domenica 4 aprile 2010

Un'impresa scolpita nel marmo



Tra i luoghi d'interesse che sto scoprendo qui ad Atene non poteva certo mancare - da appassionato sportivo quale sono - il Kallimarmaron, ovvero l'antico stadio Panathinaiko, interamente costruito in marmo: costruito nel 560 a.C. per celebrare i Giochi Panatenaici e rimasto sepolto per numerosi secoli, venne riscoperto nel 1870 e ristrutturato in occasione dei primi Giochi Olimpici dell'era moderna, quelli di Atene del 1896. 

Gli italiani lo ricorderanno sicuramente per il trionfale arrivo di Stefano Baldini alla maratona dei Giochi olimpici del 2004: in quell'occasione il Kallimarmaron ospitò anche le gare di tiro con l'arco. E nello stesso anno la nazionale di calcio, che aveva appena vinto clamorosamente gli Europei, fu festeggiata qui. 


Ma non tutti sanno che, esattamente quarantadue anni fa - era infatti un 4 aprile -, l'antico stadio situato a fianco dei giardini nazionali fu teatro della finale della Coppa delle Coppe di pallacanestro tra l'AEK Atene e lo Slavia Praga. Un evento che, è proprio il caso di dire, è rimasto scolpito nella memoria degli sportivi greci.

Il destino ha voluto che questa ricorrenza avvenisse in occasione della domenica della Pasqua ortodossa, una festività che i greci vivono in maniera più calorosa rispetto al Natale. E allora, Χρόνια πολλά a tutti i miei lettori.

Non è un anno felice per la Grecia, il 1968, periodo di grandi contestazioni. Il paese si avvia a "celebrare" il primo anno sotto la dittatura dei colonnelli, instaurata il 21 aprile 1967 con un colpo di stato per mano di Georgios Papadopoulos, Nikolaos Makarezos e Stylianos Pattakos.


Intanto la Cecoslovacchia vive la "Primavera di Praga", un periodo di riforme antiautoritarie avviato dal nuovo segretario del partito comunista Aleksander Dubček, mentre in Francia si appresta ad arrivare il Maggio parigino.

Tra i pochi motivi di distrazione in Grecia c'è lo sport: è la pallacanestro a regalare le soddisfazioni maggiori agli sportivi ellenici ed in particolare l'AEK Atene, la terza grande polisportiva della capitale alle spalle di Olympiakos e Panathinaikos.

La società fondata da un gruppo di rifugiati da Costantinopoli ai tempi della guerra greco-turca ha già raggiunto un piccolo, grande traguardo: nel 1966 è stata la prima squadra ellenica ad arrivare ad una final four di Coppa dei Campioni, fermata in semifinale dallo Slavia Praga.

Nonostante sia stata introdotta da oltre mezzo secolo, la pallacanestro in Grecia sta ancora vivendo i suoi anni pionieristici: fino al 1963 non esiste, infatti, un vero e proprio campionato nazionale. Non esistono impianti sportivi al chiuso: il basket si gioca nelle strade, su superfici di asfalto.

L'invasione di campioni stranieri è ancora ben lungi dall'arrivare: negli spogliatoi si parla solo il neogreco. Sono gli anni dell'AEK Atene: sotto la guida di Mihalis "Misas" Pantazopoulos le aquile bifronte conquistano quattro campionati consecutivi e arrivano a disputare, come detto, una final four di Coppa dei Campioni.


Ma alle grandi gioie sul piano sportivo si accompagnano i dolori sul piano umano: è infatti il 1966 quando inizia la lenta agonia di uno dei membri della squadra, Georgios Moschos. Un cancro gli impedisce di prendere parte alla final four e, pochi mesi dopo, gli toglie pure la vita, a soli 29 anni.

Forse è anche a causa di questo triste evento che la serie vincente viene interrotta l'anno successivo, quando l'AEK deve accontentarsi del secondo posto in campionato: non essendo ancora stata introdotta la coppa nazionale, vale la partecipazione alla Coppa delle Coppe.

Esaurito il ciclo d'oro, Pantazopoulos abbandona la panchina giallonera e cede il posto a Nikos Milas, bandiera del Panathinaikos, con il quale ha vinto lo scudetto da giocatore prima e da allenatore dopo.

Il cammino dell'AEK in Coppa delle Coppe inizia l'11 gennaio 1968 dagli ottavi di finale: primo avversario dei greci è la formazione spagnola del KAS Vitoria. In terra basca arriva subito una sconfitta (82-72) che viene tuttavia smaltita sette giorni dopo nel match di ritorno di Atene: gli uomini di Milas si impongono 85-65, doppiando così il distacco che avevano incassato in trasferta.

