"A Natale siamo tutti più buoni". Lo pensano anche a Milano in via Turati, alla sede del Milan, in quel lontano 1992. In una città che, pochi mesi prima, è stata bruscamente scossa dallo scoppio dello scandalo di Tangentopoli, i dirigenti rossoneri decidono di coniugare il calcio alla solidarietà. Nasce così l'idea di disputare un'amichevole con fini di beneficenza, invitando una selezione di campioni stranieri, molti dei quali provenienti dalla serie A italiana. Proprio perché l'incontro avrà luogo nel periodo natalizio, con l'intento di aiutare i bisognosi, l'avversario avrà un nome all'altezza della situazione: Christmas Stars.
giovedì 24 dicembre 2009
Stelle (del calcio) di natale
"A Natale siamo tutti più buoni". Lo pensano anche a Milano in via Turati, alla sede del Milan, in quel lontano 1992. In una città che, pochi mesi prima, è stata bruscamente scossa dallo scoppio dello scandalo di Tangentopoli, i dirigenti rossoneri decidono di coniugare il calcio alla solidarietà. Nasce così l'idea di disputare un'amichevole con fini di beneficenza, invitando una selezione di campioni stranieri, molti dei quali provenienti dalla serie A italiana. Proprio perché l'incontro avrà luogo nel periodo natalizio, con l'intento di aiutare i bisognosi, l'avversario avrà un nome all'altezza della situazione: Christmas Stars.
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giovedì 17 dicembre 2009
Il portiere di Siviglia
Dopo la grande epopea del Nottingham Forest e la straordinaria cavalcata dell'Atalanta nella Coppa delle Coppe 1988, ecco il terzo articolo che ho preparato per il sito www.sportvintage.it: si tratta della storia di Helmuth Duckadam, portiere rumeno di origini tedesche.
Nel 1986 fu lui a regalare la Coppa dei Campioni alla Steaua Bucarest: nella finale di Siviglia neutralizzò tutti e quattro i rigori calciati dal Barcellona. Sembrava l''inizio di una carriera luminosa, ma il destino - è proprio il caso di dire - ci mise la sua mano.
Nel 1986 fu lui a regalare la Coppa dei Campioni alla Steaua Bucarest: nella finale di Siviglia neutralizzò tutti e quattro i rigori calciati dal Barcellona. Sembrava l''inizio di una carriera luminosa, ma il destino - è proprio il caso di dire - ci mise la sua mano.
"Il portiere di Siviglia", che potete leggere qui, racconta dunque la sua storia. Una storia, come tutte quelle narrate nel mio blog, a suo modo (stra)ordinaria. Con l'augurio, naturalmente, che possiate trovarla di vostro piacimento.
Qui sotto trovate un video che riassume la grande impresa compiuta da Duckadam.
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domenica 6 dicembre 2009
Il bagno di sangue di Melbourne
che cosa è questa inondazione,
perché si è mosso l'ordine del mondo?
Un popolo ha urlato. Poi fu il silenzio.
Ma ora tanti stanno a chiedere:
di carne ed ossa chi ha fatto legge?
E lo chiedono molti, sempre di più,
perché non lo afferrano proprio
loro che l'hanno avuto in eredità,
ma allora tanto vale la Libertà?"
(Sándor Márai)
Una partita di pallanuoto valevole per il girone finale, quello che mette in palio le medaglie. Una nazionale che mai come questa volta avverte l'obbligo di vincere per i propri compatrioti. L'acqua clorosa della piscina che, improvvisamente, si tinge di un rosso violento. Il pubblico che sostiene a gran voce una sola rappresentativa, quella di un popolo a cui è stata appena inferta una ferita profonda, dolorosa. Melbourne, 3 dicembre 1956. Ungheria-Urss, semifinale del torneo di pallanuoto maschile dei Giochi olimpici, si gioca all'interno di questo scenario, con i magiari che ancora schiumano di rabbia per la maniera brutale con cui i sovietici hanno spento, poche settimane prima, il focolaio della rivoluzione a Budapest.
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mercoledì 18 novembre 2009
La battaglia di Khartoum
Photo: Thedailydischarge.com |
Adua, El Alamein, Algeri... i manuali di storia raccontano di battaglie che hanno avuto l'Africa come scenario. Battaglie che hanno fornito spunti di riflessioni per adattamenti cinematografici, che hanno deciso le sorti di governi nazionali - l'esecutivo di Francesco Crispi cadde proprio in seguito alla sconfitta nel territorio etiope, una sorta di disfatta per antonomasia prima che si verificasse Caporetto - o addirittura di conflitti bellici, come nel caso di El Alamein, scontro cruciale della Seconda Guerra Mondiale.
Oggi verrà aggiunto un nuovo capitolo sui libri di storia: la battaglia di Khartoum. La capitale del Sudan è stata designata quale teatro dello spareggio tra Egitto ed Algeria per la qualificazione ai prossimi Mondiali di calcio in Sud Africa.
Giornalismo sportivo e lessico militare, spesso, incrociano le proprie strade: si è soliti udire o leggere di "bombe da tre punti", di "missili terra-aria" che si infilano sotto la traversa, di maldestri attaccanti che "sparano" addosso al portiere avversario, intento a "proteggere il suo fortino".
Si narra, inoltre, che l'usanza del tutto calcistica della fascia indossata dal capitano sia stata mutuata proprio dal mondo militare: pare che l'ispiratore sia stato un generale inglese impegnato sul fronte durante la Prima Guerra Mondiale. E, in un celebre saggio, lo scrittore George Orwell arrivò ad asserire che lo sport altro non è se un'imitazione della guerra.
Nel caso di Egitto-Algeria le due strade si sono, ancora una volta, incontrate...
lunedì 16 novembre 2009
Tipi da spiaggia
Una domanda: quanti di voi sanno dell'esistenza dei Mondiali di calcio in spiaggia, o meglio, di beach soccer? La manifestazione non è certo delle più longeve: quella che inizia oggi a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, è la quinta edizione che si svolge sotto l'egida della Fifa. Il meccanismo è identico a quello dell'assai più celebre Coppa del Mondo di calcio, con una comprensibile riduzione delle squadre partecipanti (l'esatta metà): in ogni continente si disputano i gironi di qualificazione. Tuttavia, esisteva già qualcosa di simile negli anni precedenti, pur senza il riconoscimento del massimo organo calcistico...
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giovedì 12 novembre 2009
L'Atalanta, dalla B all'Europa
Possibile che una squadra di calcio possa retrocedere dalla massima serie del proprio paese e, l'anno successivo, partecipare nientemeno che ad una coppa europea? Possibilissimo. Per partecipare alla defunta Coppa delle Coppe, infatti, era necessario vincere la propria coppa nazionale, indipendentemente dai risultati conseguiti in campionato.
Ed è proprio quello che accadde, nella stagione 1986-87, all'Atalanta: la squadra bergamasca fu relegata in serie B ma, nel contempo, arrivò in finale di Coppa Italia. Qui fu sconfitta dal Napoli di Maradona, fresco vincitore dello scudetto: i partenopei avrebbero partecipato alla Coppa dei Campioni. L'Italia, però, avrebbe dovuto comunque iscrivere una propria squadra alla Coppa delle Coppe. E così, come da regolamento, il diritto di partecipazione passò dal Napoli campione d'Italia all'Atalanta retrocessa. Gli orobici, tuttavia, non recitarono il ruolo di rincalzo e si fermarono alle porte della finale. In questo articolo, pubblicato sul sito SportVintage, vengono ripercorse tutte le tappe di quella magnifica cavalcata.
Buona lettura a tutti.
Simone
lunedì 9 novembre 2009
Il gol che fece scricchiolare il muro
Oggi, 9 novembre, è una data particolarmente importante nella millenaria storia dell'uomo. Per la Germania, in particolare, il 9 novembre ha una duplice valenza. Fu il giorno in cui, nel lontano 1918, fu ufficialmente proclamata la Repubblica di Weimar: era la prima forma di governo repubblicana in un territorio che, fino alla sconfitta patita durante la Prima Guerra Mondiale, era stato sotto il dominio di un imperatore.
Ma è un altro 9 novembre ad essere letteralmente scolpito nella memoria dei tedeschi e di una larga porzione di mondo: nel 1989 venne abbattuto il Muro di Berlino. Un evento, questo sì, davvero epocale: assieme a quella barriera in cemento che ha tagliato la città per 28 anni crollò anche l'Unione Sovietica e, con essa, il comunismo nell'Est Europa.
Oggi, 9 novembre, ricorre dunque il ventesimo anniversario della caduta del Berliner Mauer. Come è già accaduto - e come accadrà in seguito - nel recente passato, intendo celebrare a modo mio la ricorrenza. Ovvero raccontando un episodio che intreccia sport, storia e tanto altro ancora...
Ma è un altro 9 novembre ad essere letteralmente scolpito nella memoria dei tedeschi e di una larga porzione di mondo: nel 1989 venne abbattuto il Muro di Berlino. Un evento, questo sì, davvero epocale: assieme a quella barriera in cemento che ha tagliato la città per 28 anni crollò anche l'Unione Sovietica e, con essa, il comunismo nell'Est Europa.
