venerdì 22 gennaio 2010

Calcio, media e potere - 2


Seconda parte del capitolo che Franklin Foer ha dedicato, nel suo libro "Come il calcio spiega il mondo - Teoria improbabile sulla globalizzazione", alle cosiddette "nuove oligarchie" del calcio e, nello specifico, al rapporto di Silvio Berlusconi con lo sport più amato dagli italiani.
Scritto nel 2003, questo libro sembra mantenere la stessa forza, la stessa aderenza alla realtà contemporenea di otto anni fa. Intanto, allora come oggi il primo ministro italiano era la medesima persona: Silvio Berlusconi. E, già allora, l'opposizione non sembrava in grado di contrastare il suo potere e di proporsi agli italiani come valida alternativa al centrodestra. Mi verrebbe da dire che la validità del libro di Foer sta proprio qui: non è la classica opera che attacca frontalmente il premier, finendo (paradossalmente) per magnificarlo anziché scalfirne l'immagine, ma un'analisi lucida sulla realtà italiana. E, consentitemelo, una bella risposta a chi considera il giornalismo sportivo figlio di un Dio minore.


 
 […] La tribuna stampa del Milan, all’altezza della metà campo, all’aperto, mette davvero noi scribacchini nella posizione migliore possibile. Belle donne in divisa con le insegne del Milan – in numero quasi pari a quello dei giornalisti – passano continuamente per la tribuna, come hostess di una compagnia aerea, a disposizione per qualsiasi richiesta.
Essendo un uomo di televisione, Berlusconi è sempre stato ossessionato dall’apparenza e dalla necessità di sedurre il pubblico. Ecco perché si adopera così assiduamente per apparire abbronzato in qualsiasi periodo dell’anno, e indossa sempre abiti doppiopetto fatti su misura per far passare in secondo piano la sua statura napoleonica. […] Questo senso estetico è però soltanto uno degli aspetti del fiuto di Berlusconi per lo spettacolo: il marchio di fabbrica dei nuovi oligarchi. Questo talento è testimoniato dal Milan, il più grande di tutti i suoi spettacoli. Anche se la squadra non ha la stessa mentalità offensiva delle grandi squadre dell’America Latina o della Spagna, il Milan rappresenta una grossa rottura con la tradizione italiana del catenaccio. Quando Berlusconi rilevò il club a metà degli anni Ottanta, importò campioni olandesi come Marco van Basten, Ruud Gullit e Frank Rijkaard, giocatori con un’innata vocazione per l’attacco. Tutta la squadra venne costruita per divertire e per giocare un tipo di calcio molto più spettacolare di quello della Juventus.
[…] Seduto nello stadio di San Siro in occasione della finale di Coppa Italia, ebbi l’occasione di vedere di persona quanto potente ed emozionante possa essere questo tipo di spettacolo. […] Mi dissero che quel momento, per quanto io potessi trovarlo commovente, non raggiungeva le vette di altri spettacoli veramente epici prodotti da Berlusconi nel corso degli anni. Il più famoso restava l’episodio soprannominato «Apocalypse Now». Quando Berlusconi comprò il club, ha organizzato la presentazione ufficiale facendo arrivare i giocatori allo stadio in elicottero, con La cavalcata delle Valichirie di Wagner come sottofondo.
Praticamente ogni volta che ho avuto a che fare con il Milano, ho percepito il tocco manipolatore dell’organizzazione. Ma perché sprecare così tanto tempo per influenzare le opinioni della stampa? […] Secondo le valutazioni di Sconcerti, la manipolazione della stampa può fruttare a una squadra fino a sei punti in più in classifica, la differenza fra lo scudetto e un secondo posto. Ancora una volta, la manipolazione gira attorno alla questione delle pressioni esercitate sugli arbitri. […]

