Sarebbe eccessivo arrivare a pensare che, dopo ieri sera, il calcio dell'Est europeo sia tornato ai fasti di un tempo e degli anni '70 e '80 in particolare, quando la nazionale dell'URSS guidata dal "colonnello" Valerij Lobanovs'kyj arrivò in finale agli Europei in Germania Ovest e numerosi club sovietici si affermarono in campo internazionale.
Però i fatti parlano fin troppo chiaramente: negli ultimi cinque anni ben tre edizioni della Coppa Uefa sono state vinte da squadre dell'Europa orientale. Nel 2005 toccò al Cska Mosca che sconfisse all'Alvalade di Lisbona i padroni di casa dello Sporting; un anno fa fu un'altra squadra russa a trionfare, lo Zenit San Pietroburgo, trascinato dalle invenzioni dello "zar" Arshavin e dai gol di Pavlyuchenko.
Ieri sera, nella finale dell'ultima Coppa Uefa (dalla prossima stagione si chiamerà infatti Europa League), è stata invece la prima volta di una squadra ucraina, lo Shakthar Donetsk, allenata da una vecchia conoscenza del calcio italiano come Mircea Lucescu.
La vittoria dell'undici arancionero è l'occasione migliore per parlare di un fenomeno assai tipico degli ultimi anni: i grandi tycoon dell'Est che appaiono misteriosamente dal nulla, con faraonici conti in banca ed un passato oscuro. Circa cinque anni fa, su Sportweek, il presidente dello Shaktar Rinat Leonidovič Akhmetov rilasciò la sua prima intervista: la celebre rivista statunitense di economia e finanza Forbes lo ha collocato quest'anno al 397° posto nella classifica dei Paperoni mondiali, con un patrimonio di poco inferiore ai 2 miliardi di dollari.
42 anni, origini tatare ed una laurea in economia, Akhmetov possiede il 90% delle azioni della System Capital Management, importante holding finanziaria ucraina, ed è a capo del principale complesso metallurgico del paese: vanta, inoltre, numerosi interessi nel campo dell'edilizia e dell'informazione (radio e tv) e nel 1995 ha fondato la Donger Bank a Donetsk.
Da dove nasce tutta questa sua fortuna? "Quando l'Ucraina è divenuta indipendente, negli anni '90, in un'epoca di opportunità, ognuno ha potuto trovare la propria strada" sono state le sue parole rilasciate al settimanale sportivo. Qualcuno ricorda maliziosamente anche la sua amicizia con politici piuttosto influenti come Viktor Yanukovych, già primo ministro, e Boris Kolesnikov.
Il più ricco d'Ucraina ha un rapporto molto speciale con lo Shakhtar, nome che in ucraino significa "minatori": è infatti la squadra della sua città natale, quella per la quale tifa da bambino ("Non avendo denaro per pagarmi il biglietto, seguivo i suoi match da una collinetta vicina allo stadio"), e nella vicina Oktyabrska il padre ed il fratello lavoravano esattamente in miniera. L'11 ottobre 1996 diventa presidente della società arancionera, raccogliendo l'eredità dell'assassinato Aleksander Bragin, e con un milione di dollari si assicura il pacchetto di maggioranza dello Shakthar, salvandolo così dalla crisi.
Con lui al comando, i minatori hanno visto fiorire la propria scuola calcio (l'Accademia) ed hanno potuto dotarsi di un centro sportivo all'avanguardia: soprattutto, la squadra è stata capace di far vacillare l'egemonia della Dinamo Kiev in patria, conquistando quattro scudetti. La Coppa Uefa conquistata sul terreno del Sucru Saraçoglu di Istanbul è il primo trofeo internazionale per i minatori di Donetsk: molti politici la stanno sfruttando per convincere Michel Platini, presidente della Uefa, a non revocare all'Ucraina l'organizzazione degli Europei 2012 nonostante la preoccupante e persistente assenza di infrastrutture nel paese.
Rinat Akhmetov, tuttavia, non è il solo magnate degli Urali ad essere salito alla ribalta. E non è certo il più facoltoso. Il nome maggiormente conosciuto è certo quello di Roman Abramovich, patron del Chelsea: un illustre sconosciuto sino al giugno 2003, quando acquistò il club londinese per una cifra pari a 60 milioni di sterline, accollandosi 80 milioni di debiti ed allestendo una campagna acquisti faraonica (dal giorno del suo insediamento le spese ammontano a 600 milioni di sterline).