Ai quarti inizia il ciclo di scontri ad alta tensione: nell'urna l'AEK pesca i belgi dell'Anderlecht. Ad Atene, il 15 febbraio, la partita non ha alcuna storia: i greci infliggono ventidue punti di distacco (76-54), la qualificazione alla semifinale appare ben più di una semplice certezza.

Ma gli uomini di Milas rischiano grosso nel match di ritorno che si gioca nelle Fiandre il 24 febbraio: forse per eccessiva sicumera si fanno rimontare clamorosamente fino quasi a sfiorare la proroga delle ostilità ai supplementari (74-54).

Conquistata con fatica la semifinale, l'AEK incontra l'avversario più ostico: i campioni in carica della Ignis Varese. I lombardi godono naturalmente dei favori del pronostico. Il 7 marzo si gioca in Italia il match di andata: sul parquet la classe di Dino Meneghin non ha rivali e Varese fa suo l'incontro con diciotto punti di distacco (78-60), iniziando così ad assaporare la seconda finale consecutiva.

In Grecia, nel frattempo, molti iniziano a perdere le speranze: il sogno europeo, forse, è destinato a svanire nuovamente alle porte della finale. La settimana successiva si gioca ad Atene: allo stadio Kallimarmaron accorrono oltre 50mila spettatori per sostenere l'AEK in una difficilissima rimonta. Il calore dei tifosi trascina i gialloneri che riescono nell'impresa di ribaltare il risultato: 72-52, i campioni in carica escono di scena.

Due anni dopo le semifinali di Coppa dei Campioni, la Grecia ha la possibilità di festeggiare adesso il primo trofeo continentale. Come era accaduto nel 1966, quella squadra è l'AEK. E, esattamente come in quella circostanza, gli ellenici si ritrovano di fronte lo Slavia Praga che non ha incontrato ostacoli lungo il cammino.

4 aprile 1968. La finalissima di Coppa delle Coppe si gioca al Kallimarmaro. Due ore prima dell'incontro le tribune marmoree sono tutte occupate dai tifosi greci: 80mila spettatori, è record mondiale per un incontro di pallacanestro, tuttora imbattuto.

Altre migliaia di sostenitori devono accontentarsi di seguire la finale dall'esterno dello stadio, affidandosi solamente alle grida dei tifosi per conoscere l'andamento dell'incontro, oppure alla radio, in compagnia della cronaca di Vassilis Georgios. All'interno di una cornice a dir poco suggestiva, l'AEK regala grandi emozioni e chiude la prima frazione in vantaggio di nove punti: ci si attende una reazione da parte dei cecoslovacchi di Jaroslav Sip, ma al tempo stesso che i greci sappiano amministrare il vantaggio.


I gialloneri, però, commettono nuovamente il medesimo errore che poteva costar caro contro l'Anderlecht: in pochi minuti lo Slavia, grazie ai canestri di Zidek e Ruzicka, prima pareggia i conti e poi addirittura passa in vantaggio (60-58). Fino a quel momento chiassoso e festante, il pubblico greco all'improvviso ammutolisce. Dal possibile trionfo ad una sconfitta amara.

Come scriverà il giorno dopo un quotidiano sportivo, il pivot Georgios Trontzos assume il ruolo di deus ex machina. Nel teatro dell'antica Grecia era una figura che, calando dal cielo, risolveva una situazione ingarbugliata.

Mai rimando alla cultura autoctona poteva suonare più appropriato: il pivot ellenico pareggia i conti, poi capitan Amerikanos infila i due tiri liberi del sorpasso e nuovamente Trontzos va nuovamente a canestro (64-60). Zoupas esce per cinque falli ed abbandona il campo in lacrime.

Ma l'AEK non sembra accusare il colpo: con tre canestri personali consecutivi Trontzos riprende a far volare le aquile sul 78-70, ponendo delle solide basi alla vittoria. Lo Slavia accenna timidamente ad una possibile rimonta, ma senza grandi risultati: in questa fase è prezioso il lavoro oscuro compiuto da Christeas, abile a guadagnare falli sotto le plance e a mandare in lunetta i compagni.

Nel finale sale in cattedra il capitano Georgios Amerikanos, miglior marcatore dell'incontro con 29 punti personali: l'ultima firma sull'incontro è quella di Lakis Tzavas che infila il tiro libero del definitivo 89-82. I due arbitri, il rumeno Chiriac e lo jugoslavo Kavcić, fischiano la fine delle ostilità: il Kallimarmaron dei record abbraccia i suoi campioni che, per la prima volta, portano la Grecia ai vertici del basket continentale. Abbraccia anche chi non c'è più: Georgios Moschos.


Quarant'anni dopo, il 6 aprile 2008, verrà simbolicamente premiato anche lui assieme agli altri componenti della squadra. Scolpito per sempre nel marmo dello stadio Panathinaiko, assieme alla memorabile impresa di quella squadra, c'è anche il suo nome.

Fonti:
http://www.asda.gr/

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