[…] È facile credere a tutto il peggio su Berlusconi, sia nel calcio che nella vita. Ma, in parte, Berlusconi fa nascere sospetti perché non rientra nello stereotipo dell’italiano appartenente all’élite. […] Pur appartenendo al ceto medio, Berlusconi lavorava durante le vacanze per pagarsi l’università e la specializzazione in legge, scritturando orchestre per le navi da crociera. Quando non riusciva a trovare gruppi all’altezza, cantava lui stesso, con uno stile alla Frank Sinatra. Come imprenditore, ha sempre avuto il pallino di seguire il modello americano. L’inizio delle sue fortune economiche ha coinciso con la costruzione di una zona residenziale appena fuori Milano. Il suo impero televisivo deve la sua immensa popolarità alle dosi massicce di Dallas e Falcon Crest propinate al suo pubblico.
Nonostante Berlusconi sia stato un magnate dei media molto prima di diventare un personaggio del mondo dello sport, fu l’acquisto della squadra di calcio nel 1986 a dargli notorietà a livello nazionale. Quando nel 1994 entrò in politica, candidandosi alla poltrona di presidente del Consiglio, fu il mondo del calcio a fornirgli la strategia elettorale. Nel giro di qualche mese, la società pubblicitaria di Berlusconi, Publitalia - una della sua infinita schiera - si dedicò all’impresa di costruirgli attorno un partito politico. Come base, si scelse di cominciare proprio dai milioni di tifosi del Milan, trasformando i club di tifosi in sedi locali del nuovo partito. Publitalia prese in prestito il nome stesso del partito da un coro calcistico: «Forza Italia». Nella letteratura del partito, si dice che Publitalia avesse soprannominato i militanti di Forza Italia «Azzurri», proprio come i giocatori della Nazionale italiana per via del colore delle maglie.
Berlusconi faceva riferimento al calcio in maniera incessante perché la sua squadra stava attraversando un periodo di eccezionali successi, culminati nella conquista di due edizioni consecutive della Champions League. In questo modo, contava di trasmettere agli elettori un’immagine di sé positiva e vincente, in un momento in cui l’economia stentava e tutti i politici italiani sembravano corrotti e perdenti. «L’Italia diventerà come il Milan», ripeteva incessantemente. C’era un tocco di genialità populista nel suo usare il calcio come metafora della società. Gli diede un vocabolario che suonava familiare al ceto medio-basso, quello che intendeva trasformare nella propria base elettorale. Per spiegare le ragioni della propria candidatura, Berlusconi disse agli elettori: «Mi è sembrato che il gioco stesse diventando pericoloso, e che si giocasse ormai nelle due aree di rigore, con il centrocampo lasciato desolatamente vuoto».
Franco, Mussolini e un’alta percentuale di moderni dittatori hanno sfruttato lo sport, tentando spesso di collegarlo alla propria politica populista. Secondo i critici di sinistra, la somiglianza tra Berlusconi e quei personaggio non è casuale. È il loro discendente. […] Come prevedibile, quando i suoi interessi personali entrano in conflitto con il bene pubblico, lui favorisce i propri interessi. Nonostante le pesanti accuse sulla sua corruzione, nel 2003 Berlusconi orchestrò l’approvazione di una legge che gli garantisse immunità dalle accuse. Ha depenalizzato il reato di falso in bilancio, di cui erano accusate le sue aziende.
I suoi affari nel mondo del calcio hanno lo stesso stile […] sembra sempre che il sistema venga adattato in modo da favorire al massimo i suoi interessi. Nel calcio, il braccio destro di Berlusconi nel Milan, Adriano Galliani, è stato eletto presidente della Lega calcio, con una serie di incarichi che comprende gli aspetti disciplinari e la negoziazione dei diritti televisivi.
Negli Stati Uniti, le accuse contro Berlusconi sarebbero troppo clamorose per essere ignorate. Ma in Italia, l’elettorato non penalizza Berlusconi per il suo conflitto d’interessi. Questo genere di corruzione è troppo diffuso per essere attribuito a un solo uomo. I critici che sottolineano il conflitto che lo riguarda fanno la figura degli ipocriti. Nemmeno loro vogliono un mondo in cui i media siano ispirati soltanto dalla verità giornalistica e dall’obiettività. Al contrario, idealizzano i giorni in cui i socialisti e la Democrazia Cristiana si spartivano il controllo dei due canali televisivi nazionali principali. Nessuno dei due schieramenti contrapposti ha un reale interesse a far sì che vengano razionalizzati i contratti governativi, che costituiscono il veicolo principale della corruzione […].

[…] Questo tentativo di far passare l’Inter come un club simpatizzante con la sinistra nascondeva alcune forzature. […] Il pubblico delle tribune dell’Inter fa sfoggio di cori e striscioni ben più razzisti di quelli del Milan.
Non è certo questa la prima volta che la sinistra italiana offre dimostrazione di irrazionalità e incongruenza. Più che in qualunque altro Paese dell’Europa occidentale, gli italiani hanno sviluppato una concezione romantica della politica. […] Gli italiani hanno continuato ad avere fede nel Partito comunista fino agli anni Novanta, nonostante questo insistesse nel pronunciare duri discorsi a proposito della rivoluzione e della dittatura del proletariato. E non si trattava di una piccola parte dell’elettorato. I comunisti ricevevano abitualmente circa un terzo dei voti del Paese.
C’è un’altra piaga che affligge la sinistra italiana: una tendenza allo snobismo. Hanno trasformato Berlusconi e il Milan in un nemico peggiore degli Agnelli e della Juventus, perché Berlusconi era un parvenu. […]
La reazione furibonda della sinistra nei confronti di Berlusconi danneggia la sua stessa capacità di combatterlo. Anziché soddisfare il gusto italiano per lo spettacolo, i suoi antagonisti sono politici dall’aspetto grigio, di solito con pedigree accademici e modi di fare sommessi. (Ad esempio, l’antagonista di Berlusconi, Romano Prodi, si vanta della propria passione per il ciclismo, uno sport che non si sogna neppure il seguito di massa del calcio). Continuano ad attaccare Berlusconi per crimini già denunciati e, giusto o sbagliato che sia, in qualche modo perdonati dall’elettorato. Proprio come gli intellettuali dell’Inter, sembrano comicamente distaccati dalla realtà in cui vivono i loro potenziali sostenitori. 

(fine)

Fonti:
F. Foer, "Come il calcio spiega il mondo", Baldini e Castoldi / Dalai Editore, 2003, p. 188-215 

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