Era da mesi che volevo scrivere questo pezzo. Di sicuro da dicembre, dopo essere stato a Zanzibar per una settimana. Dopo essere passato, a bordo di un pulmino, a fianco dello stadio nazionale. Dopo aver ammirato le appassionanti sfide di pallone tra masai e zanzibarini giocate sulla spiaggia di Kiwengwa senza arbitri e con porte rudimentali. Eccolo qua, finalmente...
Foto Simone Pierotti |
Eppure si deve al periodo coloniale l'arrivo del calcio in questo gruppo di isole incastonato al largo dell'Africa orientale: dopo le parentesi delle dominazioni persiane, portoghesi e arabe, l'arcipelago diventa un protettorato britannico nel 1890 dopo la stipula del trattato di Heligoland-Zanzibar tra Regno Unito e Germania, con il governo lasciato comunque nelle mani dei sultani omaniti.
Passatempi inglesi come calcio, cricket e hockey su prato sono già sopraggiunti da almeno un decennio: lo si deve a una trentina di dipendenti della Eastern Telegraph Company, azienda di telecomunicazioni, arrivati nelle isole per mettere in contatto Zanzibar con la remota Inghilterra. La sera, al termine della giornata lavorativa, si dilettano a far saettare palline e palloni.
Questi fanno proseliti al St Andrew's College nel villaggio di Kiungani, scuola di missionari cristiani che diffonde il verbo del Signore in un territorio a stragrande maggioranza musulmana e pure la passione per il calcio. Che nel giro di nemmeno mezzo secolo è praticato in qualsiasi angolo di Unguja, principale isola dell'arcipelago assieme a Pemba, dalle banchine del porto agli angusti vicoli di Stone Town fino alla lunga striscia di sabbia a Mnazi Mmoja.
Foto Simone Pierotti |
E anche la popolazione indigena inizia ad attrezzarsi: tra il 1914 e il 1918 sotto i nomi di innumerevoli villaggi si raccolgono adulti divisi dai mestieri ma accomunati dal desiderio di giocare a pallone. Anche i poveri e i reietti hanno beniamini da adorare: i New Kings e i New Generation si contrappongono alle rappresentative per le quali simpatizzano europei e arabi, finendo per rovesciare le gerarchie sociali che regolano la quotidianità lontano dal terreno di gioco. Come i Caddies dell'European Golf Course, la squadra dei dipendenti che sfida - e sconfigge - quella dei danarosi datori di lavoro.
Il periodo tra le due guerre mondiali segna la definitiva svolta del calcio a Zanzibar: ai bordi del rettangolo verde si radunano frotte di tifosi e nei villaggi diventa pratica diffusa per gli uomini radunarsi nei luoghi di ritrovo e commentare i risultati delle partite. I tempi sono ormai maturi per la nascita del primo campionato, al quale prendono parte nove squadre, e per la costituzione della Federazione Calcistica di Zanzibar - Chama cha Mpira wa Miguu Zanzibar in lingua swahili. Due eventi spartiacque che si verificano nello stesso anno, il 1926.
Foto Simone Pierotti |
Nemmeno un mese dopo, il 12 gennaio 1964, scoppia la rivoluzione: mentre i leader dell'Afro-Shirazi e del partito marxista Umma si trovano in Tanganica, sull'isola di Unguja centinaia di africani imbracciano i fucili e in poche ore prendono il controllo di edifici governativi e stazioni di polizia. Il sultano Jamshid bin Abdullah e i suoi tirapiedi sono costretti alla ritirata e lasciano Zanzibar per sempre. Sulla scena irrompe John Okello, un ex poliziotto ugandese iscritto all'Afro-Shirazi che millanta di aver servito come feldmaresciallo in Kenya nella rivolta di Mau Mau: autoproclamatosi capo dell'insurrezione, viene destituito ed esiliato quando rientrano sull'isola i segretari dei due partiti.
Già ad aprile, però, l'Afro-Shirazi si fonde con l'Unione Nazionale Africana del Tanganica, principale forza politica dell'omonima colonia britannica nel frattempo resasi indipendente dalla corona. Dall'accostamento delle prime tre lettere dei rispettivi nomi nasce l'odierna Tanzania, con tanto di Federcalcio subito iscritta alla FIFA.