Oggi, 9 novembre, ricorre dunque il ventesimo anniversario della caduta del Berliner Mauer. Come è già accaduto - e come accadrà in seguito - nel recente passato, intendo celebrare a modo mio la ricorrenza. Ovvero raccontando un episodio che intreccia sport, storia e tanto altro ancora...
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giovedì 29 ottobre 2009
L'epopea del Nottingham Forest
Quando, lo scorso maggio, aprii questo blog, non avrei immaginato che in breve tempo mi avrebbe aperto altre porte. Poco più di due settimane fa, sono stato contattato da Giuseppe, direttore responsabile del sito www.sportvintage.it. Ha letteralmente pescato il mio blog nella sconfinata rete di Internet e mi ha proposto una collaborazione con il suo sito che racconta storie dello sport del tempo che fu: ho accettato ben volentieri ed il seguente articolo segna l'inizio di questa collaborazione.
Ho iniziato da una storia che mi ha sempre affascinato e che ho avuto modo di approfondire grazie alla stesura di questo articolo: la grande epopea del Nottingham Forest, una modesta squadra della serie B inglese che in tre anni arriverà a vincere nientemeno che la prestigiosa Coppa dei Campioni. Potete trovarlo qui: buona lettura a tutti gli internauti.
Simone
Simone
mercoledì 28 ottobre 2009
Lo sport secondo Noam Chomsky
È davvero con grande piacere che pubblico oggi su questo blog un contributo sui rapporti tra sport e potere firmato da Noam Chomsky. Difficile descrivere in poche righe la sua figura: viene innanzitutto ricordato come uno dei maggiori linguisti del XX° secolo, essendo il padre della teoria della grammatica generativa ed insegnante di linguistica al prestigioso MIT (Massachussets Institute of Technology) di Boston. Ma è anche un grande filosofo e teorico della comunicazione: spesso i suoi studi si sono concentrati sul ruolo giocato dai mass media nelle democrazie occidentali, nella costruzione e nel mantenimento del consenso da parte di chi detiene il potere. Al tempo stesso, è uno degli intellettuali che gode - specie negli ambienti della sinistra radicale - di maggior credito negli Stati Uniti e nel mondo, paladino della libertà di pensiero e fiero oppositore delle politiche imperialiste condotte, per lungo tempo, non solo dal suo paese. Nel libro "Capire il potere", edito in Italia da ilSaggiatore, spiega come i media abbiano tentato di contrastare un certo attivismo politico e, soprattutto, come abbiano determinato il nostro modo di pensare: un paragrafo ("Sport spettacolo") è dedicato proprio allo sport e all'uso strumentale che ne ha fatto - e ne fa - il potere politico. Qui trovate il testo originale in lingua inglese.
Il contributo di Chomsky, per certi versi, non è dissimile da quello che scrisse George Orwell oltre mezzo secolo fa nel suo saggio "The Sporting Spirit". Si può naturalmente dissentire da entrambi, ma credo che non si possa fare a meno di leggere il loro pensiero sul fenomeno sport.
giovedì 22 ottobre 2009
Goodwill Games, le Olimpiadi della distensione - 2
La storia ha poi scombussolato i piani dell'imprenditore-filantropo: pochi mesi prima è caduto il muro a Berlino. Pare che i Goodwill Games non abbiano più ragion di esistere.
Venuti meno le motivazioni a partecipare e l'obbligo di obbedire agli ordini dei rispettivi governi, sono gli atleti stessi dell'Est europeo a declinare personalmente l'invito di Turner. Tuttavia, i Goodwill Games resistono e continuano ad essere una manifestazione sportiva di grande rilievo: vengono trasmessi in 81 paesi, oltre 1.100 giornalisti sono inviati a Seattle.
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mercoledì 21 ottobre 2009
Goodwill Games, le Olimpiadi della distensione - 1
Non è stato semplicemente un confronto a distanza, peraltro mai sfociato nel conflitto bellico, tra due grandi paesi, tra due potenze economiche. Bensì tra due mondi, due grandi ideologie del Novecento, due sistemi economici contrapposti (capitalismo e statalismo).
La guerra fredda tra Urss e Usa - citate in ordine rigorosamente alfabetico - ha segnato in maniera inesorabile la seconda metà del secolo scorso, almeno fino alla caduta del muro di Berlino ed al conseguente crollo del sistema sovietico, e si sviluppò anche in ambito militare, spaziale, tecnologico.
Non solo: ogni volta che atleti delle due nazioni si affrontavano, la competizione trascendeva dal suo mero significato sportivo. Così è stato nell'atletica leggera, nelle discipline natatorie, nella pallacanestro, negli sport invernali.
Eppure ci fu chi, ispirandosi ai suoi valori universali e alla sua funzione di unificatore delle nazioni, si adoperò per ridurre le distanze tra quei due mondi così vicini geograficamente, separati appena appena dallo stretto di Bering, eppure così lontani per cultura, ideologia, politica economica...
sabato 19 settembre 2009
Cenerentola danza l'ultimo ballo - 2
(continua da - 1)
La final four. Da una parte si scontrano le principali candidate alla vittoria finale (Houston e Louiseville), dall'altra si giocano un posto per la finalissima due autentiche rivelazioni come North Carolina State e la matricola Georgia, al primo anno di partecipazione al torneo NCAA.
Nella prima semifinale i "Phi Slama Jama", espressione coniata da Thomas Bonk dello Houston Post, battono i "Doctors of Dunk" con il risultato di 94-81: entrambe le squadre sciorinano una pallacanestro molto offensiva, entrambe brillano nel gioco aereo. Non a caso Houston è chiamata la "confraternita della schiacciata", mentre Louisville schiera i "dottori della schiacciata": i texani ne mettono a segno tredici, gli avversari si fermano a quota sei.
venerdì 18 settembre 2009
Cenerentola danza l'ultimo ballo - 1
Tranquilli, non sono impazzito. Il titolo di questo post è assolutamente fuorviante: il sottoscritto non ha deciso di dedicarsi, improvvisamente, ai cartoni animati di Walt Disney (per quanto siano pellicole che hanno scandito gli anni della mia infanzia e che, quando capita, rivedo in preda alla nostalgia).
Si tratta di una frase coniata da alcuni giornali statunitensi per raccontare quella che oltre l'Atlantico viene ricordata come la più grande sorpresa nella storia dello sport americano: la vittoria di North Carolina State nel torneo NCAA - ovvero il più importante campionato nazionale di pallacanestro dedicato ai college - del 1983.
Ma il post odierno è una storia nella storia: a margine della grande impresa di North Carolina State c'è, infatti, quella del suo leggendario allenatore.
venerdì 11 settembre 2009
L'attaccante che non salutava Pinochet
http://footballjourney1.blogspot.com |
Com'era altrettanto prevedibile, meno spazio è stato dedicato dai media ad un'altra triste ricorrenza: l'11 settembre del 1973 il generale Augusto Pinochet, con la compiacenza degli Stati Uniti, prendeva il potere in Cile con un golpe militare nel corso del quale morì il presidente della Repubblica, democraticamente eletto tre anni prima, Salvador Allende.
Quel giorno i golpisti circondarono e sganciarono le bombe sulla Moneda, il palazzo presidenziale, con dei caccia Hawker Hunter fabbricati nel Regno Unito: si aprì in questo modo una delle pagine più tristi nella storia del Cile e del Sud America. Il coinvolgimento diretto degli Usa nell'operazione militare non è mai stato provato (qui trovate un interessante dossier al riguardo), tuttavia l'allora presidente Nixon e, soprattutto, il segretario di Stato Kissinger non nascosero la loro avversione al governo di Allende, una sorta di "incubo socialista". Nello stesso anno Kissinger venne insignito di un discutibile premio Nobel per la pace.
Anche io voglio ricordare, a modo mio, l'11 settembre "dimenticato". Con una storia che intreccia lo sport - il calcio, in questo caso - e la politica: è la storia di Carlos Humberto Caszely Garrido, per lungo tempo miglior marcatore nella storia della Nazionale cilena, e di un incontro per le qualificazioni ai Mondiali a dir poco surreale.
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martedì 1 settembre 2009
La vittoria dei Carneadi
"Carneade, chi era costui?": sono le parole pronunciate da Don Abbondio all'inizio dell'ottavo capitolo dei "Promessi sposi" mentre, sfogliando le pagine del panegirico in onore di San Carlo Borromeo, si imbatte nel nome di questo (per lui) sconosciuto filosofo della Grecia antica. Grazie ad Alessandro Manzoni, il termine "carneade" viene tuttora utilizzato in riferimento a persone ignote o poco conosciute. Quella che vado a raccontarvi oggi è una storia che narra della rivincita di alcuni carneadi, avvenuta esattamente tre anni fa. Guarda caso, coinvolge un gruppo di greci. Greci, proprio come lo era Carneade...
