domenica 29 agosto 2010
Il Libano e le bombe. Da tre punti. - 1
Si verificano, nel lungo corso della storia, eventi che fanno la fortuna della celebre teoria dei "corsi e ricorsi" coniati dal filosofo Giovambattista Vico. La (apparentemente) insignificante partita tra Libano e Francia, in programma oggi ai Mondiali di basket maschile in Turchia, rientra a pieno titolo in questa schiera.
I motivi sono presto detti. Le due nazionali tornano anzitutto ad affrontarsi a quattro anni di distanza: allora fu un 23 agosto, oggi il calendario segna il 29. In quella circostanza, i cestisti mediorientali furono tenuti in apprensione dalla guerra che il loro paese stava conducendo contro Israele: la situazione, al confine, è tornata ad esser tesa nemmeno un mese fa. E, sia in Giappone come in Turchia, nella Francia non ci sarà la stella Tony Parker: il giocatore dei San Antonio Spurs ha deciso di rinunciare alla rassegna iridata, preferendo recuperare dai vari guai fisici accusati nelle ultime stagioni.
Quattro anni fa vinse, di misura, il Libano: il successo non fu sufficiente a passare il turno, ma per i mediorientali fu una vittoria speciale, giacché il paese era in guerra e nel passato la Francia aveva colonizzato proprio le loro terre. Scommettiamo che il Libano la spunta anche questa volta?
Non erano esattamente le condizioni ottimali per preparare la seconda partecipazione - consecutiva ed in assoluto - ad un Mondiale di basket. Manca poco più di un mese alla rassegna iridata. La speranza, la curiosità, l'attesa dei libanesi verso i loro idoli della pallacanestro vengono spazzate via da un triste evento: lo scoppio della guerra - la terza - contro Israele.
Tutto nasce quando, il 12 luglio 2006, l'ala militare del partito sciita Hezbollah lancia razzi ed esplode colpi di mortaio in alcuni villaggi israeliani situati al confine con il Libano. Ma l'azione, che provoca il ferimento di numerosi civili, è tutta una copertura: il reale obiettivo dei militanti di Hezbollah sono due Humvee che stanno pattugliando il versante israeliano della frontiera. Il bilancio è di due feriti, tre morti e due sequestrati.
La reazione d'Israele non tarda ad arrivare: in men che non si dica la Tzva HaHagana LeYisra'el (nome con cui sono designate le forze di difesa) spedisce aerei, navi da combattimento e carriarmati in territorio nemico. I primi bersagli sono una dozzina di ponti nel Libano meridionale e, nemmeno ventiquattro ore dopo, tocca ai centri nevralgici delle comunicazioni: finiscono sotto tiro l'aeroporto internazionale "Rafic Hariri" di Beirut, la base aerea Rayak nella valle di Bekaa e il piccolo aeroporto militare di Qulayaat, mentre dal mare viene bombardata una centrale elettrica a Jiyeh, sulla costa.
Nel breve volgere di pochi giorni il Libano si ritrova isolato: le bombe hanno danneggiato le principali arterie del paese, compresa l'autostrada che collega Beirut a Damasco, mentre la marina israeliana impone il blocco navale impedendo l'attracco nel porto di Beirut.
Sull'altro versante Hezbollah risponde aprendo il fuoco sulle città di Nahariya e Safed e i razzi Katyusha giungono fino ad Haifa, mentre a Zefat viene danneggiato l'ospedale Zeev. I missili toccano anche Nazareth e Afula. Da entrambe le parti si registrano numerose vittime.
All'interno di questo scenario apocalittico, la nazionale maschile di basket del Libano prosegue la preparazione in vista dei Mondiali in Giappone. Ma se le gambe dei giocatori corrono sul parquet, la loro mente vaga altrove: impossibile pretendere di allenarsi sapendo che gli aerei israeliani stanno sorvolando sopra i tetti delle loro case. Sopra le teste dei loro familiari. I giocatori si allenano per quattro giorni, poi non riescono più a sopportare la pressione: la federazione ordina il rompete le righe.
"In 37 anni trascorsi all'estero questo è certamente il momento più brutto - commenta Paul Coughter, coach americano della nazionale libanese che ha allenato in oltre cento paesi - sento gli F16 sfrecciare nei cieli, e non sono certo quelli dell'areonautica libanese. Per me tutto questo è assolutamente senza precedenti".
La guerra è in corso, nessuno sa quali scenari dipingerà: la nazionale deve raggiungere la Turchia per partecipare alla Borislav Stanković Cup, ma non sa come. Le autostrade sono danneggiate, l'aeroporto è stato bombardato. Fadi El Khatib, guardia, la vera stella della nazionale, vuol mettere in salvo i propri familiari.
"La peggior cosa che ci sarebbe potuta capitare, è veramente dura per noi - racconta ai microfoni di PA Sport - e la mia casa si trova solamente ad un chilometro dai luoghi bombardati. Vorrei provare a guidare fino a Dubai, mettere in salvo mia moglie ed i bambini lì e poi aggregarmi ai compagni in Turchia. Posso farlo in due giorni, sono 2100 km".
Il Libano riesce ad arrivare a destinazione al termine di un'autentica odissea: in autobus fino in Giordania, lungo le strade finite sotto assedio, poi in aereo fino ad Ankara dopo alcune sessioni di allenamento ad Amman. E con a bordo la famiglia di El Khatib, unici passeggeri che non fanno parte dello staff tecnico. Non c'è Paul Khoury: il possente centro nativo di Tonga è ancora a Salt Lake City e fa sapere che preferisce raggiungere i compagni nelle settimane successive.
Il torneo nella capitale si chiude con due sconfitte - contro i padroni di casa e la Slovenia - ed il pareggio contro il Qatar: se si giocano i supplementari l'avversario rischia di perdere l'aereo che lo riporterà in patria, alla nazionale libanese va bene anche chiudere sul 75-75.
I problemi, però, non sono ancora finiti. Dopo il torneo in Turchia, il Libano è adesso atteso dalla Alpos Cup in Slovenia, ai principi di agosto: i visti necessari si trovano al Cairo, qualcuno deve andare a ritirarli. La squadra riesce ad atterrare nei Balcani, ma senza metà delle borse: troppo pesanti i bagagli per poter essere caricati sul volo Ankara-Maribor, nella capitale turca rimangono giacchetti e pantaloni della tuta.
El Khatib è alle prese con un attacco febbrile, Khoury non è ancora rientrato dagli Stati Uniti, la squadra non si è potuta preparare con continuità: le tre partite disputate ad Ankara non possono bastare per amalgamare il gruppo. Una vera e propria tragedia.
Eppure i libanesi tengono duro e decidono di partecipare comunque ai Mondiali: "Credo sia essenziale - commenta coach Caughter - il Libano deve avere risalto in questo momento e noi siamo i portabandiera del paese. Ci siamo guadagnati questi Mondiali e i libanesi hanno bisogno di positività."
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