lunedì 23 maggio 2011

Kabul do Brasil - 3


(continua da - 2)


Estate 2008: a Pechino vanno in scena, non senza polemiche, i ventinovesimi Giochi Olimpici. In Afghanistan tutti fanno il tifo per Rohullah Nikpai, in gara nel taekwondo categoria 58 kg: il ventunenne lottatore, rifugiatosi in un campo profughi in Iran durante gli anni della guerra civile, riesce a mettere al collo la medaglia di bronzo. 

È un momento storico per l’Afghanistan: mai un atleta era salito sul podio olimpico in oltre un secolo di competizioni a cinque cerchi. 

Sull’onda dell’entusiasmo, e stuzzicato dalla voglia di nuove sfide di Jeremy Piasecki, un marine statunitense, il Comitato Olimpico afghano arriva in poche settimane a partorire un'idea assurda: partecipare ai Giochi Olimpici, quelli di Rio de Janeiro del 2016, con uno sport di squadra. La scelta ricade sulla pallanuoto, introdotta alle Olimpiadi nel lontano 1900: tra le varie discipline non individuali è quella presente da più tempo. Sì, l’Afghanistan avrà il suo settebello.

Più facile a dirsi che a farsi, in realtà: in tutto il paese sono presenti non più di sedici piscine e la maggior parte di esse è sprovvista di cloro ed altri disinfettanti per l’acqua. Inaccessibili durante i mesi più freddi, gli impianti sono aperti al pubblico da maggio a settembre, tranne il mese del Ramadan, durante il quale è proibito nuotare: qualcuno potrebbe, infatti, accidentalmente, ingoiare l’acqua.

Che, per quanto clorosa, sempre acqua rimane. Berne anche un solo sorso nel corso del Ramadan equivale ad infrangere i dettami della religione islamica. Così come lo è tuffarsi in piscina indossando un costume a slip. Le evidenti lacune in tema di impiantistica si accompagnano all'assenza totale di una tradizione nelle discipline acquatiche: solo un afghano su cinque sa nuotare e l’attività si svolge prevalentemente in laghi e fiumi e senza un'adeguata conoscenza dei vari stili. Naturale conseguenza, le piscine vengono utilizzate dai militari per lavare i propri indumenti o, come in passato, per le pubbliche esecuzioni. Figurarsi se conoscono palombelle o zone M, in Afghanistan.


Eppure, dal letame può nascere un fiore. O, se preferite, laddove hanno regnato guerra e distruzione può levarsi un messaggio di speranza. E il merito è tutto di un americano, Jeremy Piasecki. Allenatore di pallanuoto, ufficialmente è nei Marines, ma a Fallbrook, in California, nella vita di tutti i giorni gestisce una gelateria. Fino a quando, quattro anni fa, non gli arriva un'insolita proposta di lavoro: fare da administrator mentor di un battaglione dell'Afghan National Army, l'esercito afghano. Dovrà insegnare come pagare i soldati e gestire il personale. Niente d'impegnativo.

Jeremy accetta e, nel gennaio 2008, parte alla volta dell'Asia Centrale, dove trova ad attenderlo il 201° reggimento dell'ANA. Giunto alla base di Pol-e-Charki, a circa 24 kilometri a est di Kabul, si imbatte casualmente in una gara di nuoto tra militari afghani: a sorprenderlo non è tanto la buona tecnica messa in mostra dai soldati, quasi tutti principianti, quanto l'entusiasmo dei partecipanti e del pubblico.

Anni di incertezze, di instabilità, di guerre hanno segnato la storia dell'Afghanistan, eppure nessuno sembra ricordarlo, dentro e fuori da quella tinozza: lo sport regala sorrisi a tutti. Jeremy ha un'intuizione, di fronte a cotanto entusiasmo. Perché lui è sì un marine. Ma è anche uno sportivo. E, parafrasando una celebre massima di John Kennedy, capisce cosa può fare per questo paese falcidiato da vari mali.

Il progetto di Jeremy, agli inizi, fatica a ricevere la giusta attenzione: ovunque si sente dire che è il "solito americano che promette grandi progetti ma poi non fa mai niente". Jeremy ha la scorza dura e, alla fine, la spunta: durante i Giochi di Pechino l'Afghanistan, assieme alle Isole Vergini britanniche, entra nella FINA, il massimo organo mondiale degli sport acquatici. E, in mezzo a mille difficoltà, l'ambizioso progetto parte.

Dal 23 al 27 agosto 2008 la piscina della base ospita un evento storico: le prime selezioni di quella che dovrebbe essere la nazionale di pallanuoto. Sono circa settanta i partecipanti: molti di loro sono soldati, molti di loro si sono dovuti rifugiare in Pakistan. Ora sognano di fare qualcosa per il loro paese. Per unirlo. Bahram Hojreh, amico di Jeremy e allenatore di pallanuoto a Los Alamitos, ha intanto inviato calottine, palloni, borse, un fischietto e, soprattutto, le istruzioni per costruire le porte da gioco.

Sembra il primo passo, ma Piasecki si scontra con il comandante della base che, per motivi di sicurezza, non vuol ammettere nella piscina persone estranee all'esercito. Jeremy la spunta ancora: i provini arrivano a compimento. E spalancano all'allenatore americano le porte del Comitato Olimpico: il progetto Afghanistan Waterpolo è ufficiale e Piasecki riceve l'investitura.

Nel frattempo a Jeremy scade il contratto da mentor. Torna in patria, a raccontare questa bizzarra esperienza e, soprattutto, a raccogliere fondi. Il Comitato afghano è al verde e, così, l'unica soluzione è un'organizzazione no-profit assieme alla moglie Leilani ed amici vari. 

Dopo diffidenze e sorrisi di scherno, arrivano le prime donazioni necessarie a raggiungere l'obiettivo di un milione di dollari all'anno per far venire i giocatori negli USA, allenarli e realizzare il loro sogno a cinque cerchi. E intanto, in Afghanistan, nasce una prima squadra, in ambito provinciale. "Esiste un modo per tornare ad essere buoni". Già.

(3 - fine)

Fonti:
N. Chomsky, "11 settembre - le ragioni di chi?", Marco Tropea (I tigli), 2001
G. Vidal, "Trilogia dell'impero", Fazi, 2005
(a cura di) E. Trifari, "L'enciclopedia delle Olimpiadi" - vol. II, La Gazzetta dello Sport, 2008


(Potete leggere una versione più ampia dell'articolo sul numero 4 di Pianeta Sport)

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