Saitama, 1 settembre 2006. Nella terra del Sol Levante, all'interno dell'area metropolitana di Tokyo, si giocano le semifinali dei quindicesimi Campionati mondiali di pallacanestro maschile: è la prima volta che alla manifestazione hanno partecipato ventiquattro squadre, suddivise in quattro gironi. Tra le prime quattro al mondo sono arrivate l'Argentina campionessa in carica ai Giochi olimpici, la Grecia fresca di alloro continentale dell'anno prima, la rampante Spagna e gli Stati Uniti, il "Dream Team" che tuttavia non appare più così imbattibile.
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mercoledì 26 agosto 2009
"Lo spirito sportivo" di George Orwell
Chissà, forse direte che sono un sognatore, tanto per citare John Lennon. Però non credo di essere l'unico, sempre per citare John Lennon. Sono fortemente convinto del fatto che lo sport possa contribuire ad abbattere certe barriere (culturali, ideologiche, linguistiche, religiose) tra le nazioni, specialmente laddove non scorre buon sangue tra loro.
D'altro canto, però, non sono mancati episodi che sembrerebbero avvalorare la tesi opposta, e cioè che lo sport sia motivo di contrasto, di ostilità, anziché di unione. Tra i sostenitori di questa tesi c'è anche un nome illustre: George Orwell, autore di romanzi che hanno fatto la storia della letteratura come "La fattoria degli animali" e "1984". Lo scrittore inglese, in particolare, osservava come lo sport moderno fosse uno dei tanti prodotti delle cause che avevano portato alla nascita del nazionalismo: in sostanza, sostenne Orwell, molte manifestazioni sportive scatenano la violenza tra gruppi opposti, come ad esempio le tifoserie.
Tutte queste considerazioni appaiono in un saggio intitolato "The Sporting Spirit", pubblicato il 14 dicembre 1945 su Tribune, settimanale inglese di orientamento socialdemocratico. Per quanto io ami Orwell e i suoi due capolavori sopraccitati, non sono così pessimista come lui. Forse nelle sue parole riecheggia l'asprezza degli anni del nazionalismo, dei nazionalismi, che hanno prodotto una serie di dittature oramai tristemente note a tutti. O forse ha fatto l'ennesima profezia...
D'altro canto, però, non sono mancati episodi che sembrerebbero avvalorare la tesi opposta, e cioè che lo sport sia motivo di contrasto, di ostilità, anziché di unione. Tra i sostenitori di questa tesi c'è anche un nome illustre: George Orwell, autore di romanzi che hanno fatto la storia della letteratura come "La fattoria degli animali" e "1984". Lo scrittore inglese, in particolare, osservava come lo sport moderno fosse uno dei tanti prodotti delle cause che avevano portato alla nascita del nazionalismo: in sostanza, sostenne Orwell, molte manifestazioni sportive scatenano la violenza tra gruppi opposti, come ad esempio le tifoserie.
Tutte queste considerazioni appaiono in un saggio intitolato "The Sporting Spirit", pubblicato il 14 dicembre 1945 su Tribune, settimanale inglese di orientamento socialdemocratico. Per quanto io ami Orwell e i suoi due capolavori sopraccitati, non sono così pessimista come lui. Forse nelle sue parole riecheggia l'asprezza degli anni del nazionalismo, dei nazionalismi, che hanno prodotto una serie di dittature oramai tristemente note a tutti. O forse ha fatto l'ennesima profezia...
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martedì 4 agosto 2009
I trofei scomparsi: la Parmalat Cup
Photo: Palabradecapitán.blogspot.com |
Fu un torneo che seguii con particolare interesse. Forse perché era palesemente legato alla mia squadra del cuore, il Parma. Forse perché era la prima volta che potevo veder giocare assieme, con la maglia della mia squadra, due calciatori che considero tra i miei preferiti in assoluto: Gianfranco Zola e Hristo Stoičkov.
Tra i molteplici tornei di calcio estivi oramai defunti c’è anche la Parmalat Cup: come si intuisce facilmente dal nome, era una manifestazione promossa dal colosso di Collecchio e al quale prendevano parte squadre sponsorizzate dall’azienda di Calisto Tanzi.
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mercoledì 22 luglio 2009
L'Eusebio della spiaggia
Un incidente in moto, all’età di 17 anni, che compromette la sua ascendente carriera nel calcio portoghese. Poi il suggerimento, da parte di un caro amico, di provare a ricominciare dal calcio in spiaggia e, successivamente, l’invito di João Barnabé a far parte della nazionale di beach soccer.
Nasce così il mito di João Vitor Saraiva Tavares, meglio conosciuto come Madjer, il più forte giocatore al mondo di beach soccer: il gigante portoghese è una delle stelle del campionato italiano di calcio in spiaggia ed è il punto di forza dei Cavalieri del Mare di Viareggio.
Nasce così il mito di João Vitor Saraiva Tavares, meglio conosciuto come Madjer, il più forte giocatore al mondo di beach soccer: il gigante portoghese è una delle stelle del campionato italiano di calcio in spiaggia ed è il punto di forza dei Cavalieri del Mare di Viareggio.
giovedì 16 luglio 2009
Storia dei Mondiali di nuoto - 12
Per la dodicesima edizione dei Mondiali di nuoto, una sorta di preparazione per l'anno successivo ai tanto discussi Giochi olimpici di Pechino, la FINA si affida per la terza volta all'Australia: dopo aver ripiegato in due occasioni su Perth, per l'edizione 2007 ci si sposta sull'altro versante, più precisamente a Melbourne. E' un appuntamento contrassegnato da record e curiosità: è il primo Mondiale che si svolge in primavera, dal 17 marzo al 1° aprile (anche se in Australia è periodo autunnale, ma anche in questo caso si tratta di un evento senza precedenti). E, soprattutto, è quello con il maggior numero di partecipanti nella storia della manifestazione: a Melbourne sono presenti ben 2.158 atleti, provenienti da 167 diversi paesi. Vi assistono, inoltre, circa 215mila spettatori, record di sempre per i Mondiali delle discipline acquatiche.
mercoledì 15 luglio 2009
Storia dei Mondiali di nuoto - 11
Dall'Europa al Nord America, che ancora non ha avuto l'onore di ospitare la rassegna: due anni dopo Barcellona, nel 2005, i Mondiali di nuoto approdano a Montréal, in Canada. Rispetto all'edizione precedente, il numero di atleti partecipanti precipita vertiginosamente: dai 2.015 della Catalogna si passa ai 1.784 nel Québec. La manifestazione si svolge dal 16 al 31 luglio sull'isola di Saint Helen nel parco intitolato a Jean Drapeau, il sindaco che nel 1976 portò i Giochi olimpici in città. Al pari di Fukuoka e Barcellona, anche quella di Montréal sarà un'edizione costellata da vecchie conoscenze e nuovi volti delle discipline acquatiche.
martedì 14 luglio 2009
Storia dei Mondiali di nuoto - 10
La decisione della FINA è oramai definitiva: i Mondiali di nuoto si svolgeranno ogni due anni. E così, dopo due edizioni passate lontano dall'Europa, nel 2003 la manifestazione fa nuovamente rotta verso il Vecchio Continente: per la terza volta consecutiva non sarà una capitale ad ospitare i Mondiali. Il massimo organo delle discipline natatorie sceglie Barcellona: la Spagna diventa così l'unico paese, al pari dell'Australia, ad accogliere una seconda volta le stelle mondiali del nuoto. Ma, al tempo stesso, diventa anche il primo paese a farlo con due città diverse, Madrid e Barcellona. Quella catalana passerà alla storia come l'edizione con il più alto numero di atleti partecipanti (2.015): per l'occasione, poi, viene eccezionalmente allestita una piscina all'interno del Palau Sant Jordi, casa della squadra di basket del Barcellona. La manifestazione si svolge dal 12 al 27 luglio.
lunedì 13 luglio 2009
Storia dei Mondiali di nuoto - 9
I Mondiali di nuoto entrano nel nuovo millennio e la FINA, questa volta, pare seriamente intenzionata a dare alla manifestazione una struttura da mantenere inalterata nel tempo: sarà infatti a partire dalla nona edizione, disputatasi nel 2001 in Giappone, a Fukuoka, che i Mondiali si svolgeranno ad intervalli regolari (e negli anni dispari). Una sorta di ritorno alle origini: tra un'edizione e la successiva passeranno due anni, così come per i Mondiali in vasca corta (in programma, invece, negli anni pari). Le stelle del nuoto approdano così in Estremo Oriente per la prima volta: l'Asia diventa il quarto continente ad ospitare la rassegna iridata. A Fukuoka si danno appuntamento dal 16 al 29 luglio 1.498 atleti, provenienti da 134 federazioni nazionali diverse: i numeri testimoniano la crescita dei Mondiali di nuoto.
