lunedì 29 novembre 2010

Derby al 38° parallelo



Come ormai avrà capito chi segue costantemente i passi del mio blog, o come avranno intuito quanti si imbattono casualmente nella lettura dei miei articoli, raramente seguo l'attualità e preferisco ripescare aneddoti e, per l'appunto, storie più datati. O meglio, l'attualità diventa a volte un'occasione per affondare poi le radici nel passato e, soprattutto, per mescolare calcio e politica. 

La cronaca recente mi ha offerto uno spunto davvero interessante: da giorni si parla, infatti, di una possibile guerra nucleare tra la Corea del Nord e la Corea del Sud. Proprio sessanta anni fa - era il 1950 - i due paesi si scontrarono in un'aspra guerra di tre anni conclusasi con 4 milioni di vittime, tra popolazione civile e militari, e soprattutto con un armistizio che è rimasto un semplice e mai attuato pezzo di carta. 

Ufficialmente, infatti, le due Coree sono ancora in stato di guerra ed in questi sessanta anni il rapporto ha conosciuto numerosi alti e bassi: la situazione è tornata a farsi tesa una settimana fa, quando la Corea del Nord ha bombardato l'isola di Yŏnp'yŏng causando la morte di due marines USA e di due civili. 

Un attacco che ha scatenato dure reazioni in tutto il mondo e al quale la Corea del Sud ha risposto con l'invio di una squadriglia di alcuni F16 che hanno aperto il fuoco. E pensare che, sei mesi fa, erano stati riaperti i negoziati di pace...

Quando, nel 1948, viene adottata la decisione di suddividere la penisola coreana in due diversi Stati - l’uno ispirato al modello delle democrazie liberali, l’altro di stampo comunista - probabilmente, anzi, sicuramente nessuno si sofferma a riflettere sulle ripercussioni che essa avrà in ambito sportivo.

Eppure, prima o poi, le strade di Corea del Nord e Corea del Sud troveranno un punto d’incontro (o di scontro?) non solo in un campo di battaglia, ma anche da gioco. Forse perché, come sosteneva qualche anno prima George Orwell, lo sport non è altro che un’imitazione della guerra. E così fu.

Nove anni dopo l'approdo in Giappone, il calcio sbarca anche nella vicina Corea, protettorato dell'impero nipponico: è il 1882 quando, nel porto di Inch'ŏn, attracca la nave inglese "Flying Fish" ed alcuni marinai scendono a terra, improvvisando una partita di pallone sulla banchina. Le autorità portuali intervengono prontamente: il gioco del calcio è proibito. Ma alcuni ragazzini assistono alla scena e, incuriositi, emulano gli stranieri: da quel momento, il pallone non si fermerà più nella penisola coreana e, anzi, conoscerà una maggior popolarità ed una più rapida diffusione rispetto al Giappone, dove invece farà più fatica ad affermarsi.

A partire dal 1929, poi, vengono istituiti i giochi Kyŏng-P’yŏng, da cui emerge la rivalità tra P'yŏngyang e Seul: sono gli anni dell'annessione all'impero nipponico e, per i coreani, le partite di calcio diventano l'unico, vero momento di libertà.

Non solo: le numerose vittorie nei vari scontri diretti con la nazionale giapponese fanno germogliare il desiderio di indipendenza, da parte dei coreani, e per molti giovani il calcio è un modo per sviluppare le forze fisiche e mentali necessarie per affrontare un'eventuale guerra.

Per i giapponesi è una minaccia, tanto più che in Corea i pali delle porte sono dipinti di nero anziché di bianco, il colore nazionale. Molti atleti, poi, vengono convocati, anche fuori dell'ambito calcistico, nelle rappresentative giapponesi: c'è, insomma, da tenere a bada questo pericoloso movimento nazionalista.

I giochi Kyŏng-P’yŏng vanno in scena per otto volte, fino al 25 marzo 1946: è questa la data dell'ultimo incontro di calcio tra le due città. La Seconda guerra mondiale, nel frattempo, ha fatto sì che l'invasore giapponese, duramente sconfitto e bombardato, fosse costretto alla ritirata.

