martedì 7 giugno 2011

Big in Japan - 3



(continua da - 2)

L'epopea delle aziende. C’è una parola che descrive alla perfezione l'intreccio tra sport e industria tipico di questi anni: kanri-yakyu, baseball gestionale.

Il suo teorico è Tetsuji Kawakami, alla guida dei Tōkyō Giants vincitori del titolo nazionale per ben nove anni consecutivi (1965-1973): le sue tecniche di allenamento e di gestione del gruppo sono le stesse del perfetto amministratore delegato di un’azienda.

Incarnando i valori chiave dei samurai come la gerarchia e l'obbedienza, il baseball rimane lo sport più popolare. Frattanto ha inizio una nuova vita per il calcio giapponese: il pallone smette di rotolare nei cortili di scuole ed università e finisce sulle scrivanie degli uffici.

A dar vita alla neonata JSL sono otto squadre che rappresentano i principali comparti dell’industria nazionale, dall’elettronica (Hitachi) ai motori (Mitsubishi, Toyo - poi ribattezzata Mazda - e Toyota), dagli pneumatici (Yanmar) agli istituti di credito (Banca di Nagoya).

Come un'araba fenice, a vincere il campionato è la Toyo Kogyo, squadra di Hiroshima, la città bombardata nell'agosto 1945 dal caccia americano Enola Gay: un vero e proprio motore che non si ingolfa mai, con dodici vittorie, due pareggi e nessuna sconfitta.

È un campionato che nasce con una regola bizzarra, la JSL: tutte le squadre, quando giocano in casa, devono indossare una maglia di colore bianco.

Non mancano curiosità e aneddoti: Saburo Kawabuchi della Furukawa, nel match del 4 luglio contro il Nagoya, diviene il primo calciatore nella storia della JSL a segnare una tripletta, mentre la partita del 10 ottobre tra Yawata Steel e Toyo Kogyo è l'occasione per celebrare il primo anniversario dei Giochi Olimpici di Tōkyō.

La macchina di Hiroshima si trasforma presto in una fuoriserie: in sette anni vince il campionato in ben cinque occasioni e, in due casi, arriva a conquistare persino la Coppa dell’Imperatore.

Sorte simile tocca, nelle varie classifiche marcatori, a Kunishige Kamamoto della Yanmar Diesel: a ragion veduta può essere considerato il miglior attaccante di sempre del calcio giapponese. Per lui parlano, soprattutto, i numeri: 75 i gol segnati in 76 presenze con la nazionale, una media spaventosa.

Inoltre, è il capocannoniere ai Giochi di Città del Messico del 1968, dove i nipponici mettono al collo la medaglia di bronzo. Nel secondo anno di JSL, invece, il centravanti più prolifico è Aritatsu Ogi: per gli europei è un carneade, in patria è diventato un eroe dopo il gol decisivo contro l'Argentina ai Giochi di Tōkyō. 

Il boom economico del Giappone ha delle ricadute anche in ambito sportivo: la JSL si allarga, dal 1972 viene introdotta anche una Seconda Divisione alla quale si iscrivono addirittura dieci squadre. Nell’Olimpo del calcio entrano altri nomi altisonanti come la Fujitsu, colosso dell’informatica, la Nissan, fiore all’occhiello dell’industria automobilistica, e lo Yomiuri Shimbun, il principale quotidiano nazionale.

Ma ad avvicinare le grandi aziende è soprattutto la trasmissione in tv delle partite: il piccolo schermo viene visto come un mezzo per pubblicizzare i propri prodotti. 

Nascono, così, le prime sponsorizzazioni, con il nome Toshiba o Hitachi che finisce sulle divise delle squadre. E mentre Kamamoto si conferma inarrivabile tra i cannonieri, nella JSL si vedono anche i primi stranieri: c'è il brasiliano Carvalho, miglior marcatore nel 1977 con 23 reti, traguardo mai raggiunto dall’attaccante della nazionale. Che rimane l’unico ad essersi aggiudicato l’ambito scettro per sei volte.

Non deve comunque sorprendere che i primi stranieri della JSL siano brasiliani: i rapporti tra i due paesi sono più stretti di quanto si pensi. Agli inizi del XX° secolo il Giappone era in ginocchio: mancavano cibo e lavoro.

Fortuna volle che, in quel momento, il Brasile fosse alla ricerca di manodopera per la coltivazione del caffè: l’accordo tra Tōkyō e San Paolo fu siglato in un battibaleno ed ebbe così inizio una nuova ondata di migrazione verso il Sud America dopo la prima, in direzione Perù. Oggi i brasiliani di origine giapponese - tra cui il calciatore Deco, poi naturalizzato portoghese - sono oltre un milione e mezzo.

Allo stesso modo, Carvalho ed i suoi connazionali sono i pionieri di un flusso migratorio diretto dal Sud America nella terra del Sol Levante: il governo di Tōkyō, dal 1990, consente il libero ingresso a tutti gli stranieri con origini giapponesi, almeno fino alla terza generazione.

Uno di questi è Jorge Yonashiro, attaccante brasiliano che già nel 1972 approda allo Yomiuri Soccer Club. Lo segue, cinque anni dopo, il connazionale Ruy Ramos: indiscussa icona del calcio in Giappone, tanto da prestare il volto per la copertina di un videogioco, nel 1990 diventa selezionabile per la nazionale guidata da Kenzo Yokoyama.

A fine anni Ottanta, poi, la Nissan FC perfeziona l’acquisto di altri due brasiliani, José Oscar Bernardi (per lui un trascorso nei leggendari New York Cosmos) e Wagner Lopes (parteciperà nel 1998 alla storica prima volta del Giappone ai Mondiali).

Non è tutto: Kazu Miura, futuro primo giapponese della Serie A italiana con la maglia del Genoa, agli inizi della carriera si trasferisce in Brasile per migliorare la sua tecnica di gioco. E realizza, così, nel mondo degli umani il sogno che Oliver Hutton cullava in quello a cartoni animati. 

(3- continua)
Fonti:
S. Moffett, "Japanese rules", Yellow Jersey Press, 2002
The J.League official website
Japan soccer archive

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