domenica 12 luglio 2009
Storia dei Mondiali di nuoto - 8
Per la seconda volta consecutiva, i Mondiali di nuoto riprendono ad avere la medesima cadenza quadriennale del corrispondente calcistico. E così, dal 1994 di Roma, si passa al 1998 di Perth: a soli sette anni dalla sesta edizione, dunque, la principale città dell'Australia occidentale ospita nuovamente i Mondiali delle discipline natatorie per mancanza di altre città candidate. Ancora una volta si nuota in inverno, dall'8 al 17 gennaio. Rispetto all'edizione di Roma i sospetti di doping delle nuotatrici cinesi diventano concreta realtà: alcune di loro vengono infatti rispedite a casa una volta trovate in possesso di sostanze illecite all'aeroporto di Perth.
sabato 11 luglio 2009
Storia dei Mondiali di nuoto - 7
Niente da fare: la FINA cambia ancora una volta idea sull'intervallo di tempo da far osservare ai Mondiali di nuoto tra un'edizione e la successiva. Questa volta gli anni di distanza si riducono, anziché aumentare: dai cinque che separano l'edizione di Madrid da quella di Perth si passa ai tre che intercorrono tra la città australiana e Roma, designata ad ospitare la rassegna intercontinentale dal 1° all'11 settembre 1994. Gli atleti partecipanti aumentano ancora: con la settima edizione viene toccata quota 1.400. L'anno prima, poi, la FINA ha introdotto un'altra competizione sovranazionale: i Mondiali in vasca corta (25 metri), riservati esclusivamente al nuoto. Quella nella Città eterna passerà alla storia come la prima edizione su cui incombe l'ombra dei sospetti di doping: le indiziate principali sono le nuotatrici cinesi, la cui corporatura fin troppo mascolina non sembra solamente il frutto di duri allenamenti in piscina.
venerdì 10 luglio 2009
Storia dei Mondiali di nuoto - 6
Proprio quando l'evento inizia ad avere una sua struttura consolidata - cadenza quadriennale, in corrispondenza dei Mondiali di calcio - la FINA decide di stravolgere ancora una volta la situazione: e così la sesta edizione dei Mondiali di nuoto si tiene nel 1991, un anno dopo quelli calcistici in Italia. E' la prima rassegna che si svolge in inverno (dal 3 al 13 gennaio) anziché in estate: questo perché la scelta della FINA cade su un paese collocato a sud dell'Equatore. E' Perth, città dell'Australia, terra di grandi nuotatori, la sede prescelta: dopo Europa e Sud America, dunque, l'Oceania diventa il terzo continente ad ospitare i Mondiali di nuoto.
giovedì 9 luglio 2009
Storia dei Mondiali di nuoto - 5
Il canovaccio resta il medesimo, anche per la quinta edizione dei Mondiali di nuoto targati FINA: la perfetta alternanza tra Europa e Sudamerica viene ancora una volta rispettata e, dopo Belgrado e Berlino, è ora il turno di Madrid. Per la terza volta, la massima competizione mondiale degli sport acquatici si svolge lo stesso anno dell'equivalente calcistico: è il 1986. Per la prima volta nella storia della rassegna, il numero di atleti supera la soglia delle mille unità: 1.119 partecipanti si danno appuntamento dal 13 al 23 agosto nelle piscine della capitale spagnola. Un aumento giustificato dall'introduzione di nuove gare: nel nuoto si assegnano le prime medaglie nei 50 metri stile libero, mentre nella pallanuoto al torneo maschile viene affiancato per la prima volta quello femminile.
Per gli Stati Uniti si è oramai esaurito il filone dorato: i nuotatori yankees continuano a mietere successi, ma gli anni dei trionfi a mani basse sono davvero lontani nel tempo. E' comunque americano il primo vincitore mondiale dei 50 stile libero: Tom Jager precede l'elvetico Dano Halsall ed il connazionale Matt Biondi, tra i più prolifici della spedizione Usa con due bronzi e tre ori (tra cui quello dei 100 stile libero, la regina delle gare natatorie). Quello di Biondi (nella foto a destra) è un nome destinato a rimanere inciso per sempre nella storia del nuoto: ai Giochi di Seul, infatti, eguaglia il record di Mark Spitz di medaglie conquistate in una sola edizione (sette, seppur non tutte del metallo più prestigioso). Oggi Biondi è insegnante di matematica in una scuola delle Hawaii ed ha prestato il suo volto per campagne informative contro la malnutrizione e l'analfabetismo. Il mondiale madrileno conferma, poi, il tedesco Michael Gross quale signore dei 200 stile libero e dei 200 farfalla: lo emulano il connazionale Rainer Henkel (nei 400 e nei 1500 stile libero è lui a riempire il vuoto lasciato da Vladimir Sal'nikov), il dorsista sovietico Igor Poljanskij (100 e 200 metri) ed il magiaro Támas Darnyi, senza rivali nei 200 e 400 misti.
Tra le donne lo strapotere della Germania Est raggiunge livelli che rasentano la perfezione: solo la rumena Tamara Costache nei 50 stile libero e le statunitensi Betsy Mitchell (100 dorso) e Mary T. Meagher (200 farfalla) impediscono alle tedesche di fare bottino pieno. Kristin Otto è nuovamente tra le protagoniste principali con due ori individuali e due con la staffetta: salgono alla ribalta anche Heike Friedrich (i 200 ed i 400 stile libero sono affar suo), Sylvia Gerasch (oro e record mondiale nei 100 rana) e Silke Hörner, vincitrice dei 200 rana con tanto di nuovo primato: proprio in queste due distanze Tania Bogomilova regala le prime medaglie alla Bulgaria. Non hanno storia le tre diverse distanze della staffetta: in tutti i casi la Germania Est polverizza le nazioni concorrenti.
Diversamente da Guayaquil, questa volta il nuoto sincronizzato ha una sola, indiscussa padrona: il Canada. Carolyn Waldo e Michelle Cameron, assieme alle altre compagne di squadra, contribuiscono alla storica tripletta del paese nordamericano che, per la prima volta, batte i cugini statunitensi in tutte e tre le competizioni. Fino a quel momento, poi, erano sempre stati Usa, Canada e Giappone a salire sul podio: nella competizione individuale, però, i nipponici restano fuori dal podio, a vantaggio di una nazione che mai aveva conquistato medaglie nel sincronizzato. Il merito è tutto della francese Muriel Hermine, il cui bronzo ha un peso ben più grande di quello prettamente fisico (nella foto a sinistra, mentre riceve la storica medaglia). Nei tuffi, Greg Louganis lascia il vuoto alle sue spalle nel trampolino da 3 metri e nella piattaforma da 10 metri: in campo femminile, invece, il mondo conosce volti sconosciuti, dagli occhi a mandorla. Parte infatti da Madrid la parabola ascendente dei tuffatori e delle tuffatrici cinesi: Gao Min trionfa dal trampolino, Chen Lin è invece la nuova regina della piattaforma.
Tante novità nella pallanuoto: al torneo maschile prendono parte quindici squadre, anziché le canoniche sedici. E, soprattutto, c'è l'esperienza inedita delle nazionali femminili. Tra gli uomini il Settebello si riscatta dalla figuraccia di Guayaquil, chiudendo con un onorevole argento: Madrid incorona per la prima volta la Yugoslavia, nella cui squadra figurano numerosi giocatori che faranno strada anche nel nostro campionato. E' il caso di Dani Lusić (croato, protagonista con la calottina dell'Ortigia Siracusa), di Dubravko "Dudo" Šimenc (croato pure lui, in Italia ha giocato con sette squadre diverse) e di Mirko Vicević (montenegrino, ha vissuto gli anni più belli a Savona), campioni olimpici due anni dopo a Seoul.
Prima volta della pallanuoto in rosa ai Mondiali di nuoto: a trionfare è l'Australia che vince tutte le nove gare disputate. Al secondo posto una nazione europea con grandi tradizioni, l'Olanda, trascinata dai gol di Alice Lindhout (26 reti che le valgono il titolo di capocannoniere), agli Stati Uniti la medaglia di bronzo.
Fonti:
http://en.wikipedia.org/
http://it.wikipedia.org/
HistoFINA - Vol. VIII
L'Enciclopedia delle Olimpiadi - ed. La Gazzetta dello Sport (vol. I-II)
Per gli Stati Uniti si è oramai esaurito il filone dorato: i nuotatori yankees continuano a mietere successi, ma gli anni dei trionfi a mani basse sono davvero lontani nel tempo. E' comunque americano il primo vincitore mondiale dei 50 stile libero: Tom Jager precede l'elvetico Dano Halsall ed il connazionale Matt Biondi, tra i più prolifici della spedizione Usa con due bronzi e tre ori (tra cui quello dei 100 stile libero, la regina delle gare natatorie). Quello di Biondi (nella foto a destra) è un nome destinato a rimanere inciso per sempre nella storia del nuoto: ai Giochi di Seul, infatti, eguaglia il record di Mark Spitz di medaglie conquistate in una sola edizione (sette, seppur non tutte del metallo più prestigioso). Oggi Biondi è insegnante di matematica in una scuola delle Hawaii ed ha prestato il suo volto per campagne informative contro la malnutrizione e l'analfabetismo. Il mondiale madrileno conferma, poi, il tedesco Michael Gross quale signore dei 200 stile libero e dei 200 farfalla: lo emulano il connazionale Rainer Henkel (nei 400 e nei 1500 stile libero è lui a riempire il vuoto lasciato da Vladimir Sal'nikov), il dorsista sovietico Igor Poljanskij (100 e 200 metri) ed il magiaro Támas Darnyi, senza rivali nei 200 e 400 misti.