Ma la fine della dominazione straniera non coincide con l'indipendenza della Corea. Tutt'altro: le potenze vincitrici si spartiscono la penisola e tracciano il confine in prossimità del 38° parallelo.

La porzione di territorio a nord va all'Unione Sovietica - che ha liberato il paese dall'occupazione nipponica -, quella meridionale finisce agli Stati Uniti: è il primo passo verso la creazione, nel 1948, di due nuovi stati, Corea del Nord e Corea del Sud, che parlano la stessa lingua ma finiscono sotto aree di influenza agli antipodi.

Passa un paio di anni e scoppia la guerra, uno degli eventi simbolici dell'era della cortina di ferro eppure finito spesso nel dimenticatoio: i nordcoreani sferrano l'attacco nel tentativo di riunificare la penisola e, sullo schiacchiere, giocano la loro partita pure Cina e Stati Uniti, a sostegno dell'uno e dell'altro paese.

Si lotta aspramente, si contano le prime vittime (saranno oltre i 4 milioni) fino al 27 luglio 1953, giorno della firma dell'armistizio a P'anmunjŏm, cui fa seguito la creazione della Zona demilitarizzata, confine armato lungo 248 kilometri. Ma sarà una pace di facciata. Perché l'accordo non fa che confermare uno status quo che lascia scontente entrambe le metà della penisola.

E, mentre a P'yŏngyang il comunismo del leader Kim Ilsŏng si discosta ben presto dai modelli stalinista e maoista, a Seul si succedono numero-se repubbliche su cui gli Stati Uniti esercitano pressioni.

Farà un certo imbarazzo, dunque, affrontarsi successivamente in ambito sportivo e vedere due diverse bandiere quando, in realtà, buona parte dei coreani preme per la ricongiunzione delle parti.

E, quasi trenta anni dopo la divisione della penisola, ecco che il destino inizia a metter mano sui rapporti tra i due paesi: il 6 maggio 1976 diventa una data storica, allorché le rispettive selezioni calcistiche si ritrovano da avversarie.

Per la prima volta, Corea del Nord e Corea del Sud si sfidano a colpi di pallone: è Bangkok ad ospitare l’incontro, valido per le semifinali dei Campionati asiatici di calcio giovanili, che si conclude con la vittoria stringata (1-0) della metà settentrionale della penisola.

Due anni dopo, poi, è la volta della prima sfida tra le nazionali maggiori: ironia della sorte, è nuovamente Bangkok il teatro della sfida fratricida tra P'yŏngyang e Seul. E, questa volta, si lotta per un premio ancor più prestigioso: la vittoria dei Giochi asiatici.

Un’edizione particolarmente ricca di significati, quella che si disputa in Indocina: la capitale thailandese viene scelta dopo le precedenti rinunce di Singapore, per motivi finanziari, e di Islamabad a causa dei conflitti che vedono il Pakistan impegnato contro il Bangladesh e l'India. È anche l’edizione che coincide con l’espulsione delle rappresentative israeliane dai Giochi asiatici.

Soprattutto, è l’edizione che regala Corea del Nord-Corea del Sud come duello finale del torneo di calcio nel trentesimo anniversario della loro data di fondazione: entrambe marciano spedite verso l’atto supremo, senza perdere un solo incontro e dando saggio di grande forza.

Ma nell’atteso scontro tra titani nessuna delle due riesce a prevalere, neppure dopo i tempi supplementari: niente rigori, il regolamento prevede che il primo posto venga assegnato ex aequo. Vince, è il caso di dire, la Corea. Senza distinzioni geopolitiche.

Si entra così negli anni Ottanta, quelli dei boicottaggi ai Giochi Olimpici (prima i paesi del Patto Atlantico a Mosca, poi quelli del blocco sovietico a Los Angeles) e della fine della guerra fredda. Anni in cui i derby tra le due Coree si fanno via via più frequenti.

