domenica 22 maggio 2011

Kabul do Brasil - 2


(continua da - 1)

Nella primavera 1979, quando l’invasione da parte di Mosca è un’ipotesi ancora remota, i mujāhidīn scatenano l’attacco alla città di Herat: è un’operazione resa possibile dai finanziamenti economici che arrivano dal MI6 e dalla CIA attraverso i servizi segreti pakistani, come confermerà venti anni dopo Zbigniew Brzezinski, Consigliere Nazionale per la Sicurezza negli anni della presidenza Carter, in un’intervista rilasciata al settimanale francese Le Nouvel Observateur

Nei mesi precedenti all’arrivo dell’URSS in Afghanistan gli Stati Uniti iniziano, dunque, a sovvenzionare i mujāhidīn in Afghanistan per destabilizzare il potere del PDPA: una tattica, come ammesso dallo stesso Brzezinski, per provocare i sovietici, indurli ad invadere il paese e farli cadere in una trappola, di modo che l’Afghanistan diventasse per loro quello che per gli USA era stato il Vietnam.

L’URSS varca la frontiera inviando soldati, carri armati, aerei: mentre la CIA rifornisce di munizioni i mujāhidīn, tanto è il rischio di un dominio sovietico in Asia centrale, il mondo sportivo americano critica l’invasione afghana. E minaccia di boicottare i Giochi Olimpici di Mosca.

Sono settimane concitate: Carter lancia l’ultimatum a Mosca, alcuni paesi annunciano che diserteranno la rassegna iridata, si fa strada la proposta di trasferire o annullare i Giochi. A Lake Placid si svolgono, frattanto, le Olimpiadi invernali: il CIO conferma Mosca, Carter fa scadere il suo ultimatum e, due giorni dopo, gli Stati Uniti battono clamorosamente i sovietici nel torneo di hockey su ghiaccio. Gli intrecci tra sport e politica si fanno sempre più ingarbugliati.

Il duello durissimo tra USA e URSS, dentro e fuori dall’Afghanistan, prosegue per tutta la decade: dopo lo sgarbo americano a Mosca, i sovietici disertano i Giochi di Los Angeles del 1984 e invitano i paesi del Patto di Varsavia a fare altrettanto.

Tra le montagne eurasiatiche, frattanto, si continua a combattere e a sparare e i mujāhidīn portano avanti la loro battaglia grazie alle armi della CIA: adesso c’è Reagan alla presidenza, gli Stati Uniti sono ancor più determinati a sconfiggere quello che il nuovo inquilino della Casa Bianca ribattezza «l’impero del male».

La guerra santa è riuscita anche a reclutare combattenti stranieri: a fianco dei mujāhidīn locali lottano in prima linea anche i cosiddetti “arabi afghani”, provenienti dalle aree geografiche limitrofe. Si distingue, al loro interno, un giovane saudita, fiero oppositore del governo “ateo e comunista” del PDPA: il suo nome è Osāma bin Lāden ed in questi anni dà vita al fronte del MAK per reperire nuove risorse economiche, militari ed umane. Ed è qui che l’opinione pubblica americana si divide.

Da una parte Brzezinski nega qualsiasi tipo di contatto della CIA con i mujāhidīn stranieri e con bin Lāden, una tesi sostenuta anche da vari funzionari dell’amministrazione Reagan e addirittura da al-Zawāhirī, uno dei capi di Al-Qā‘ida; dall’altra, invece, da inchieste giornalistiche e da un’intervista rilasciata dal principe saudita Bandar bin Sultan emerge non solo che gli americani avrebbero finanziato direttamente gli arabi afghani, ma anche che bin Lāden sarebbe stato reclutato dalla CIA per organizzare il fronte antisovietico.

Dopo dieci anni di guerra cruenta, costata oltre un milione di morti, l’URSS ritira le truppe nel 1989 e di lì a poco nasce la Repubblica Islamica dell’Afghanistan. Una volta liberatosi dei sovietici e dei governi a loro benevoli, però, il fronte dei mujāhidīn si scompone: al suo interno avanza infatti la frangia dei talebani, gli integralisti islamici usciti dalle scuole coraniche in Pakistan per immigrati afghani, che riconoscono la sharī‘a, la legge sacra dell’Islam, solo nella sua versione più rigida.

bin Lāden, che nel frattempo ha dato vita ad Al-Qā‘ida, diventa ben presto uno dei più fidati collaboratori del regime talebano che arriverà a prendere il controllo in gran parte del paese, in un clima da guerra civile.

Il resto è storia più o meno nota: l’organizzazione di matrice islamica colpisce al cuore gli Stati Uniti con gli attacchi dell’11 settembre 2001 ed il presidente George W. Bush dichiara guerra ad Al-Qā‘ida e, più in generale, al terrorismo. Aerei militari con la bandiera a stelle e strisce virano in direzione di Kabul e, nel breve volgere di un mese, il regime talebano è rovesciato.

Sembra l’alba di una nuova era, ma è una pia illusione: ad oggi l’Afghanistan rimane un grande dilemma irrisolto, costato la vita a 1461 soldati statunitensi. E, al di là degli entusiasmi suscitati dalla notizia dell'uccisione di bin Lāden lo scorso 2 maggio, la lotta al terrorismo non è ancora finita.

(2 - continua)

Nessun commento:

Posta un commento