Tra le donne lo strapotere della Germania Est raggiunge livelli che rasentano la perfezione: solo la rumena Tamara Costache nei 50 stile libero e le statunitensi Betsy Mitchell (100 dorso) e Mary T. Meagher (200 farfalla) impediscono alle tedesche di fare bottino pieno. Kristin Otto è nuovamente tra le protagoniste principali con due ori individuali e due con la staffetta: salgono alla ribalta anche Heike Friedrich (i 200 ed i 400 stile libero sono affar suo), Sylvia Gerasch (oro e record mondiale nei 100 rana) e Silke Hörner, vincitrice dei 200 rana con tanto di nuovo primato: proprio in queste due distanze Tania Bogomilova regala le prime medaglie alla Bulgaria. Non hanno storia le tre diverse distanze della staffetta: in tutti i casi la Germania Est polverizza le nazioni concorrenti.
Diversamente da Guayaquil, questa volta il nuoto sincronizzato ha una sola, indiscussa padrona: il Canada. Carolyn Waldo e Michelle Cameron, assieme alle altre compagne di squadra, contribuiscono alla storica tripletta del paese nordamericano che, per la prima volta, batte i cugini statunitensi in tutte e tre le competizioni. Fino a quel momento, poi, erano sempre stati Usa, Canada e Giappone a salire sul podio: nella competizione individuale, però, i nipponici restano fuori dal podio, a vantaggio di una nazione che mai aveva conquistato medaglie nel sincronizzato. Il merito è tutto della francese Muriel Hermine, il cui bronzo ha un peso ben più grande di quello prettamente fisico (nella foto a sinistra, mentre riceve la storica medaglia). Nei tuffi, Greg Louganis lascia il vuoto alle sue spalle nel trampolino da 3 metri e nella piattaforma da 10 metri: in campo femminile, invece, il mondo conosce volti sconosciuti, dagli occhi a mandorla. Parte infatti da Madrid la parabola ascendente dei tuffatori e delle tuffatrici cinesi: Gao Min trionfa dal trampolino, Chen Lin è invece la nuova regina della piattaforma.
Tante novità nella pallanuoto: al torneo maschile prendono parte quindici squadre, anziché le canoniche sedici. E, soprattutto, c'è l'esperienza inedita delle nazionali femminili. Tra gli uomini il Settebello si riscatta dalla figuraccia di Guayaquil, chiudendo con un onorevole argento: Madrid incorona per la prima volta la Yugoslavia, nella cui squadra figurano numerosi giocatori che faranno strada anche nel nostro campionato. E' il caso di Dani Lusić (croato, protagonista con la calottina dell'Ortigia Siracusa), di Dubravko "Dudo" Šimenc (croato pure lui, in Italia ha giocato con sette squadre diverse) e di Mirko Vicević (montenegrino, ha vissuto gli anni più belli a Savona), campioni olimpici due anni dopo a Seoul.
Prima volta della pallanuoto in rosa ai Mondiali di nuoto: a trionfare è l'Australia che vince tutte le nove gare disputate. Al secondo posto una nazione europea con grandi tradizioni, l'Olanda, trascinata dai gol di Alice Lindhout (26 reti che le valgono il titolo di capocannoniere), agli Stati Uniti la medaglia di bronzo.
Fonti:
http://en.wikipedia.org/
http://it.wikipedia.org/
HistoFINA - Vol. VIII
L'Enciclopedia delle Olimpiadi - ed. La Gazzetta dello Sport (vol. I-II)
mercoledì 8 luglio 2009
Storia dei Mondiali di nuoto - 4
Quarta volta dei Mondiali di nuoto ed ecco che l'intervallo di tempo tra un'edizione e la successiva cambia nuovamente: adesso la competizione segue la stessa cadenza del corrispondente calcistico, dal 1978 si passa direttamente al 1982. Con una curiosa inversione: nel caso della Coppa del mondo l'organizzazione era toccata prima al Sudamerica (Argentina, vincitrice per la prima volta) e poi all'Europa (Spagna, con gli azzurri di Bearzot campioni), negli sport acquatici invece l'ecuadoregna Guayaquil succede a Berlino. Sono 848 gli atleti partecipanti, venti in più rispetto all'edizione tedesca.
martedì 7 luglio 2009
Storia dei Mondiali di nuoto - 3
La terza edizione dei Mondiali di nuoto organizzati dalla FINA segna una prima svolta: a differenza della rassegna di Cali, infatti, questa non si svolge a due anni di distanza dalla precedente. Si torna dunque in acqua nel 1978 e, ancora una volta, è una grande città europea il luogo designato ad ospitare i maggiori esponenti mondiali del nuoto, dal 20 al 28 agosto: Berlino. Nella città divisa dal muro approdano 828 atleti, ben 142 in più rispetto all'edizione precedente, mentre il numero di competizioni rimane immutato.
lunedì 6 luglio 2009
Storia dei Mondiali di nuoto - 2
Passano esattamente due anni dall'edizione pilota di Belgrado e la FINA decide di riproporre i Mondiali degli sport acquatici: è il 1975 e questa volta è il Sud America ad ospitare le stelle del nuoto, della pallanuoto, del sincronizzato e dei tuffi. La seconda edizione dei Mondiali va in scena a Cali, in Colombia, dal 19 al 27 luglio ed è un piccolo passo indietro rispetto a Belgrado: vi prendono parte 682 atleti e, soprattutto, si riduce bruscamente il numero dei paesi coinvolti (da 47 scende a 39).
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domenica 5 luglio 2009
Storia dei Mondiali di nuoto - 1
Inizia oggi un viaggio - che spero troverete di vostro gradimento - nella storia dei Mondiali di nuoto: l'occasione mi viene presentata dall'imminente apertura della 13a edizione, in programma a Roma dal 17 luglio al 2 agosto.
A differenza del corrispondente calcistico, i Mondiali di nuoto (o meglio, delle discipline natatorie) sono piuttosto giovani di età: la prima edizione si svolse solamente nel 1973. Diversamente dagli europei, qui sono rappresentati tutti gli sport legati all'acqua e alla piscina: nuoto, certamente, ma anche nuoto di fondo, pallanuoto, sincronizzato e tuffi.
Questo viaggio parte, dunque, dalla prima edizione...
Corre l'anno 1973 e, per la prima volta, la FINA (il massimo organo mondiale che disciplina gli sport acquatici) decide di dare vita ai Mondiali di nuoto e delle discipline affini, fino a quel momento protagoniste solamente in occasione dei Giochi olimpici: a celebrare lo storico battesimo è Belgrado, capitale della Yugoslavia, dal 31 agosto al 9 settembre. Dieci giorni di sfide in piscina che coinvolgono 686 atleti, provenienti da 47 diversi paesi.
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venerdì 26 giugno 2009
Coloni battono Madrepatria 1-0
Foto www.zimbio.com |
Prima pagina sui principali quotidiani nazionali, persino sul "New York Times", da sempre restio a scrivere di quello sport per signorine chiamato soccer: la grande impresa della nazionale di Bob Bradley contro la Spagna nella semifinale della Confederations Cup sembra aver ricordato agli statunitensi che esiste anche il calcio, nel loro Paese.
La storica testata della Grande Mela ha paragonato l'emozione suscitata dalla vittoria di Donovan e compagni sulla Spagna a quella provata per il trionfo degli Usa nello storico incontro di hockey su ghiaccio alle Olimpiadi invernali di Lake Placid: gli americani, capitanati da Mike Eruzione, sconfissero la favorita Urss con una squadra composta da giocatori universitari e dilettanti, dando vita al celebre "Miracolo sul ghiaccio".
Senza sconfinare dall'ambito calcistico, mi piacerebbe ricordare ai lettori di questo blog un'altra impresa storica, forse ancora più carica di significati...
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mercoledì 17 giugno 2009
USA-Iran, la partita della distensione?
Quello che rende lo sport, ed in particolare il calcio, così affascinante ai miei occhi è il suo costante intreccio con aspetti legati alla storia, alla politica, alla cultura.
Il passato ci riporta alla mente tanti eventi, anche luttuosi, direttamente legati al pallone a trentadue spicchi: è il caso della cosiddetta "Guerra del Football", raccontata da Ryszard Kapuściński in uno dei suoi tanti libri che sono una fonte inesauribile di lezioni di giornalismo.
Oppure dei celebri incidenti tra le tifoserie della Dinamo Zagabria e della Stella Rossa di Belgrado, avvenuti nel maggio 1990, da molti considerati un prodromo della guerra di indipendenza portata avanti dai croati e, conseguentemente, del tramonto della vecchia Yugoslavia unita.
