domenica 24 febbraio 2019

C'era una volta in America: Juli Veee



“America?”. È una calda e soleggiata domenica di Carnevale a Viareggio, il solito assaggio di primavera in pieno inverno. In un bar della Passeggiata si siedono quattro ragazzi. Un paio sono studenti americani di Berkeley che, per un anno accademico lontano da casa, hanno scelto l’ateneo di Padova. Gli altri sono due promesse del Vasas di Budapest, invitata alla Coppa Carnevale, il torneo di calcio giovanile vanto della città. 9 febbraio 1969. È una data che a Gyula Visnyei, diciottenne ungherese, cambiò la vita. Per sempre.

Nel primo turno della competizione, che prevede andata e ritorno, il Vasas becca il Milan: a Pontedera esultano i rossoneri, ma lo striminzito 1-0 lascia speranze ai magiari. È sabato, il giorno dopo le squadre riposano per godersi i carri. Visnyei se la spassa con i compagni di squadra, che sfoggiano tute d’un bel rosso fiammante. Poi, tra la folla dei viali a mare, riconosce un volto familiare dietro una macchina fotografica. “Era Carl Berkenwald, uno studente americano venuto a trovarmi pochi mesi prima – racconta oggi Visnyei, prossimo ai 69 anni – mio zio Antal era scappato dall’Ungheria nel 1956 riparando in California: lì aveva sposato un’americana, cugina di Carl”.

Cugina acquisita, a dirla tutta. Tanto basta per avvicinare i due rami della famiglia Visnyei. “In quel periodo studiavo a Padova ed ero andato a Budapest per conoscere i parenti di Antal – ricorda Berkenwald – un giorno ero a casa di un amico italiano, stavamo chiacchierando e la tv era accesa. Trasmettevano una partita del Torneo di Viareggio”. Proprio Milan-Vasas. “Tra i giocatori riconobbi Gyula. Che coincidenza! La prima cosa che pensai era che dovevo scendere a Viareggio e trovarlo”. Ma i telefonini non esistevano ancora e il Vasas era scortato da ufficiali dell’Ávh, la polizia segreta ungherese. Impossibile, o quasi, incontrarsi.

E invece sì. Carl e Gyula s’incrociano. S’appartano in un bar, lontano dal chiasso, da sguardi indiscreti. Li accompagnano Al, l’altro studente, e Gyuri Schneider, che fa da tramite con Carl parlando in tedesco. Salta fuori l’idea di disertare: basta Ungheria, ora Gyula sogna l’America. Il gruppetto si sposta alla Pensione Giotto, oggi scomparsa, dove discute nei dettagli la fuga. Che viene messa in atto il giorno dopo, lunedì 10 febbraio, a Pistoia: Carl, che nel frattempo ha allertato il Consolato americano a Firenze, e Al si presentano allo stadio tre ore prima del calcio d’inizio. E trovano il custode: “Gli chiesi il suo orientamento politico, mi disse che votava per la Dc. ‘Devo aiutare un ungherese a scappare’, gli spiegai. Mi promise che avrebbe lasciato accostato un cancello proprio dietro agli spogliatoi”.

La partita finisce 1-1: il Vasas è fuori. Carl entra negli spogliatoi, presidiati dai carabinieri e dagli agenti ungheresi, e chiede il permesso per una foto col cugino calciatore: “I miei compagni sapevano cosa avessi in mente – dice Visnyei – ma nessuno mi salutò o parlò quando uscii”. Con una banale scusa, Carl e Gyula si avvicinano e trovano il cancello socchiuso. Con il cuore in gola corrono alla stazione degli autobus: “Indossavo la tuta del Vasas, ero riconoscibilissimo – continua Visnyei – per sicurezza mi rinchiusi in bagno. Furono i quaranta minuti più lunghi della mia vita”.

Finalmente, arriva un pullman per Firenze: “Me lo ricordo come fosse ieri, l’autista aveva appena messo in moto e fecero irruzione i poliziotti ungheresi – dice Berkenwald – per fortuna non ci videro. Che pazzo sono stato!”. Ricevuti personalmente dal console Wheeler, i due vengono poi mandati al Comitato internazionale per rifugiati a Roma. Della fuga di Visnyei non si sa nulla: a Viareggio le prime pagine dei giornali sono monopolizzate dal caso Lavorini, le autorità ungheresi ne vengono a conoscenza soltanto tre giorni dopo. Visnyei vivacchia nella capitale per quasi quattro mesi, quando raggiunge lo zio in America.

Qui, dopo mille peripezie e i lavori più disparati – ha fatto da guardiano allo Spahn Ranch, ignorando che vi dimorasse la comune di Charles Manson -, riuscirà a coronare il sogno di diventare calciatore professionista nel 1975: sono gli anni della Nasl, dove finiscono a svernare Pelé, Chinaglia, Beckenbauer, Best, Cruijff, Deyna, Moore. Tutti compagni di squadra o avversari di Visnyei, nel frattempo ribattezzato Juli Veee (con tre ‘e’ per non confonderlo con il cantante Bobby Vee).

Ma è negli anni Ottanta che diventa una leggenda vincendo campionati a ripetizione nell’indoor soccer, un bizzarro ibrido fra calcio e hockey su ghiaccio. Oggi fa il pittore e vive a San Marcos, città residenziale dell’area urbana di San Diego. Con una consapevolezza: “Se non avessi visto Carl quel giorno non sarei qui. Non smetterò mai di dire grazie”. A lui, certo. Ma anche a Viareggio e al suo Carnevale. 

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