Già il 28 settembre 1980: in Kuwait è il giorno delle semifinali della Coppa d'Asia ed il destino ha voluto che una delle due debba rinunciare alla medaglia d'oro. Quella squadra è la Corea del Nord: in vantaggio dopo poco più di un quarto d'ora grazie al rigore trasformato da Pak Chonghon, la nazionale della parte settentrionale della penisola si fa riacciuffare e poi scavalcare nel giro di dieci minuti quando la partita sembrava ormai finita. Il giustiziere di P’yŏngyang ha ventuno anni: si chiama Ch’ŏng Haewŏn.

Il quarto confronto tra i due stati avviene, per la terza volta, in Thailandia: è qui che, nel novembre 1981, si disputa la quattordicesima King’s Cup, torneo internazionale a cadenza annuale al quale prendono parte anche alcune nazionali europee.

In realtà, Corea del Nord e Corea del Sud inviano le loro rappresentative militari, entrambe inserite nel girone 2: la vittoria torna ad arridere ai settentrionali che, imponendosi per 2-0, ipotecano la qualificazione al turno successivo. In tre incontri, la Corea del Nord ne vince due, senza mai subire reti. Una gioia destinata, tuttavia, a non ripetersi per otto anni.

16 ottobre 1989: mentre la guerra fredda tra USA e URSS volge ormai al termine - e di lì a poche settimane crollerà il Muro di Berlino - a Singapore le due nazionali scendono in campo in un match valido per le quali-icazioni ai Mondiali di Italia ’90.

Dopo diciotto minuti Hwang Sŏnhong segna la rete che decide l’incontro. Un successo bissato qualche mese dopo, il 29 luglio 1990: a Pechino le due nazionali tornano a fronteggiarsi per tenere a battesimo la Dynasty Cup, manifestazione sportiva riservata alle federazioni calcistiche dell’Estremo Oriente. E la Corea del Sud s'impone di nuovo con il minimo scarto.

Ma il vero evento è a ottobre: a distanza di due settimane, il derby del 38° parallelo si gioca per la prima volta nei rispettivi paesi. Questa volta non ci sono trofei o qualificazioni ai Mondiali in palio: Corea del Nord e Corea del Sud danno vita ad una serie di amichevoli meglio note come “partite della riunificazione”.

Il calcio diventa, pertanto, uno strumento diplomatico per provare ad unire nuovamente la penisola coreana sotto un’unica bandiera, favorendo il riavvicinamento ed il disgelo tra le due parti. Che, guarda caso, prenderà il via proprio negli anni Novanta, toccando poi l'apice agli inizi del nuovo millennio.

Si arriva così ad un altro, storico incontro: quello dell’11 ottobre 1990 che va in scena nel mastodontico “Rungrado May Day Stadium” di P’yŏngyang, avveniristica struttura simile ad un fiore di magnolia, che può ospitare oltre 150mila spettatori. E, non a caso, gli spalti fanno registrare il tutto esaurito.

A metà del primo tempo la rete del sudcoreano Kim Chusŏng sembra presagire alla terza vittoria consecutiva di Seul, ma ad inizio ripresa il capitano Yun Chŏngsu fa impazzire i sostenitori locali siglando il pareggio. Ed in pieno recupero, due minuti oltre lo scadere del novantesimo, Thak Yŏngbin trasforma il rigore che completa la rimonta e regala alla Corea del Nord il successo per 2-1.

Dodici giorni dopo, il 23 ottobre, si torna nuovamente a giocare ma a campi invertiti: all’Olimpico di Seul la sponda meridionale della penisola vendica il ko con un’altra rete decisiva, dopo ventincique minuti, di Hwang Sŏnghong.

Il 1991 è un anno di pausa, quanto ad amichevoli o partite di un certo peso. Ma non è un anno qualsiasi. Ai Mondiali di calcio Under 20, ospitati dal Portogallo, Nord e Sud uniscono le forze e si pre-sentano sotto un’unica bandiera: è quella della Corea unificata, un vessillo bianco al cui centro risalta il profilo, colorato di azzurro, della penisola.