Oggi sogno di raccontare una storia diversa...
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venerdì 12 giugno 2009
La storia della Confederations Cup
Il quesito sorge spontaneo: come mai la nostra Nazionale di calcio è andata a giocare in Sud Africa? Ma non c'è il prossimo anno il Mondiale?
Più in generale: cos'è questa Confederations' Cup, alla quale gli azzurri prendono parte per la prima volta? E perché si gioca proprio nell'estremità meridionale del Continente nero? Per quale motivo partecipano proprio quelle squadre?
Domande che quasi sicuramente avranno fatto capolino nella mente dell'italiano calciofilo medio. E alle quali proverò a dare una risposta soddisfacente nelle prossime righe...
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giovedì 28 maggio 2009
La Pro Recco, l'Inter della pallanuoto
Cari internauti, per la prima volta vi parlerò di uno sport emozionante e spettacolare, ma ingiustamente bistrattato e poco pubblicizzato: la pallanuoto. Uno sport che ho praticato per svariati anni a livello agonistico e che continuo a praticare, seppur in ambito amatoriale, assieme ad un gruppo di vecchi amici e compagni di squadra. L'occasione mi giunge propizia dopo l'ennesima finale scudetto vinta dalla Pro Recco: ieri alla piscina di Punta Sant'Anna, qualche ora prima di un'altra - e ben più celebrata - finale, la blasonata squadra ligure ha conquistato il 23° scudetto della sua storia, sconfiggendo un Posillipo capace di tenere testa solamente nei primi due tempi. Finora il divario economico e, conseguentemente, tecnico che separa i recchelini dalle altre squadre italiane è evidente ed è destinato a crescere nei prossimi due anni: una prospettiva tutt'altro che rosea.
Non potrebbero essere più diverse, l'Inter e la Pro Recco. Non fosse altro che si parla di discipline totalmente differenti: da una parte si gioca su un manto erboso, dall'altra si scende in acqua. Ma due elementi accomunano meneghini e recchelini: i loro patron, Massimo Moratti e Gabriele Volpi, non hanno certo problemi economici (entrambi vantano interessi nel settore petrolifero) e, soprattutto, sono due squadre vincenti. Dal prossimo anno potrebbe esserci un terzo punto di condivisione: la massiccia presenza di atleti stranieri.
Della mancanza di giocatori italiani nell'Inter si è ampiamente disquisito negli anni precedenti e, in un certo senso, fa sorridere pensare che nelle ultime tre-quattro stagioni (demando al vostro libero arbitrio considerare valido oppure no lo scudetto assegnato ai nerazzurri dopo il terremoto Calciopoli...) il titolo di campione d'Italia sia andato ad una squadra che schiera uno o, nelle giornate di grazia, due giocatori del nostro paese nel suo undici titolare.
La situazione della Pro Recco, da anni regina indiscussa del massimo campionato di pallanuoto, è per certi versi analoga ma differente allo stesso tempo: qui le maggior finanze di cui dispone il patron Volpi consentono di accaparrarsi non solo i nazionali italiani di maggior spessore, come il portiere Tempesti, Felugo, Di Costanzo e Calcaterra, ma anche gli stranieri più forti. Fin troppi, forse: Tibor Benedek, Predrag Jokic, Tamas Kasas, Norbert Madaras, Tamas Marcz, Vanja Udovicic. Per provare a porre un freno a questa tendenza esterofila, la FIN aveva introdotto prima di questa stagione una nuova regola: limite di due stranieri per squadra, con la possibilità comunque di naturalizzarne altri. In quest'ultimo caso, se un giocatore straniero dovesse optare per la cittadinanza sportiva italiana, dovrebbe essere convocabile esclusivamente per il Settebello azzurro - dovranno tuttavia essere passati almeno 12 mesi dall'ultima apparizione con la propria (ex) nazionale di appartenenza - : la regola diventerà di fatto operativa a partire dal prossimo campionato, con ulteriore riduzione da due ad un solo straniero tesserabile per squadra. Inevitabile la corsa alla naturalizzazione di molti campioni stranieri ed il Recco non si è voluto smentire, assicurandosi per il prossimo anno un terzetto di giocatori di prima scelta: l'australiano Pietro Figlioli (nella foto a destra, di rientro dal prestito al Sori) ed i croati Buric e Premus. Senza poi dimenticare che, tra due anni, sarà possibile schierare anche lo spagnolo Guillermo Molina, da molti considerato il nuovo Estiarte.
Pensate ad una nazionale italiana composta da australiani, croati, serbi, spagnoli, ungheresi, tutti naturalizzati. Fortissima, non c'è dubbio, finanche imbattibile. Ma sareste disposti ad assistere ad un atleta che prende parte a due Olimpiadi (massimo traguardo per ciascun sportivo) sotto le bandiere di due paesi diversi? E badate che non è il caso di chi, a cavallo tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta, ha gareggiato prima per una delle due Germanie e poi per quella unificata, oppure per l'Unione Sovietica e, successivamente, per la Georgia, la Russia o l'Ucraina. E dove sta l'etica dei giocatori stessi, disposti addirittura a rinunciare a quello che dovrebbe essere il motore di tanto sforzo fisico - giocare per il proprio paese di appartenenza e rappresentarlo alle Olimpiadi - pur di piegarsi alle regole dei club e di vincere, nel migliore dei casi, l'Eurolega?
Appare fin troppo lampante come la mancata applicazione di questa regola, ma anche precedenti decisioni errate, abbia finito per sfavorire la scuola pallanotistica italiana: i talenti non trovano spazio perché si ritrovano chiusi dai giocatori stranieri. In Italia non c'è la pazienza di attendere che le giovani promesse fioriscano: è la stessa considerazione che Heidegger fece per descrivere l'attività del filosofo, paragonabile a quella di un giardiniere. Il quale non ha fretta, non vuole né può forzare i tempi. L'esatto contrario dell'operato di molti addetti ai lavori, poco avvezzi a puntare sui giovani o ad aspettare la definitiva esplosione di quest'ultimi: meglio fare affidamento su un giocatore pienamente formato e maturo, in grado di far compiere alla squadra l'agognato salto di qualità. Nella stragrande maggioranza dei casi, sono gli stranieri i primi a rispondere a tali requisiti: la loro presenza, inoltre, non fa che dare ulteriore lustro al nostro campionato.
Credo sia superfluo osservare come questa scelta provochi, tuttavia, un evidente effetto che si ritorce proprio contro coloro che la fanno propria. Il caso più eclatante riguarda gli Stati Uniti che - eccezion fatta per la nazionale femminile e per due argenti consecutivi alle Olimpiadi negli anni '80 - mai sono stati una potenza pallanotistica. Eppure negli ultimi anni gli americani sono cresciuti, raccogliendo il frutto del duro lavoro di Ratko Rudic: il secondo posto a Pechino, giunto esattamente venti anni dopo quello conquistato a Seul, lo testimonia alla perfezione. Ma, accanto all'operato del santone slavo, va annoverata la fuga degli atleti più promettenti verso l'Europa, e più precisamente in Italia, dove si gioca la vera pallanuoto: nel nostro paese sono transitati i vari Anthony Azevedo, Jeff Powers, Peter Varellas, Adam Wright. I quali non hanno fatto altro che imparare a giocare la vera pallanuoto, a crescere sul piano tecnico ed a carpire letteralmente i segreti del mestiere. I giocatori stranieri non hanno fatto altro che mettere in pratica gli insegnamenti ricevuti: così nascono i grandi traguardi raggiunti dalla Grecia, quarta ai Giochi di Atene (mi si contesterà: giocavano in casa) e terza ai Mondiali di Montreal (e qui come la mettiamo?) sotto la guida di Alessandro Campagna. Degli Stati Uniti stessi. Ma è anche il caso di una nazionale piuttosto giovane quale il Montenegro, campione d'Europa un anno fa a Malaga, alla sua prima partecipazione: la squadra, è vero, già sulla carta si presentava molto competitiva perché la pallanuoto vanta una grande tradizione nella penisola balcanica. Al tempo stesso, però, non si può trascurare il fatto che i tre giocatori più rappresentativi militino nel nostro campionato, per giunta in due delle squadre più blasonate: Predrag Jokic nella Pro Recco, Nikola Janovic e Boris Zlokovic nel Posillipo.