Ironia della sorte, ad affrontare Zanzibar nell'incontro del suo debutto sulla scena internazionale è stata proprio la Tanganica: è accaduto alla Gossage Cup, istituita nel 1926 e così chiamata in onore dell'azienda di saponi William Gossage and Sons Ltd che ha donato il trofeo da assegnare alla squadra vincitrice tra le rappresentative di quattro protettorati britannici.
A Uganda e Kenya, per quasi un ventennio anni uniche partecipanti al torneo, si aggregano solo successivamente Tanganica e Zanzibar. Le ultime arrivate si sfidano a Dar Es Salaam nelle semifinali dell'edizione 1947: gli isolani rimediano una sconfitta per 3-1. Cinque anni dopo si consuma la vendetta: nella finale di consolazione Hijah Saleh firma una storica tripletta e Zanzibar festeggia con un bel 3-1 la sua prima vittoria nella competizione.
Foto www.skyscrapercity.com |
Come se niente fosse, la selezione dell'arcipelago continua a imperversare in quella che viene ribattezzata in via definitiva Council for East and Central Africa Football Associations (CECAFA) Challenge Cup, ormai allargata a varie nazioni dell'Africa centrorientale: molte di queste sono regolarmente affiliate alla FIFA. Diversamente da Zanzibar, a cui è preclusa la partecipazione a Mondiali o Coppa d'Africa.
Ma il senso di frustrazione per il mancato riconoscimento rimane temporaneamente sopito nel 1995: gli zanzibarini si qualificano per le semifinali dell'ex Gossage Cup, dove eliminano l'Etiopia dopo i calci di rigore. Nell'atto supremo affrontano i padroni di casa della Nazionale B dell'Uganda: basta una risicata vittoria con appena una rete di scarto per dimenticare anni di umiliazioni e disfatte.
Esattamente dieci anni dopo, invece, la Federcalcio di Zanzibar conosce uno dei momenti più bui della sua ottuagenaria storia: dopo la scissione dalla Tanzania Football Federation nel 2002 e il riconoscimento della CAF inoltra la richiesta di adesione alla FIFA. Ma il consesso del massimo organo calcistico mondiale la rigetta: "Non è un Paese riconosciuto dalla comunità internazionale", si legge nelle motivazioni.
La Zanzibar Football Association torna all'ovile, ma è una convivenza durissima: da tempo lamenta di non ricevere parte del programma di aiuti che la FIFA stanzia in favore della Federcalcio tanzaniana e destinati anche alle isole. Lo stesso arcipelago presenta una marcata spaccatura politica interna: all'unionista Chama Cha Mapinduzi si contrappone il secessionista Fronte Civico Unito. Dopo schermaglie e accuse di brogli in due tornate elettorali di inizio millennio, i due partiti si riconciliano a seguito di un referendum indetto nel 2010: è l'anno in cui la Cina finanzia i lavori di rifacimento allo stadio Amaan. La FIFA, intanto, rispedisce al mittente un'altra richiesta di affiliazione avanzata nel 2011.
Foto www.zanzinews.com |
Di sicuro, non è un caso che il 12 gennaio d'ogni anno le celebrazioni della ricorrenza della rivoluzione abbiano luogo sul manto erboso e sulla pista d'atletica dell'Amaan. Gli zanzibarini assiepati sui gradoni assistono alla festosa parata. Ricordano il loro passato e sognano un futuro nel segno dell'indipendenza. Affidandosi - ecco che si ripete il paradosso - a uno dei lasciti del colonialismo.
Fonti:
Laura Fair, "Kickin' it: Leisure, Politics and Football in Colonial Zanzibar, 1900s-1950s", Journal of the International African Institute,Vol. 67, No. 2 (1997), pp. 224-251
Steve Menary, "Zanzibar: swimming against the tide", In Bed With Maradona, 6/12/2011
"Fifa turns Zanzibar down", BBC Sport, 8/3/2005
"Zanzibar profile - Overview", BBC News, 16/6/2015
"Zanzibar wants football independence", BBC Sport, 2/3/2002
"Zanzibar, hopes for change", BBC Sport, 24/10/2003
Palmares Gossage Cup, RSSSF.com
Zanzibar Champions, RSSSF.com
"SMZ to protect Amaan Stadium", The Guardian IPP, 1/4/2010
Alaba Ogunsanwo, "China's Policy in Africa, 1958-71", Cambridge University Press, 1974
Nessun commento:
Posta un commento