venerdì 9 marzo 2012

Il Sol Levante splende su Sendai



Photo dailymail.co.uk

Le porte dello spogliatoio si spalancano. I calciatori si incoraggiano scambiandosi pacche sulle spalle e sulla schiena. Si fanno forza l’un l’altro. I tacchetti degli scarpini scandiscono, con ritmo cadenzato, la loro marcia verso il rettangolo verde. Non appena i giocatori fanno capolino dal tunnel , i tifosi assiepati sulle tribune li accolgono come eroi, tra canti a squarciagola e battimani: una giornata di festa, come ogni partita di calcio che si rispetti.

Eppure non è un impegno qualsiasi quello che attende domani il Vegalta Sendai al debutto nella nuova stagione della J.League, il massimo campionato di calcio giapponese. C’è da giocare contro i Kashima Antlers, la più titolata tra le squadre del paese del Sol Levante. Soprattutto, c’è da giocare, mai come questa volta, per i tifosi, per la comunità locale. Per una città, una nazione intera.

L’evento calcistico più atteso di tutto il Giappone riparte proprio in corrispondenza del primo anniversario di una data simbolica.  Venerdì 11 marzo 2011: un terremoto di una violenza spropositata - 9 gradi della scala Richter - sconquassa la parte nordorientale del paese, sgretolando abitazioni e infrastrutture, spegnendo i reattori della centrale nucleare di Fukushima e ponendo fine alla vita di oltre 20mila nipponici.

Per oltre un mese le partite di campionato, iniziato da una settimana appena, vengono sospese:  era successo anche nel 1923, quando le oscillazioni della crosta terrestre nel Kantō fermarono il pallone che, all’epoca, rotolava solamente nei cortili di licei ed università.

 La città di Sendai e, più in generale, la prefettura di Miyagi diventano l’emblema dell’ennesimo disastro naturale che porta lutti nel Giappone: metà delle vittime del disastro viveva qua.

Photo wikipedia.org
Anche il calcio non riesce a sottrarsi alla forza smisurata del terremoto-tsunami, il più devastante di sempre nella storia del paese. Lo stadio Yurtec, lo stesso che aveva ospitato il ritiro della nazionale azzurra ai Mondiali nippocoreani, viene fortemente danneggiato, con il tetto miseramente crollato.

La squadra locale del Vegalta non ha un campo dove poter svolgere le sedute di allenamento.  La preparazione in vista della ripresa del campionato si svolge a Chiba e Saitama, periferia nord di T
ōkyō, a oltre 260 chilometri di distanza.

Ai compagni non si aggrega Marquinhos Cambalhota: l’attaccante brasiliano ha deciso di rescindere il contratto, dopo una sola partita, e di tornare in patria, dove si sentirà più al sicuro.

Il 23 aprile i giapponesi, ancora frastornati dal tragico evento, possono intanto riabbracciare le loro squadre di calcio. La J.League riprende il suo cammino: quei ventidue giocatori che si danno battaglia su un prato provano a distrarre il paese, a restituire il sorriso, la vitalità.

“I giocatori si sono chiesti se non sia troppo presto per ricominciare, mentre migliaia di persone sono ancora senza cibo”, racconta Yoshiyuki Monma, il portavoce del Vegalta, al quotidiano Le Monde.
Passa una settimana. La squadra di Sendai, adesso, può tornare a giocare davanti al proprio pubblico. Per uno strano scherzo del destino, l’inno della squadra è “Take me home, country roads” di John Denver. Un titolo profetico: il Vegalta ed i suoi tifosi fanno ritorno nella loro casa, tutti assieme.

È l’undici degli Urawa Red Diamonds, altro nome altisonante nel panorama calcistico giapponese, a presenziare al nuovo battesimo dello Yurtec. Il calendario ha voluto che questo sia il primo impegno casalingo di un’annata che vedrà il Vegalta tra le squadre a rischio retrocessione, dopo una salvezza conquistata a fatica.

“Tanti abbonati hanno perso la vita in occasione del terremoto”, racconta al Financial Times un tifoso di lunga data, Kazue Kobyashi. “Molti seggiolini rimarranno vuoti.”

E invece migliaia di tifosi si riversano nel piccolo ma accogliente stadio, perfettamente sistemato in tempo utile per la partita, fino a riempirlo. È festa, almeno per un giorno.  “Ho pianto quando lo stadio ha riaperto”, confessa Hiromi Yamanaka, altro tifoso. “Non m’importava niente di vincere o perdere. Volevo solo tornare lì e fare il tifo.”


Sarà per il clima di compostezza misto ad euforia, sarà per quegli angeli che adesso dimorano accanto agli astri Vega e Altair - da qui il nome della squadra -, eppure i giocatori in maglia gialloblù sembrano in grado di neutralizzare il divario tecnico con l’ambizioso avversario.



E poi, come se la partita fosse una fiaba, arriva l’eroe che riesce a risolvere una situazione intricata: il suo nome è Yoshihaki Ota, professione centrocampista, che a cinque minuti dall’intervallo segna la rete che regalerà al Vegalta un’inattesa vittoria.

Mentre la ricostruzione procede, lentamente, Sendai ha trovato nella squadra un motivo di orgoglio. Il Vegalta veleggia nelle posizioni di alta classifica,a dispetto di quei pronostici che lo davano per spacciato alla vigilia.

Photo j-league.or.jp
I tifosi sono più che mai al fianco dell’undici capitanato da Atsushi Yanagisawa, attaccante con un passato tutt’altro che memorabile con le maglie di Sampdoria e Messina. E anche i sostenitori delle avversarie guardano con simpatia al Vegalta, a coloro che forse stanno davvero riportando in vita una città sepolta sotto le macerie.

“Lo sport può aiutare la regione colpita dal terremoto a rialzarsi”, dichiara al quotidiano londinese il mediano Matoko Kakuda. “Sono arrivato a Sendai solo quest’anno, ma non ho assolutamente cattivi pensieri. Al contrario, sono molto felice di essere qui.”

La favola del Vegalta non conosce fine. Di settimana in settimana, i bassifondi della classifica rimangono costantemente a debita distanza, grazie alla vena realizzativa del cannoniere Shingo Akamine.


Non manca il canonico lieto fine: il Vegalta si salva, addirittura finisce al quarto posto. È il miglior risultato di sempre nell’anno più drammatico per la città. Da brividi.

Un anno dopo, la storia sembra ripetersi: l’esordio casalingo passa per un’altra corazzata del calcio nipponico. Ma forse il risultato è secondario. 

Parafrasando le parole dell’inno, l’importante è tornare a casa. E che questa volta sia per sempre.  

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