Il risultato di questa scellerata politica è stato duplice: in primo luogo i giocatori stranieri hanno accresciuto in maniera esponenziale il proprio bagaglio tecnico grazie alla partecipazione nel campionato italiano; in secondo luogo le nuove leve della pallanuoto azzurra sono state letteralmente bruciate e molti giovani, al momento, non hanno accumulato sufficiente esperienza per poter essere risolutivi nelle competizioni più delicate. Non è un caso che, a pochi giorni dal suo insediamento, il neo ct azzurro Alessandro Campagna abbia convocato d'urgenza un collegiale riservato ai giovani Under 20, affinché il loro talento non venga sprecato come accaduto alle generazioni precedenti. Si è detto che l'ultimo, vero prodotto di primissima qualità della pallanuoto italiana sia stato Maurizio Felugo e che Valentino Gallo (nella foto a sinistra) sia stato tra i pochi della sua classe a salvarsi da questo triste destino. Se analizziamo la carriera del mancino siracusano, noteremo che già nel 2000, a soli quindici anni, orbitava attorno alla prima squadra dell'Ortigia. Un predestinato, forse. Ma i dirigenti biancoverdi non furono certo frenati dalla giovanissima età del loro giocatore e decisero, dunque, di dargli spazio e di farlo maturare.
Anche ieri il Posillipo ha gettato nella mischia alcuni elementi del suo vivaio, come Paride Saccoia e Dario Vasaturo, ed altri giovani di belle speranze quali Zeno Bertoli, Luca Fiorillo (figlio del grande Mario) e Fabio Gambacorta. Quella della società partenopea, tuttavia, è stata una scelta dettata dai problemi economici dei quali è stata investita, piuttosto che una politica volta a lanciare i giovani talenti. Tutte le società pallanotistiche, indipendentemente dallo stato in cui versano i loro bilanci, dovrebbero agire allo stesso modo. Ma la riprova (negativa) arriva proprio dalla Pro Recco campione d'Italia: si naturalizzano gli stranieri e si spediscono altrove i giovani (Lapenna e Washburn, entrambi ormai ventunenni) a farsi le ossa altrove. Non è certo in questo modo che si favorisce il ricambio generazionale nel Settebello, il cui ultimo risultato degno di nota - l'argento ai Mondiali di Barcellona nel 2003 - pare un ricordo sbiadito nel tempo.
Fonti:
http://www.waterpolonline.com/
Non potrebbero essere più diverse, l'Inter e la Pro Recco. Non fosse altro che si parla di discipline totalmente differenti: da una parte si gioca su un manto erboso, dall'altra si scende in acqua. Ma due elementi accomunano meneghini e recchelini: i loro patron, Massimo Moratti e Gabriele Volpi, non hanno certo problemi economici (entrambi vantano interessi nel settore petrolifero) e, soprattutto, sono due squadre vincenti. Dal prossimo anno potrebbe esserci un terzo punto di condivisione: la massiccia presenza di atleti stranieri.
Della mancanza di giocatori italiani nell'Inter si è ampiamente disquisito negli anni precedenti e, in un certo senso, fa sorridere pensare che nelle ultime tre-quattro stagioni (demando al vostro libero arbitrio considerare valido oppure no lo scudetto assegnato ai nerazzurri dopo il terremoto Calciopoli...) il titolo di campione d'Italia sia andato ad una squadra che schiera uno o, nelle giornate di grazia, due giocatori del nostro paese nel suo undici titolare.
La situazione della Pro Recco, da anni regina indiscussa del massimo campionato di pallanuoto, è per certi versi analoga ma differente allo stesso tempo: qui le maggior finanze di cui dispone il patron Volpi consentono di accaparrarsi non solo i nazionali italiani di maggior spessore, come il portiere Tempesti, Felugo, Di Costanzo e Calcaterra, ma anche gli stranieri più forti. Fin troppi, forse: Tibor Benedek, Predrag Jokic, Tamas Kasas, Norbert Madaras, Tamas Marcz, Vanja Udovicic. Per provare a porre un freno a questa tendenza esterofila, la FIN aveva introdotto prima di questa stagione una nuova regola: limite di due stranieri per squadra, con la possibilità comunque di naturalizzarne altri. In quest'ultimo caso, se un giocatore straniero dovesse optare per la cittadinanza sportiva italiana, dovrebbe essere convocabile esclusivamente per il Settebello azzurro - dovranno tuttavia essere passati almeno 12 mesi dall'ultima apparizione con la propria (ex) nazionale di appartenenza - : la regola diventerà di fatto operativa a partire dal prossimo campionato, con ulteriore riduzione da due ad un solo straniero tesserabile per squadra. Inevitabile la corsa alla naturalizzazione di molti campioni stranieri ed il Recco non si è voluto smentire, assicurandosi per il prossimo anno un terzetto di giocatori di prima scelta: l'australiano Pietro Figlioli (nella foto a destra, di rientro dal prestito al Sori) ed i croati Buric e Premus. Senza poi dimenticare che, tra due anni, sarà possibile schierare anche lo spagnolo Guillermo Molina, da molti considerato il nuovo Estiarte.
Pensate ad una nazionale italiana composta da australiani, croati, serbi, spagnoli, ungheresi, tutti naturalizzati. Fortissima, non c'è dubbio, finanche imbattibile. Ma sareste disposti ad assistere ad un atleta che prende parte a due Olimpiadi (massimo traguardo per ciascun sportivo) sotto le bandiere di due paesi diversi? E badate che non è il caso di chi, a cavallo tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta, ha gareggiato prima per una delle due Germanie e poi per quella unificata, oppure per l'Unione Sovietica e, successivamente, per la Georgia, la Russia o l'Ucraina. E dove sta l'etica dei giocatori stessi, disposti addirittura a rinunciare a quello che dovrebbe essere il motore di tanto sforzo fisico - giocare per il proprio paese di appartenenza e rappresentarlo alle Olimpiadi - pur di piegarsi alle regole dei club e di vincere, nel migliore dei casi, l'Eurolega?
Appare fin troppo lampante come la mancata applicazione di questa regola, ma anche precedenti decisioni errate, abbia finito per sfavorire la scuola pallanotistica italiana: i talenti non trovano spazio perché si ritrovano chiusi dai giocatori stranieri. In Italia non c'è la pazienza di attendere che le giovani promesse fioriscano: è la stessa considerazione che Heidegger fece per descrivere l'attività del filosofo, paragonabile a quella di un giardiniere. Il quale non ha fretta, non vuole né può forzare i tempi. L'esatto contrario dell'operato di molti addetti ai lavori, poco avvezzi a puntare sui giovani o ad aspettare la definitiva esplosione di quest'ultimi: meglio fare affidamento su un giocatore pienamente formato e maturo, in grado di far compiere alla squadra l'agognato salto di qualità. Nella stragrande maggioranza dei casi, sono gli stranieri i primi a rispondere a tali requisiti: la loro presenza, inoltre, non fa che dare ulteriore lustro al nostro campionato.
Credo sia superfluo osservare come questa scelta provochi, tuttavia, un evidente effetto che si ritorce proprio contro coloro che la fanno propria. Il caso più eclatante riguarda gli Stati Uniti che - eccezion fatta per la nazionale femminile e per due argenti consecutivi alle Olimpiadi negli anni '80 - mai sono stati una potenza pallanotistica. Eppure negli ultimi anni gli americani sono cresciuti, raccogliendo il frutto del duro lavoro di Ratko Rudic: il secondo posto a Pechino, giunto esattamente venti anni dopo quello conquistato a Seul, lo testimonia alla perfezione. Ma, accanto all'operato del santone slavo, va annoverata la fuga degli atleti più promettenti verso l'Europa, e più precisamente in Italia, dove si gioca la vera pallanuoto: nel nostro paese sono transitati i vari Anthony Azevedo, Jeff Powers, Peter Varellas, Adam Wright. I quali non hanno fatto altro che imparare a giocare la vera pallanuoto, a crescere sul piano tecnico ed a carpire letteralmente i segreti del mestiere. I giocatori stranieri non hanno fatto altro che mettere in pratica gli insegnamenti ricevuti: così nascono i grandi traguardi raggiunti dalla Grecia, quarta ai Giochi di Atene (mi si contesterà: giocavano in casa) e terza ai Mondiali di Montreal (e qui come la mettiamo?) sotto la guida di Alessandro Campagna. Degli Stati Uniti stessi. Ma è anche il caso di una nazionale piuttosto giovane quale il Montenegro, campione d'Europa un anno fa a Malaga, alla sua prima partecipazione: la squadra, è vero, già sulla carta si presentava molto competitiva perché la pallanuoto vanta una grande tradizione nella penisola balcanica. Al tempo stesso, però, non si può trascurare il fatto che i tre giocatori più rappresentativi militino nel nostro campionato, per giunta in due delle squadre più blasonate: Predrag Jokic nella Pro Recco, Nikola Janovic e Boris Zlokovic nel Posillipo.
Il risultato di questa scellerata politica è stato duplice: in primo luogo i giocatori stranieri hanno accresciuto in maniera esponenziale il proprio bagaglio tecnico grazie alla partecipazione nel campionato italiano; in secondo luogo le nuove leve della pallanuoto azzurra sono state letteralmente bruciate e molti giovani, al momento, non hanno accumulato sufficiente esperienza per poter essere risolutivi nelle competizioni più delicate. Non è un caso che, a pochi giorni dal suo insediamento, il neo ct azzurro Alessandro Campagna abbia convocato d'urgenza un collegiale riservato ai giovani Under 20, affinché il loro talento non venga sprecato come accaduto alle generazioni precedenti. Si è detto che l'ultimo, vero prodotto di primissima qualità della pallanuoto italiana sia stato Maurizio Felugo e che Valentino Gallo (nella foto a sinistra) sia stato tra i pochi della sua classe a salvarsi da questo triste destino. Se analizziamo la carriera del mancino siracusano, noteremo che già nel 2000, a soli quindici anni, orbitava attorno alla prima squadra dell'Ortigia. Un predestinato, forse. Ma i dirigenti biancoverdi non furono certo frenati dalla giovanissima età del loro giocatore e decisero, dunque, di dargli spazio e di farlo maturare.