Una circostanza che, però, non avrà alcun seguito, nonostante i giovani coreani scrivano una delle pagine più belle battendo di misura l’Argentina. Il confronto diretto tra le due Coree ritorna il 24 agosto 1992: ancora Pechino, ancora Dynasty Cup. A differenza delle precedenti sfide, però, in terra cinese esce un salomonico pareggio: al (solito) vantaggio sudcoreano del futuro capitano Hong Myŏngbo replica, nuovamente nelle battute conclusive, Ch’ŭi Yongson.

Senza storia, invece, l’incontro che va in scena in Qatar il 28 ottobre 1993: la Corea del Sud è in piena corsa per la qualificazione ai Mondiali americani ed i cugini del nord proprio non riescono ad opporre resistenza.

Al triplice fischio finale è 3-0, la vittoria con il maggior scarto nella storia delle sfide fratricide, con le reti che giungono tutte nella ripresa: i marcatori sono Ko Chŏngwun, Ha Sŏkchu e, soprattutto, Hwang Sŏnhong. Segnando il momentaneo raddoppio, l’attaccante transitato brevemente dalla Bundesliga diventa il detentore di un curioso record: con tre reti è lui il cannoniere più prolifico nella storia delle varie sfide sull’asse P'yŏngyang-Seul.

Per dodici anni, poi, non succede più nulla (eccezion fatta per un’amichevole a Seul nel settembre 2002 tra le nazionali giovanili, organizzata dalla Fondazione Europa-Corea e sponsorizzata dalla federcalcio del Sud).

Non fuori dal campo di gioco, comunque: nel giugno 2000, in un incontro a P'yŏngyang, il presidente sudcoreano Kim Taejung inaugura la cosiddetta "politica del sole splendente", volta al riavvicinamento tra le due parti della penisola, e riceve per questo il Premio Nobel per la Pace.

Nemmeno tre mesi dopo la linea di Taejung viene applicata alla lettera: a Sydney, alla cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici, le due Coree sfilano infatti assieme con la bandiera della riunificazione, scena che si ripeterà anche ad Atene nel 2004 e a Torino per i Giochi invernali due anni dopo.

Si torna ai derby calcistici il 4 agosto 2005, nel pieno dei Campionati est-asiatici, ereditieri dell'ormai defunta Dynasty Cup: a Chŏnchu, città sudcoreana che ha ospitato alcune partite dei Mondiali di calcio del 2002, le due nazionali si preoccupano prima di tutto della fase difensiva e non si aggrediscono vicendevolmente.

Come nel primo incontro tra le nazionali maggiori del 1978, tra Corea del Nord e Corea del Sud è pareggio a reti bianche. Non sarà così dieci giorni dopo per un altro appun-amento con le amichevoli della riunificazione: è il 14 agosto e a Seul regna un clima gioioso.

Il giorno dopo, infatti, si celebra l’anniversario della liberazione dal Giappone. I sessanta anni della prestigiosa ricorrenza non potevano ricevere miglior festeggiamento: i “diavoli rossi” assestano il secondo 3-0 nella storia dei confronti diretti, con i gol di Ch’ŏng Kyŏngho, Kim Chinyong e Pak Chuyŏng.

Altro anno chiave è il 2008: mentre a Seul sale al potere il conservatore Yi Myŏngbak, sotto la cui presidenza i rapporti diplomatici intercoreani si raffreddano, per quattro volte in meno di sette mesi Nord e Sud si sfidano in ambito calcistico. Un’abbuffata di derby che si chiude senza vinti né vincitori.