Abramovich ha dato inizio alla propria attività sul finire degli anni '80, sfruttando la politica di Gorbachov volta a favorire la nascita di piccole imprese chiamate cooperative: nel corso degli anni è diventato azionista di Sibneft (colosso petrolifero) e di Russian Aluminium ed è stato anche governatore della Chukotka, nel Nord-Est asiatico. Attualmente è il 51° uomo più ricco del pianeta (dati Forbes).
La storia di Abramovich e Akhmetov ricalca quella di tanti altri nuovi miliardari, ben presto ribattezzati gli "oligarchi russi": dopo la caduta dell'URSS, l'allora presidente Boris Eltsin avviò una politica di liberalizzazione e stabilizzazione dell'economia del paese. Questa si tradusse nell'eliminazione di dazi, nei prezzi calmierati, nei drastici tagli alle industrie statali e nella rimozione di ostacoli per le imprese private: una situazione che una nuova e misteriosa classe di imprenditori seppe sfruttare a proprio vantaggio, approfittando delle varie concessioni governative per acquistare a prezzi pressoché stracciati industrie che un tempo appartenevano allo Stato. "Le privatizzazioni - scrisse qualche anno fa un giornalista del New York Times - sono state fatte in modo affrettato, senza prima dotarsi di strumenti di regolazione e legali per tenere a bada gli speculatori".
Chi sono gli altri oligarchi saliti alla ribalta? Il primo a meritare una citazione è sicuramente Mikhail Prokhorov, che nell'ultima classifica mondiale dei miliardari ha scavalcato Abramovich (40° posto per lui): attuale numero uno di Polyus Gold, leader russo nella produzione aurea, è stato anche a capo del Norsilk Nickel, colosso mondiale metallurgico. Al pari di Abramovich ed Akhmetov non ha saputo resistere al fascino dello sport: in precedenza era principale azionista dell'FK Mosca, adesso sostiene economicamente le sezioni di calcio, hockey su ghiaccio e pallacanestro del CSKA Mosca.
La squadra dell'Armata Rossa è poi presieduta da un altro magnate, Evgeny Giner: è anche il presidente del massimo campionato russo. Se si parla di pallone, altro nome che non può non essere menzionato è quello di Leonid Fedun, 122° nella classifica mondiale dei miliardari stilata da Forbes: è il vicepresidente di Lukoil, colosso del petrolio e sponsor dello Spartak Mosca, unica tra le grandi squadre della capitale ad esser nata senza un legame diretto con i poteri forti della società.
Lo segue nella graduatoria Oleg Deripaska (164°), sposato con una parente di Eltsin e direttore generale di Russian Aluminium: il suo contributo nel mondo del calcio si è tradotto nell'acquisizione del 50% del Kuban Krasnodar. Più staccato in classifica (196°) è Suleiman Kerimov, facoltoso petroliere ed ex presidente del Saturn Moscow Oblast, club della provincia moscovita passato adesso sotto la guida di Boris Gromov, ex generale dell'Armata Rossa e già governatore della regione di Mosca.
Come ben ricorderete, lo scorso anno il Chelsea di Abramovich andò vicino alla conquista della sua prima Champions' League: pochi mesi dopo, lo Zenit San Pietroburgo sconfisse sorprendentemente il Manchester United nella finale di Supercoppa Europea, dopo essersi assicurato la Coppa Uefa. Che sia davvero giunto il momento per l'Est di (ri)conquistare l'Europa che conta? Tuttavia anche i grandi oligarchi hanno dovuto fare i conti con la crisi su scala mondiale: il prezzo del petrolio - principale fonte di guadagno per molti di loro - cala, la borsa di Mosca crolla, il rublo subisce una tremenda svalutazione.
L'unica soluzione è stata quella di presentarsi al Cremlino implorando aiuti pubblici, come ai tempi dell'URSS: per il governo centrale è l'occasione favorevole per far sì che lo Stato torni a controllare i settori trainanti dell'economia nazionale.
Fonti:
http://en.wikipedia.org/
http://it.wikipedia.org/
http://www.forbes.com/
http://www.repubblica.it/
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