lunedì 15 agosto 2016

Calcio in spiaggia: il gioco della tedesca



"Quindici, dieci, dieci...". Come in una sorta di giuramento olimpico, per anni questi tre numeri recitati in successione inauguravano lunghi pomeriggi di interminabili sfide e di spensieratezza sotto un sole cocente. Sì, sto parlando della celebre tedesca. Giocarci è semplice: bastano due pali e una traversa, poco importa se reali o immaginari, un pallone e qualche amico. Negli anni della nostra infanzia e adolescenza l'abbiamo giocata su qualsiasi superficie - erba, asfalto, sabbia. Almeno nel mio caso, la tedesca è stata, ed è, sinonimo di mare, di spiaggia, di vacanze estive.

La tedesca ha scandito i miei anni delle scuole elementari, quelli delle medie e pure delle superiori. E ricorda certi giochi in scatola sulla cui confezione è riportato che sono adatti "dai tre anni in su" o qualcosa di analogo: non ci sono limiti d'età.

Già, ma come si gioca alla tedesca? E perché si chiama così? A differenza del calcio, le regole di questo passatempo non sono codificate: piuttosto, sono state tramandate oralmente, alla maniera dei rapsodi e dagli aedi nell'antica Grecia, e possono cambiare da regione a regione. Proprio perché non esiste un codice di regole scritto, è pressoché impossibile risalire all'origine della "tedesca": leggenda narra che il gioco sia stato inventato in Olanda, che sia arrivato nella vicina Germania e poi in Italia, magari per merito dei tedeschi come suggerisce la denominazione stessa - anche se, e questo rimane un altro bel mistero, avrebbe più senso chiamarla "brasiliana" per la sua essenza fatta di tocchi di prima.

Foto Maurizio Tieghi (ferraraitalia.it)

Innumerevoli, dicevo, sarebbero le varianti. Io posso raccontarvi la "mia" tedesca. Quella che ho giocato per chissà quanti pomeriggi al Bagno Ester nella mia Viareggio. La parola "tedesca" rievoca l'estate al mare, gli anni del puro divertimento - quanto erano lontani i pensieri che avremmo incontrato in età adulta! -, gli amici che avevi occasione di rivedere da giugno a settembre prima che ognuno tornasse sui banchi di scuola. Anzi, spesso si trattava di ragazzi che vivevano nella mia stessa città, non certo una metropoli, e che tuttavia non vedevi per mesi. La tedesca era come l'ultima campanella di scuola: annunciava la fine delle lezioni e rinnovava le amicizie sotto l'ombrellone.

"Quindici, dieci, dieci...". La tedesca è un gioco a punti: chi comincia come portiere ha il vantaggio di partire con cinque punti in più rispetto agli altri sfidanti. Possono essere dieci, quindici o addirittura venti, ma la condizione imprescindibile è che ne abbia sempre cinque in più - perché sempre e solo i multipli di cinque è probabilmente un altro dei misteri irrisolti della tedesca.

Fermi tutti: come veniva determinato chi comincia in porta e chi fuori? Quando andava bene, c'era sempre un matto che decideva sua sponte di correre il rischio di farsi impallinare tiri al volo da tutte le posizioni - del resto, non si è soliti dire che per fare il portiere serve un pizzico di follia? Negli altri casi si ricorreva alla "traversina": pallone sul dischetto (immaginario) del rigore, in questo caso un mucchietto di sabbia, e poi tutti in fila nel tentativo di colpire la traversa - noi del Bagno Ester eravamo fortunati, avevamo delle vere e proprie porte con tanto di rete, più o meno delle dimensioni di quelle del calcio a sette. Chi per miracolo o straordinaria abilità balistica centrava il montante evitava di fatto di andare in porta, chi mancava malamente lo specchio si avviava mogio mogio a recuperare il pallone sapendo di andare incontro a un destino già segnato: agli altri partecipanti bastava infatti un banalissimo tiro centrale e rasoterra per mettersi al sicuro.

Ah, non vi ho detto del pallone: quello tradizionale in cuoio era troppo duro per essere colpito a piedi nudi. Ma nemmeno quelli più soffici come il SuperTele andavano bene: prende traiettorie strane, come in un episodio di "Holly e Benji" perché - questo è un meraviglioso neologismo che abbiamo coniato da bambini e che l'Accademia della Crusca dovrebbe introdurre tra i vocaboli italiani - "avventa". Il pallone perfetto era il Tango, prodotto dalla Mondo sulla falsariga dell'omonimo pallone ufficiale dei Mondiali del 1978: il rivestimento in gomma lo rendeva morbido, ma la camera d'aria all'interno lo appesantiva quel tanto che bastava affinché - passatemi ancora la parola - non avventasse.

"Quindici, dieci, dieci...". Bene, si comincia. Regola numero uno: valgono solo i tiri al volo, quindi chi fa gol con due o più tocchi o dopo un rimbalzo sulla sabbia finisce dritto dritto in porta. Regola numero due: "palo salva", nel senso che chi calcia fuori non finisce in porta se il pallone accarezza i pali e la traversa. (eventuale) Regola numero tre: è possibile tirare solo al di fuori di un'immaginaria - sulla sabbia tutto è lasciato all'immaginazione... - area perché "è troppo facile se tiri da due metri".

Il normalissimo gol di piede - nessuna distinzione tra collo, esterno o piatto - toglie un punto, il gol di testa due, quello di ginocchio (e forse anche il tacco) tre, la sforbiciata in orizzontale quattro, la rovesciata cinque ("Rove, rove!" era il futuristico sinonimo di "Alza la palla che faccio una rovesciata!"). Ma il più temuto per i portieri era un solo tipo di gol: quello fatto colpendo la palla con il fondoschiena - sì, avete letto bene - che, come per magia, abbassava il punteggio di chi stava in porta fino a zero.

E qui entrano in gioco altre due componenti fondamentali della tedesca. La prima: bisogna stabilire il punteggio con il quale si è sbattuti fuori, solitamente tra "meno uno" e "meno tre". La seconda: la regola della cosiddetta "bastarda", che consente a chi è in porta ed è rimasto a zero punti di colpire deliberatamente uno dei giocatori con il pallone per far sì che questo rimbalzi fuori dal campo, costringendo così l'avversario ad andare in porta. Inutile stare a rimarcarvi quante amicizie siano state messe in discussione dall'applicazione di questa spietata regola...

Mano a mano che i partecipanti vengono eliminati chi ha il punteggio più alto finisce in porta. E così si procede fino a quando non rimangono solamente due contendenti: a quel punto, la vittoria - nel nostro caso, una spuma o un gelato al bar dello stabilimento balneare - viene assegnata ai rigori, con i duellanti che si alternano tra dischetto e porta fino a quando non vince uno solo. È stato così per non so quante estati e spero che i bambini di oggi portino avanti il mito della tedesca.

Anzi: mi piace pensare che quando un amico sussurra ad un altro "Ci facciamo una tedesca?" non intenda necessariamente il bersi una Paulaner o una Beck's o il trascorrere qualche piacevole momento d'intimità con una ragazza della Baviera o della Sassonia. No: mi auguro che abbia avuto il mio stesso pensiero. Il pensiero a quello che, usando le parole di Emanuela Audisio, non è altro che un "purissimo gioco da bambini infiniti".

Nessun commento:

Posta un commento