Si inizia il 20 febbraio con un altro incontro valido per i Campionati est-asiatici, nella città cinese di Chongping: l’ennesima illusione di supremazia sudcoreana si concretizza con il gol di Yŏm Kihun, ad un quarto d’ora dalla fine Chong Taese riporta tutti con i piedi per terra. Il 26 marzo, invece, ci si gioca la qualificazione ai Mondiali in Sud Africa: è Shangai ad ospitare, per motivi politici, l’incontro che vede i nordcoreani come nazione ospitante. Niente reti, niente vincitori o sconfitti: la stessa trama che offre il match di ritorno a Seul, giocato il 22 giugno.

Passata l’estate, è nuovamente Corea del Nord-Corea del Sud: a Shangai, il 10 settembre, le due cugine osano maggiormente rispetto alle precedenti uscite e segnano un gol a testa.

E, come a voler spezzare la catena, stavolta sono i padroni di casa a sbloccare il risultato con il rigore di Hong Chŏngcho, cui fa seguito dopo nemmeno cinque minuti il pareggio definitivo di Ki Sŏngyong.

L’ultimo incrocio avviene il 1° aprile 2009 a Seul, per la gara di ritorno della seconda fase della qualificazione mondiale: mancano appena tre minuti al termine quando Kim Chi'u regala alla Corea del Sud l'ennesima vittoria in questa serie di derby dal sapore molto particolare.

Ma calcio e potere non sembrano andare d'accordo, lungo il 38° parallelo: se, infatti, nelle varie amichevoli i tifosi coreani hanno sventolato con orgoglio la bandiera della riunificazione, non altrettanto si può dire dei rispettivi leader.

Il Nord riprende i test nucleari ed inizia la difficile scelta per il successore del Caro leader Kim Chŏng'il, le cui conseguenze sul processo di riunificazione sono del tutto imprevedibili; il Sud, oramai divenuto una potenza economica emergente, non prosegue nel solco della linea tracciata da Taejung ad inizio millennio.

Il segno tangibile di questa fase di stallo è dato dal rischio di chiusura del complesso industriale di Kaesŏng, in Corea del Nord, dove Seul investe denaro attraverso la presenza di oltre un centinaio di imprese e P'yŏngyang fornisce la forza lavoro a bassissimo costo.

E poi c'è l'escalation militare del 2010: a marzo cola a picco, con quarantasei marinai a bordo, la corvetta sudcoreana Ch'ŏnan e subito viene attribuita la responsabilità all'altra metà della penisola. Ben peggio è quanto accade a novembre, quando i nordcoreani aprono il fuoco sull'isola di Yŏnp'yŏng, la cui attribuzione al Sud nel 1953 mai è stata riconosciuta dal Nord: è il primo attacco diretto sul suolo sud-oreano dai tempi della guerra civile.

Il processo di ricongiunzione dei due paesi conosce ostacoli e certamente le altre potenze in gioco - Cina, Giappone, Russia e Stati Uniti - avrebbero nella Corea unificata un avversario economicamente competitivo. E pensare che, nella corsa all'organizzazione dei Mondiali 2022, la Corea del Sud si dice pronta a far ospitare alcuni incontri nel Nord.

Forse, allora, è vero: dove la politica divide, lo sport prova ad unire. Con buona pace di Orwell...

Fonti:

(Potete leggere l'articolo anche qui)

2 commenti:

  1. Se le Olimpiadi fermavano la guerra, il pallone può riunire un popolo..ricordo di aver visto l' ultima partita tra le due coree e direi che giocò assai meglio la Corea del Nord, solo la bravura di Lee Won Jae (portiere sudcoreano) e un gol fantasma non assegnato a Jong Tae Se (sarebbe bello raccontare anche la storia del giocatore del Bochum) fecero la differenza! Complimenti veramente per l' articolo! Jacopo

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  2. Carissimo Jacopo,

    con quasi un anno di ritardo (ma meglio tardi che mai) ti rispondo. Lo faccio ringraziandoti e consigliandoti la lettura di "Chollima Football", un blog italiano sul calcio nordcoreano.

    Ci troverai anche questo articolo e, soprattutto, tantissime informazioni sul calcio a nord del 38° parallelo. Ora è diventato anche un libro. Facci un pensierino.

    Simone

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