a zona il settebello di Rajki ne affianca un'altra: la provocazione degli avversari. I giocatori ungheresi appartengono, infatti, a quelle generazioni che a scuola erano state costrette ad imparare il russo: parlando la stessa lingua dei propri avversari, i magiari possono innervosirli ricoprendoli di insulti. Alla piscina del Cyrstal Palace di Melbourne accorrono numerosi spettatori ungheresi, tutti emigrati in Australia, che hanno appena visto il pugile László Papp conquistare la terza medaglia d'oro: ben presto assistono ad un altro combattimento.

L'ingrato compito di arbitro della disputa tocca allo svedese Sam Zuckerman che, dopo appena un minuto, si vede già costretto ad indicare il pozzetto al capitano sovietico P'et're Mshveniyeradze: il primo tempo si chiude con l'Ungheria avanti di due reti, segnate dal capitano Dezső Gyarmati - il quale, per poco, non mette ko un avversario nel caricare il tiro - e da György Kárpáti, due tra gli atleti più rappresentativi.

Gli animi si surriscaldano nel secondo tempo: i giocatori proseguono ad insultarsi a vicenda, sotto l'acqua i colpi proibiti diventano la regola. Accompagnati dal coro "Hajrá Magyarok!" ("Forza, ungheresi"), i magiari riescono a vendicare le vittime dell'invasione sovietica: le reti di Antal Bolváry ed Ervin Zádor consentono di mettere in cassaforte il risultato e di poter così tentare di confermare il titolo olimpico. Ma non è ancora finita: manca una manciata di minuti alla conclusione quando Bolváry viene colpito ad un orecchio dal rude avversario Valentin Prokopov.

Temendo di essersi rotto il timpano, chiede il cambio ed è Zádor a sostituirlo in marcatura: l'astro nascente della pallanuoto mondiale affianca l'avversario e lo insulta, urlandogli che è un perdente, che proviene da una famiglia di perdenti. Improvvisamente, Zádor sente un fischio provenire dalla parte opposta della vasca. E qui commette un errore: nel tentativo di capire cosa ha ravvisato l'arbitro perde di vista Prokopov per un istante. Tempo sufficiente al giocatore sovietico per emergere con il busto dall'acqua e sferrare un colpo violento a Zádor, procurandogli una vistosa ferita al sopracciglio.

La giovane promessa esce dall'acqua, dalla parte delle tribune: il rivolo di sangue che gli segna il volto diventa l'immagine simbolo della rivincita ungherese ai danni dell'invasore sovietico. Il pubblico ungherese insorge, scavalca i cordoni di sicurezza e inizia a sputare all'indirizzo dei giocatori dell'Urss: la partita finisce anzitempo, alla piscina del Crystal Palace arriva in tutta fretta la polizia che scorta fuori dall'impianto la nazionale sovietica.

Il titolo per i quotidiani del giorno successivo è già servito: "Blood in the pool match". La sfida decisiva pone di fronte Ungheria e Jugoslavia: i magiari vincono 2-1 e confermano il titolo olimpico. Ma è una vittoria senza precedenti, è il parziale riscatto di un intero popolo. Zádor, assente a causa della ferita rimediata contro l'Urss, sale sul podio in abiti civili e inizia a piangere incessantemente: sa che quella dichiarazione fatta al ristorante di Darwin non era una provocazione. Non farà ritorno in Ungheria. Sceglierà il sole della California, dove diventa l'allenatore di un giovane nuotatore di belle speranze: il suo nome è Mark Spitz.

2006. In occasione del cinquantesimo anniversario della ricorrenza della rivoluzione ungherese vengono girati due film che ricostruiscono quel travagliato incontro di pallanuoto tra Ungheria ed Urss. Al Festival di Tribeca, a New York, viene presentato il documentario "Freedom's Fury" che può contare su due produttori d'eccezione, Lucy Liu e Quentin Tarantino, il quale definisce il film "la miglior storia mai raccontata di sempre". Anche il narratore in off è un nome altisonante: Mark Spitz.

Frattanto, il 23 ottobre, nelle sale cinematografiche ungheresi esce "Children of glory", una pellicola di marca locale diretta da Krisztina Goda: qui le vicende (reali) vengono filtrate attraverso la storia d'amore (romanzata) tra un giocatore della nazionale ed una studentessa, leader dell'insurrezione. Tra gli attori figurano veri pallanotisti ungheresi (Péter Biros, István Gergely, Gergely Kiss, Támas Molnár e Zoltán Szécsi), quasi tutti impiegati nei ruoli dei giocatori della nazionale dell'Urss.

In lingua originale, il film si chiama "Szabadság, szerelem!" ("La libertà, l'amore!") ed il titolo trae ispirazione dai versi di Sándor Petőfi, poeta romanticista e figura di spicco della rivoluzione del 1848. Lo stesso Petőfi che prestò il proprio nome a quel circolo culturale di studenti che, per amore del proprio paese e della libertà, scese per strada quel 23 ottobre 1956.

3 commenti:

  1. Caro amico e collega,
    ti ringrazio per avermi segnalato il tuo ultimo lavoro. Mi ha toccato personalmente non soltanto per il tema affrontato e per l'accuratezza delle informazioni, ma anche per l'introduzione di Sandor Marai (uno dei miei scrittori preferiti) e per la facilità di lettura che caratterizza il tuo testo.
    Non sono nessuno per dare voti, ma scrivi bene e scrivi cose interessanti. Sei sulla giusta via.

    Un abbraccio,
    Alessandro Di Maio

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  2. da amante della pallanuoto complimenti per il racconto dettagliattissimo di una storica gara

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    1. Grazie mille, laddove possibile cerco sempre di raccontare aspetti inesplorati della pallanuoto

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