Volendo fare della retorica, la si potrebbe definire una moderna fiaba di Hans Christian Andersen in chiave calcistica. Eppure la clamorosa vittoria della Danimarca agli Europei di calcio del 1992 ebbe un prologo assai drammatico. E, contrariamente alla consuetudine dei racconti fiabeschi, nessun lieto fine.
La formula degli Europei - che si giocano in Svezia - prevede per l'ultima volta la fase finale a otto squadre: tra queste c’è anche la Jugoslavia, prima nel girone di qualificazione con un punto di vantaggio sulla Danimarca. Ma succede l’irreparabile: scoppia la guerra nei Balcani, da cui la Jugoslavia uscirà a pezzi, smembrata, fino a cessare di esistere come nazione unita. Non ci sono le condizioni per andare agli Europei.
Manca una settimana al fischio d’inizio, c’è da ripescare una squadra: la scelta ricade sulla Danimarca. Il ct Richard Møller-Nielsen alza rapidamente la cornetta: c’è da richiamare i giocatori, uno ad uno. Molti di loro sono già in vacanza: si chiudono le valigie e si aprono i borsoni. Tra i convocati manca la stella Michael Laudrup, che rifiuta la chiamata di un allenatore con cui non è mai andato d'accordo: il suo no riecheggia nei timpani di Møller-Nielsen, e continuerà a riecheggiare. C’è, invece, suo fratello Brian. E c'è anche Kim Vilfort, mediano del Brøndby, nonostante la figlia di otto anni malata di leucemia. I danesi si presentano, così, agli Europei da cui erano stati esclusi.
Gli scandinavi, che vivono la vigilia tracannando pinte di birra, sembrano davvero rilassati. Ma il calcio è un’altra cosa. L’esordio è a Malmö contro l’Inghilterra: una disfatta annunciata, la sfida con i maestri del calcio. E invece no: i danesi chiudono ogni spiraglio agli uomini di Graham Taylor e arrivano, addirittura, ad un passo dalla vittoria.
Le sorprese non finiscono qui: a Stoccolma, nel secondo incontro del girone, vince la Svezia, vero, con un gol del parmigiano Brolin. Ma la Danimarca non è affatto una comprimaria. E, conti alla mano, può ancora volare in semifinale. Ma senza Kim Vilfort: le condizioni della figlia peggiorano, lui fa le valigie e attraversa lo stretto di Öresund per giungere al capezzale della piccola Line, assicurando ai compagni che tornerà appena gli sarà possibile.
Ancora Malmö, ancora una grande d’Europa, la Francia di Éric Cantona. Dopo l’iniziale vantaggio di Henrik Larsen, oggetto misterioso del Pisa, succede tutto nella ripresa: al quarto d’ora pareggia Papin, poi entra Elstrup che, poco dopo, segna il gol decisivo. Quello che qualifica alle semifinali, a discapito dei transalpini, la nazionale dei vacanzieri mancati.
Sulla strada dei danesi si materializza adesso l’avversario più scomodo, l’Olanda campione in carica e grande favorita per la vittoria finale. Si gioca a Göteborg, dove si rivede Vilfort. Passano cinque minuti ed il risultato cambia subito. In favore della Danimarca, però: segna ancora lui, Larsen, quello che tutti a Pisa consideravano un brocco.
Puntualmente arriva il pareggio di Bergkamp, ma varcata la mezzora gonfia nuovamente la rete Larsen. Solo a quattro minuti dalla fine Rijkard raddrizza una partita che sarebbe dovuta essere un allenamento o poco più per gli olandesi.
Si va ai supplementari: la Danimarca stringe i denti e resiste, l’Olanda è una macchia arancione che attacca costantemente e sbatte sul muro eretto da Peter Schmeichel, il portiere del Manchester United. Un uomo solo contro undici avversari. Un gigante dalla taglia XXXL che, tuttavia, ai rigori vola leggiadro a deviare la conclusione dal dischetto di van Basten: Schmeichel, almeno per un giorno, fa sembrare il cigno di Utrecht un brutto anatroccolo. La Danimarca non fallisce un colpo: Larsen, Povlsen, Elstrup, Vilfort, Christofte. Cinque rigori su cinque: è finale contro la Germania. Incredibile.
Ma ormai nessuno, nemmeno la corazzata teutonica, incute più timore agli scandinavi. Che a Göteborg fanno la partita: rompono gli indugi poco oltre il quarto d'ora con una bordata di Jensen e lasciano sfogare i tedeschi.
Poi, a una dozzina di minuti dalla conclusione, chiudono i conti con un contropiede magistralmente finalizzato da Vilfort. Sì, proprio lui. L’apice per Kim Vilfort calciatore, la tragedia per Kim Vilfort uomo: sua figlia Line si spegne poche settimane dopo lo straordinario trionfo europeo.
E chissà, lassù continua a raccontare a tutti di cosa furono capaci papà ed i suoi compagni di squadra. Allora sì, forse c’è davvero qualcosa di fiabesco anche in questa storia.
Fonti:
Roggero, Nicola, «La figlia del centrocampista», Diario, 2002.
grande simo, riesci a emozionare chi, come me, era bambino attentissimo spettatore di quel calcio ormai lontano dai giorni attuali...
RispondiEliminaTi ringrazio per i complimenti, con (colpevolissimo) ritardo.
RispondiEliminaAnche io spesso avverto profonda nostalgia per il calcio di quegli anni. Non vorrei apparire fin troppo categorico, ma credo che risalgano agli anni Novanta e, forse, agli inizi del nuovo millennio gli ultimi lampi di grande calcio.
I miei ricordi iniziano dal Mondiale americano...l'autogol di Escobar, la clamorosa vittoria della Bulgaria sulla Germania, la gomitata di Leonardo a Tabaré Ramos, l'esultanza di Bebeto...e poi i gol di Roby Baggio...