Anche ieri il Posillipo ha gettato nella mischia alcuni elementi del suo vivaio, come Paride Saccoia e Dario Vasaturo, ed altri giovani di belle speranze quali Zeno Bertoli, Luca Fiorillo (figlio del grande Mario) e Fabio Gambacorta. Quella della società partenopea, tuttavia, è stata una scelta dettata dai problemi economici dei quali è stata investita, piuttosto che una politica volta a lanciare i giovani talenti. Tutte le società pallanotistiche, indipendentemente dallo stato in cui versano i loro bilanci, dovrebbero agire allo stesso modo. Ma la riprova (negativa) arriva proprio dalla Pro Recco campione d'Italia: si naturalizzano gli stranieri e si spediscono altrove i giovani (Lapenna e Washburn, entrambi ormai ventunenni) a farsi le ossa altrove. Non è certo in questo modo che si favorisce il ricambio generazionale nel Settebello, il cui ultimo risultato degno di nota - l'argento ai Mondiali di Barcellona nel 2003 - pare un ricordo sbiadito nel tempo.
Fonti:
http://www.waterpolonline.com/
giovedì 21 maggio 2009
Il vento dell'Est
Sarebbe eccessivo arrivare a pensare che, dopo ieri sera, il calcio dell'Est europeo sia tornato ai fasti di un tempo e degli anni '70 e '80 in particolare, quando la nazionale dell'URSS guidata dal "colonnello" Valerij Lobanovs'kyj arrivò in finale agli Europei in Germania Ovest e numerosi club sovietici si affermarono in campo internazionale.
Però i fatti parlano fin troppo chiaramente: negli ultimi cinque anni ben tre edizioni della Coppa Uefa sono state vinte da squadre dell'Europa orientale. Nel 2005 toccò al Cska Mosca che sconfisse all'Alvalade di Lisbona i padroni di casa dello Sporting; un anno fa fu un'altra squadra russa a trionfare, lo Zenit San Pietroburgo, trascinato dalle invenzioni dello "zar" Arshavin e dai gol di Pavlyuchenko.
Ieri sera, nella finale dell'ultima Coppa Uefa (dalla prossima stagione si chiamerà infatti Europa League), è stata invece la prima volta di una squadra ucraina, lo Shakthar Donetsk, allenata da una vecchia conoscenza del calcio italiano come Mircea Lucescu.
sabato 16 maggio 2009
Le grandi rivalità: CSKA Sofia vs Levski Sofia
E adesso non crediate che, dopo i giorni trascorsi a Sofia, la Bulgaria sia diventata il nuovo centro del mio mondo: prima o poi avrei comunque aperto questa nuova categoria ("Le grandi rivalità").
Diciamo che lo spunto per iniziare mi è stato offerto dal mio ultimo viaggio in quella che un tempo si chiamava Tracia: proprio il giorno del nostro arrivo, infatti, si giocava il derby di Sofia tra le due principali squadre della città, e dell'intero paese, ovvero CSKA e Levski.
Ne approfitto, dunque, per introdurre l'argomento delle grandi rivalità calcistiche partendo dalla stracittadina della capitale bulgara: rivalità che vanno oltre il semplice aspetto sportivo e che contemplano anche ragioni sociali e culturali.
Diciamo che lo spunto per iniziare mi è stato offerto dal mio ultimo viaggio in quella che un tempo si chiamava Tracia: proprio il giorno del nostro arrivo, infatti, si giocava il derby di Sofia tra le due principali squadre della città, e dell'intero paese, ovvero CSKA e Levski.
Ne approfitto, dunque, per introdurre l'argomento delle grandi rivalità calcistiche partendo dalla stracittadina della capitale bulgara: rivalità che vanno oltre il semplice aspetto sportivo e che contemplano anche ragioni sociali e culturali.
martedì 5 maggio 2009
Hristo santo
"Esistono solamente due Cristi.Uno è in paradiso, l'altro gioca nel Barcellona"
Il viaggio che mi appresto a fare in Bulgaria - so che non mi crederete, ma è roba seria - mi ha offerto lo spunto per parlare di uno dei miei giocatori preferiti in assoluto. Uno che ho avuto la possibilità di ammirare con indosso la maglia della mia squadra del cuore, nella quale non lasciò tuttavia grandi tracce: Hristo Stoichkov.
Le sue caratteristiche principali? Era un giocatore veloce nel dribbling e capace di accelerazioni impressionanti, dotato di una precisione chirurgica sui calci di punizione ma anche di un temperamento fin troppo aggressivo sul campo di gioco, che lo portava a ripetuti battibecchi con avversari e direttori di gara.
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lunedì 4 maggio 2009
Benvenuti a bordo
Cari internauti,
il sottoscritto vi dà il benvenuto nel suo blog. Qui scriverò principalmente di sport, una delle mie passioni: fare il giornalista sportivo è sempre stato il mio sogno. Leggerete soprattutto di calcio, di pallanuoto (ho iniziato a praticarlo tredici anni fa e, ancora oggi, l'amore per questo sport resta lo stesso di quando accarezzai per la prima volta un pallone giallo, tentando goffamente di passarlo) ma anche di nuoto, pallacanestro e persino beach soccer, una disciplina alla quale mi sono avvicinato - come cronista, s'intende - pochi anni fa. Vi assicuro che ci sarà spazio per tutto, perché nello sport non ci sono gerarchie: ogni disciplina ha il suo fascino e merita il suo spazio.
Non è la prima volta che apro un blog. Ma finora non ci ho mai investito molto, forse perché - erroneamente - ai miei occhi è sempre apparso un giocattolino postmoderno piuttosto che un valido strumento per raccontare, raccontarsi ed entrare in contatto con il mondo.
Questo blog nasce grazie a più di un impulso, maturato durante la settimana trascorsa a Perugia, al Festival del Giornalismo: non vorrei sembrare esagerato, ma forse è stata, sul piano umano, l'esperienza più gratificante che io abbia fatto finora. E proverò a farlo vivere nel miglior modo possibile: riempiendolo di storie e racconti.
Calcio, pallanuoto e tutto il resto, dicevamo. Vorrei provare a raccontarli non come semplici discipline sportive, ma come qualcosa di assai più complesso e profondo. Il calcio, soprattutto, è qualcosa che va al di là della mera attività fisica: ha una forza comunicativa spaventosa e mi è sempre piaciuto osservarlo come fenomeno socio-culturale. Ma non voglio dare troppe anticipazioni: adesso sta a voi decidere di seguirmi nella lettura.
Benvenuti a bordo, internauti
Simone Pierotti
il sottoscritto vi dà il benvenuto nel suo blog. Qui scriverò principalmente di sport, una delle mie passioni: fare il giornalista sportivo è sempre stato il mio sogno. Leggerete soprattutto di calcio, di pallanuoto (ho iniziato a praticarlo tredici anni fa e, ancora oggi, l'amore per questo sport resta lo stesso di quando accarezzai per la prima volta un pallone giallo, tentando goffamente di passarlo) ma anche di nuoto, pallacanestro e persino beach soccer, una disciplina alla quale mi sono avvicinato - come cronista, s'intende - pochi anni fa. Vi assicuro che ci sarà spazio per tutto, perché nello sport non ci sono gerarchie: ogni disciplina ha il suo fascino e merita il suo spazio.
Non è la prima volta che apro un blog. Ma finora non ci ho mai investito molto, forse perché - erroneamente - ai miei occhi è sempre apparso un giocattolino postmoderno piuttosto che un valido strumento per raccontare, raccontarsi ed entrare in contatto con il mondo.
Questo blog nasce grazie a più di un impulso, maturato durante la settimana trascorsa a Perugia, al Festival del Giornalismo: non vorrei sembrare esagerato, ma forse è stata, sul piano umano, l'esperienza più gratificante che io abbia fatto finora. E proverò a farlo vivere nel miglior modo possibile: riempiendolo di storie e racconti.
Calcio, pallanuoto e tutto il resto, dicevamo. Vorrei provare a raccontarli non come semplici discipline sportive, ma come qualcosa di assai più complesso e profondo. Il calcio, soprattutto, è qualcosa che va al di là della mera attività fisica: ha una forza comunicativa spaventosa e mi è sempre piaciuto osservarlo come fenomeno socio-culturale. Ma non voglio dare troppe anticipazioni: adesso sta a voi decidere di seguirmi nella lettura.
Benvenuti a bordo, internauti
Simone Pierotti
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