Per Maffei, all’epoca un giovanotto di 26 anni, si trattava dei primi Giochi olimpici a cui prendeva parte dopo la mancata qualificazione a quelli di Los Angeles del 1932: in una Berlino pavesata di svastiche e altri simboli nazisti – i cosiddetti “Nazi Games”, in realtà, erano stati assegnati alla Germania ai tempi della Repubblica di Weimar, ma i vertici del partito nazionalsocialista tentarono di sfruttarli a scopo propagandistico – c’era la speranza di portare a casa una medaglia.
Il 4 agosto, per la finale, assieme al viareggino in forza alla Giglio Rosso Firenze si presentano in pedana altri quindici atleti: tra questi c’è anche un afroamericano statunitense – all’anagrafe James Cleveland Owens – che il giorno prima ha sbaragliato tutti nella gara regina dell’atletica leggera, i 100 metri.
Nel corso della sua permanenza al villaggio olimpico Owens stringe amicizia proprio con Maffei e con Carl Ludwig “Luz” Long, l’idolo di casa. Che nella gara di qualificazione per la finale ha voluto aiutare il grande rivale americano: ha posato un fazzoletto bianco accanto alla pedana e, con il suo inglese stentato ma efficace, gli ha consigliato di staccare proprio in quel punto per ottenere un salto valido.
Già al primo tentativo Maffei replica i 7,50 metri con cui è diventato il nuovo primatista italiano nei mesi addietro, è quarto. Al terzo turno si delinea già quella che sarà la classifica finale: Owens e Long fanno gara a sé, alle loro spalle sbuca il giapponese Naoto Tajima che vola a 7,74 metri mentre Maffei si ferma un centimetro prima, ritoccando ulteriormente il record italiano (e nessuno riuscirà a far meglio di lui fino al 1968).
Negli ultimi tre salti a disposizione l’atleta viareggino tenta invano di superare quella barriera mentre Owens fa addirittura 8,06 con tanto di nuovo primato olimpico: sul podio ci finiscono lui, Long e Tajima.
La figura di Maffei, morto a Torre del Lago settanta anni dopo quel podio mancato per un nonnulla, rivive nello spettacolo teatrale di Federico Buffa sulle Olimpiadi del 1936: il giornalista sportivo lo ricorda come testimone oculare dello storico incontro tra Owens e il Führer Adolf Hitler, smontando il mito della mancata stretta di mano al campione statunitense.
Stando al racconto di Maffei, i due s’incrociarono nel tunnel dell’Olympiastadion: mentre Hitler salutava Owens con il braccio teso, l’altro gli stava porgendo la mano. Il cancelliere tedesco tentò di fare altrettanto, ma nel frattempo l’americano aveva portato la sua alla fronte per eseguire il saluto militare. Pochi secondi, uno sguardo fugace e poi ognuno per la propria strada.
E proprio mentre Buffa portava in scena il suo spettacolo nei teatri di mezza Italia, a Viareggio l’amministrazione comunale rimuoveva dal primo piano del municipio la bacheca con tutti i cimeli che Maffei aveva donato alla sua città: ne è nata una polemica, a oggi irrisolta, tra la figlia Gloria e il sindaco Giorgio Del Ghingaro.
Ma la giunta è stata irremovibile: i trofei rimangono alla sede del comando della polizia municipale. Proprio nell’ottantesimo anniversario di quel salto che per poco non valeva il bronzo…
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